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L’onirismo di “Eyes Wide Shut”

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1. premessa

         Il titolo italiano di “Traumnovelle”, l’opera cui Eyes Wide Shut si ispira, è “Doppio sogno”: titolo infedele ma non improprio. Infatti pone l’accento su quello che è un aspetto fondamentale del romanzo di Schnitzler: la vicenda realmente vissuta dal protagonista, contemporaneamente a quella sognata dalla moglie, non è, rispetto a quest’ultima, più reale: proprio come un sogno, sembra un’avventura estranea agli usi e alle abitudini di vita del personaggio (oltre a rappresentare, fuse in una sola vicenda come in sogno, le pulsioni e la loro rimozione).
Nel film, la vicenda sembra reale in tutto e per tutto, e di un sogno semmai possiede, alla prima visone, solo una vaga atmosfera conturbante.
Una trasposizione cinematografica “immagina” (“fornisce un’immagine”) ciò che un lettore è chiamato a immaginare da sé. Ciò è usuale. Ma Kubrick dev’essere stato ben consapevole del fatto che, in questo caso, la trasposizione cinematografica non poteva che potenziare l’aspetto realistico di una vicenda che, nel romanzo, appare sospesa in una dimensione esattamente mediana tra realtà e sogno. Kubrick, invece di tentare di rimediare a questo problema potenziando in modo convenzionale l’aspetto onirico (in una maniera, per dire, “felliniana”, che da lui non ci aspetteremmo e che non è nelle sue corde), ha scelto una strada costellata di simboli, dettagli minimi, impercettibili contraddizioni, criptici come non mai, ma che, una volta scoperti, aprono abissi di ambiguità, chiarendo al contempo il senso di quello che nel film si vede. Il film cui più si avvicina Eyes Wide Shut, tra i precedenti di Kubrick, è Shining: sia per la complessa rete di simboli, dettagli significativi e ambiguità, sia per alcuni processi psichici del tutto analoghi, compiuti, in contesti del tutto diversi, dai protagonisti dei due film.
Prima di venire al confronto tra le due opere per far luce sull’ultima, è opportuno individuare in che modi Eyes Wide Shut replichi temi e forme, tipici di tutto il cinema di Kubrick, e maturi a partire da 2001: Odissea nello spazio: giacchè è solo con riferimento ad essi che si possono comprendere le analogie con Shining.

 

2. variazioni sul tema.

 
2.1. il fallimento del controllo.
Nella filmografia di Kubrick si ripete uno schema tipico, connesso al binomio Cultura/Natura. Il protagonista, o una certa istituzione, sono inizialmente fiduciosi di poter tenere sotto controllo[1] le pulsioni insite nella natura umana. Ma anche tale volontà di controllo risponde a delle pulsioni, che sono di potere e violenza.
– In Arancia Meccanica tale volontà di controllo si manifesta principalmente nella repressione istituzionale della violenza pura, sbrigliata, incarnata da Alex (il controllo biologico-chimico delle pulsioni rappresentato dalla cura Ludovico);
– In Barry Lyndon si manifesta nella “progettazione” da parte del protagonista della propria esistenza (e nell’imbrigliamento della violenza bellica, come di ogni altra pulsione, da parte delle ritualità codificate e della razionalità settecentesche).
– In quella complessa e sfuggente simbologia di cui è intessuto Shining, la volontà di controllo prende il via da una situazione specifica (la custodia dell’Overlook Hotel – non semplicemente un albergo, ma intreccio di simboli e metafore);
– In Full Metal Jacket si manifesta nel progetto di annichilimento dell’umanità, dell’individualità dei soldati;
L’archetipo risulta in 2001 Odissea nello spazio, visto come allegoria anti-positivistica sulle ambizioni dell’Uomo di conoscenza, nonché di controllo sul prodotto delle proprie conoscenze (il computer Hal).
Se è vero che la volontà di controllo discende da una pulsione di potere e violenza, cioè quasi sempre quelle stesse pulsioni che, in sé o in altri, si vorrebbe controllare, tale “progetto” è tarato sin dalle sue premesse. I protagonisti dei film di Kubrick, mentre ritengono di essere nel pieno controllo dei propri mezzi, sono in realtà succubi, sin dall’inizio, della loro volontà di potenza. Così essi finiscono per esser messi sotto scacco: vinti, traditi da una forza che esterna a loro non è affatto, ma è anzi quella stessa forza motrice delle pulsioni di dominio che ne dettava le azioni sin dall’inizio. Tale forza, però, viene comunque avvertita come estranea, esterna, in una proiezione fuori di sé di una pulsione interiore.
La vicenda di Bill, protagonista di Eyes Wide Shut, si inserisce in questo schema. Essa si può leggere come quella di un professionista altoborghese, che vive nella sicurezza delle posizioni acquisite (il film è costellato di riferimenti al denaro e ad altri status symbol che contraddistinguono la posizione sociale elevata del personaggio), il quale ha inquadrato (o crede di aver inquadrato) la sessualità all’interno della famiglia (e in parte l’ha surrogata col denaro: il film si apre con la ricerca da parte di Bill del portafoglio, il quale appare invece distratto, alla domanda della moglie se é bella, come abbigliata. Inoltre egli paga, profumatamente, ogni tappa della sua avventura erotica in cui la pulsione non trova mai soddisfazione, ma in compenso appare quasi compiaciuto da tante spese). Questo personaggio così arroccato nelle sue certezze, è costretto a fronteggiare l’emersione incontrollata delle pulsioni erotiche (sia di eros che di thanatos), recepite da stimoli esterni che sono proiezione delle proprie stesse pulsioni.
 
