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Acheronthia Atropos

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ACHERONTHIA ATROPOS

La sfinge Testa di Morto

Ricerche entomologiche di

Giorgio MALFERRARI

Fantasie e pregiudizi popolari.

Se siete dotati di una certa dose di fantasia, vorrei che mi seguiste a ritroso nel tempo, immedesimandovi nella mentalità, nelle usanze e soprattutto nelle credenze dell’Inglese rurale negli anni che vanno dal 1000 al 1300. Siamo nella patria classica della stregoneria, dei fantasmi, dei misteri in genere. L’Inghilterra è martoriata da mesi da una spaventosa epidemia di colera e di peste. Le autorità stanno cercando le cause di questa calamità, senza trovarne alcuna spiegazione plausibile. Ed ecco che un parroco recatosi sui posti più colpiti per portarvi la sua opera ecclesiastica, scopre con smisurato orrore la presenza nelle vicinanze dello sfarfallamento di una farfalla a loro sconosciuta. Malgrado la sua incontestabile bellezza la farfalla qui menzionata sarà da quel giorno associata al male. E marchiata a fuoco con tutti gli anatemi immaginabili. Questo insetto presenta sul fondo nero del corsaletto una grossa immagine in giallo vistoso del teschio umano. Questo funebre simbolo unito ai pregiudizi delle popolazioni di quei tempi, sarebbe bastato di per se stesso a terrorizzare il più coraggioso degli osservatori. Ma non era tutto, al massimo del terrore si arrivò quando toccandola o disturbandola ci si accorse che questa grossa farfalla aveva la proprietà di produrre con suoni chiari e lamentosi alcune lettere del nostro alfabeto. Venne battezzata “Sfinge dalla testa di Morto” e si assocerà a questo lugubre Silfo notturno un messaggio di morte, dato che ne porta le insegne. Nelle credenze superstiziose che corsero nelle campagne di tutta l’Inghilterra, nelle veglie campestri si sentirà dire che questo feroce abitante dell’aria, è in relazione con le streghe, e che mormora al loro orecchio, con la sua voce triste e lamentosa il nome della persona che la morte deve in breve tempo rapire. Malgrado la sua nera livrea, malgrado il suo lugubre simbolo l’ACHERONTHIA ATROPO
(questo in seguito sarà il suo nome scientifico) non viene da cupi lidi; non è inviato dalla morte, nè è un messaggero di dolore e di tristezza: come le farfalle che fanno brillare al sole i loro splendidi colori durante il giorno, viene esso pure dalla mano benedetta del creatore della natura, risale alle sorgenti divine e comuni della vita. Non ci porta novelle di un mondo ignoto, invece dimostra che la natura sa popolare ogni sua ora, che ha voluto dare al crepuscolo e alla notte per attenuarne la tristezza, quei medesimi insetti alati che rallegrano ed adornano le ore del giorno. Pur essendo presente in Europa ogni anno essa si riproduce in Africa o tutto al più nelle terre del bacino Mediterraneo, donde raggiunge le zone centrali e settentrionali dell’Europa e delle Americhe, dove però non si riproduce, sembra infatti che le femmine di tali regioni siano sempre sterili. L’Atropos sarebbe una creatura innocua qualora non penetrasse negli alveari delle api da miele per impadronirsi del miele di cui è ghiottissima. Manca di spirotromba, come invece hanno le altre farfalle dello stesso ordine, ed avendo al suo posto una specie di corta ed enorme proboscide clavata, devasta letteralmente gli alveari. Le api tentano invano di pungere questa intrusa coi loro pungiglioni, ma questi si spuntano contro la fitta pelliccia, e in breve sgomente dalla sua presenza (se non vengono aiutate solertemente da un apicoltore, che sa nel periodo giusto il rischio che corre il suo alveare) traslocano altrove. Quale fortunata missione per la scienza quale gioia serena per il naturalista, poter dissipare uno di questi pregiudizi, una di queste superstizioni inutili e pericolose che sviano il buon senso delle popolazioni all’oscuro dei segreti che la natura ha sempre così gelosamente conservato e che solo alcuni di noi con tanto sacrificio e dedizione, con tanto amore, incessanti studi, esperimenti, allevamenti, ed interesse scientifico è riuscito a capire e divulgare.

Giorgio Malferrari

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