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Ora rivelo un piccolo segreto al lettore. Anche gli scrittori più bravi fanno degli errori, persino errori di grammatica, molto spesso. O, se non proprio questi, errori nell’uso delle concordanze verbali. Pertanto, non bisogna lasciarsi intimidire dai mostri sacri. Hanno cominciato come tutti nell’insicurezza, e molti sono sacri solo perché santificati da amici potenti nelle redazioni culturali dei giornali o nelle case editrici. Poi ci sono, al contrario, quelli che sanno scrivere benissimo e conoscono anche il nome di tutte le componenti stilistiche e le forme dell’elocuzione (anacolùto, asìndeto, chiàsmo, anàfora, zèugma, etc.; antìtesi, antìfrasi, litòte, epifonèma, etc.; metàfora, similitudine, analogia, allegorìa, sinèddoche, metonìmia, ipèrbole, etc.), ma, come ha detto qualcuno, conoscere le parti di un’automobile, non corrisponde necessariamente a saperla guidare. C’è chi, parlando, dice di sapere e chi, in silenzio, mostra di sapere. Il mistero è proprio qui, nel saper suscitare vibrazioni o onde cerebrali che attraversano l’aria in forma sconosciuta e richiamano come feromoni il lettore. Uno può dire mille parole e non far capire nulla e un altro con due parole riesce a comunicare. Così è la vita, così sono gli uomini, così sono le parole.
Ho già detto che, in genere, all’inizio, si attinge dal proprio vissuto. Se proprio non se ne ha (e allora temo che sarà difficile essere scrittori, così come sarà difficile per chi non ha fantasia. Diceva John Keats: "Io non vivo in questo mondo soltanto, ma in un migliaio di mondi… sono con Achille che grida nelle trincee o con Teocrito che canta nelle valli di Sicilia"), si può cominciare ad osservare l’umanità intorno a noi. Essa offre una tale varietà di tipi e tematiche che nessuno riuscirà mai a rendere completamente, per cui il gioco è aperto a tutti. (Vorrei anche aggiungere una riflessione di Beckett: "Non c’è cosa esprimere, né per chi esprimere, insieme alla insopprimibile voglia di esprimere").