2.2. la ciclicità.
Implicito allo schema descritto è un elemento di ciclicità. I film di Kubrick sono “bildung illusori”, ossia percorsi di formazione in cui si ha una regressione alla situazione iniziale, un senso di mancata evoluzione. Elevando la poetica a riflessione filosofica, si può scorgere una sorta di “eterno ritorno”, in termini nietschiani. Esso e’ suggerito da 2001 con una metafora piuttosto esplicita (quel feto umano che nasce a nuova vita), così come la metafora della ciclicità è esplicita non solo nella reiterata insistenza su forme e figure circolari, ma nella geniale intuizione degli esercizi di jogging compiuti, a bordo dell’astronave, su di un corridoio circolare in rotazione, in cui la forza centrifuga rende possibile surrogare la gravità e insieme percorrere una linea retta tornando su se stessi. L’allusione a un “eterno ritorno” è esplicita anche nel finale di Shining, sottilmente rapportata al clima di mistero e di perturbazione fantastica che avvolge l’opera (si tratta, ovviamente, della foto del party del 1921, in cui compare il protagonista del film).
In Eyes Wide Shut, la mancata evoluzione, la sensazione che il bildung sia stato inutile, traspare dalla strana sospensione con cui il film si chiude, uno stranito lieto fine in cui Bill, ritornando al suo mediocre positivismo, afferma che di lì in poi vivranno con gli occhi aperti… “per sempre” (il suo positivismo è irriso già dal titolo del film, in cui gli occhi sono ben… chiusi), mentre la moglie rifiuta l’espressione “per sempre”, perché le “fa paura”.
Inoltre si avverte anche in Eyes Wide Shut l’intenzione di fornire una simmetria alla costruzione narrativa – che è un’altra costante dei film di Kubrick, e contribuisce a imprimere ad essi un’impressione di ciclicità (si pensi a Barry Lyndon, ove c’è un’ascesa e una caduta; che si apre e si chiude in Irlanda, fuori dalla Storia; e in cui l’evento, che porta il personaggio a entrare e uscire nella e dalla sua storia, è sempre un duello). In Eyes Wide Shut la simmetria è fornita dall’episodio aggiunto in fase di sceneggiatura, che manca nel romanzo: quello della “spiegazione” (che nulla spiega, che in realtà confonde solo, o meglio crea l’impressione, gratificante, di de-responsabilizzazione nel protagonista) fornita attorno al tavolo da biliardo da Ziegler, l’anfitrione interpretato da S. Pollack: sequenza speculare a quella della festa con cui la vicenda aveva avuto inizio, nella stessa residenza di Ziegler – mentre la sequenza-apice dell’orgia al castello è posta al centro esatto del film.
Ma in Eyes Wide Shut la ciclicità come eterno ritorno è suggerita fin dall’inizio del film, in modo estremamente criptico. Il frammento visivo che compare nei titoli di testa, lo spogliarello di schiena di Alice/N. Kidman, è avulso dalla narrazione: infatti lei, che di lì a poco rivedremo nell’atto di prepararsi per andare alla festa, si sta togliendo un abito da sera (tra l’altro indossa tacchi alti: è evidente che quello che indossa non è un completo da casa, non si sta spogliando per andare alla festa, semmai da una festa sta tornando. Per di più la breve scena si svolge in un ambiente della casa che è esattamente quello in cui vedremo comparire, di lì a poco, il protagonista: e l’ambiente è differentemente arredato). Inoltre, è stato notato che una delle prime battute pronunciate dal personaggio di Alice è la domanda, rivolta al marito: “secondo te perché Ziegler ogni anno ci invita a questa festa?”, che rovescia significativamente quanto Schnitzler dice nel romanzo: che quella era la loro prima festa[2]. Ciò che in Schnitzler vuole essere inizio di un’esperienza di formazione, in Kubrick sembra un evento destinato a ripetersi forever… and ever… and ever[3]
 
3. Eyes Wide Shut e Shining allo specchio
 
Eyes Wide Shut, come Shining, mette in scena una vicenda che, se da un lato ha in sé la propria compiutezza e le proprie allusioni di “senso”, è anche un’allegoria complessa e ragionata, in forma onirica. In entrambi i film le esperienze dei due protagonisti appartengono a un universo mediano tra il reale e l’onirico, un universo che riesce a essere al contempo sia reale, sia onirico.
Forse in Shining ciò risulta molto più evidente (a partire dalle componenti attribuibili al “genere” horror: lo “shining” di Danny e del cuoco Halloran, le visioni di Jack, quelle finali di Wendy).
Invece, risulta più problematico decifrare la componente concretamente onirica in Eyes Wide Shut (a parte, ovviamente, il sogno raccontato da Alice – che non a caso, forse, si è scelto proprio di lasciar raccontare, anziché rappresentare – pur ben sapendo Kubrick che le scene affidate esclusivamente al binomio parola/recitazione siano le meno efficaci in un’opera cinematografica[4]. Forse, lasciare al racconto orale il sogno di Alice serve proprio a mettere in risalto la concretezza onirica della vicenda realmente vissuta da Bill…).
 
3.1. sogni assolutamente reali
Cominciamo a operare alcuni precisi raffronti tra le vicende dei due protagonisti.
In Shining, le visioni di Jack hanno inizio nella Golden Room (la prima visione – l’apparizione del cameriere Lloyd – è per così dire “contenuta”, mentre la seconda – la festa – è barocca, eccessiva, segno di una mente sempre più squilibrata). Le visioni di Jack, anche la loro progressione, entrano apparentemente nelle coordinate del film di genere (la casa infestata da fantasmi). Se si presta attenzione alla struttura narrativa del film, scopriamo che le due relative sequenze non sono affatto scisse da quanto le precede: anzi ne costituiscono l’esito. In entrambi i casi abbiamo Jack, un padre di famiglia che si rifugia al bar, a bere, per sfuggire alle pressioni familiari divenute a un dato punto eccessive. La prima volta, infatti, Jack si “rifugia” nella Golden Room appena dopo essere stato accusato dalla moglie di esser lui la causa dei misteriosi segni sul collo di Danny (e che noi spettatori riconduciamo, invece, alla “visita” compiuta dal bambino nella stanza 237, sulla quale però è stata pur sempre operata un’ellissi. Ciò, da un lato, è uno dei fattori di ambiguità di cui è costellato il film, e d’altra parte ci fa propendere per l’innocenza di Jack, e quindi, nella circostanza, parteggiare per lui, anziché per la moglie). La seconda visione (quella in cui Jack riceve il “mandato” da Mr. Grady), segue la sequenza in cui Jack afferma di non aver trovato nulla nella stanza 237, ma – alla luce di quanto visto[5] – ci sembra mentire, e subire intanto sempre più sia il peso del proprio crescente isolamento all’interno del nucleo familiare (che vorrebbe invece tenere in pugno), sia il peso della decisione di restare all’Hotel, a dispetto della volontà della moglie, della propria inettitudine …e dei propri fantasmi.
Dunque: entrambe le visioni che hanno luogo nella Golden Room possono spiegarsi agevolmente come prodotto della mente di Jack, il quale, sotto il peso dello stress e della tensione, elabora proiezioni delle proprie pulsioni di distrazione (nel primo caso – la comparsa di Lloyd) e di controllo sulla famiglia. Il discorso di Mr. Grady, infatti, esplicita una vera e propria rivendicazione del ruolo di padre di famiglia autoritario che “mette in riga”, disciplina moglie e figlio. Ma Jack, oltre a essere debole e frustrato, non conosce l’essenza di dominio e potenza (e di violenza) di questa pulsione: ha dunque bisogno che gli venga “proposta” da qualcuno[6].
Ci sembra plausibile perciò leggere le visioni di Jack come creazioni del suo inconscio – un inconscio che traduce e mette in scena ciò che, razionalmente, Jack non sarebbe in grado di elaborare da sè. Occorre sottolineare però che il valore e l’efficacia di questa messa in scena sta nella sua assoluta realtà. Le due scene sono inverosimili in un contesto normale, ma presi per mano dalla finzione, come spettatori che hanno già accettato la sospensione della credulità, siamo posti di fronte a una situazione che ci sembra realmente realizzarsi, lì all’Overlook Hotel. E’ questo che intendo, sostenendo che l’universo di Shining si colloca in una dimensione al contempo onirica e reale: le visioni di Jack non sono presentate come visioni, ma come esperienze reali. Al contempo, sono visioni, si spiegano come visioni – pur restando, ambiguamente, …del tutto reali.
Veniamo a questo punto ad Eyes Wide Shut, e concentriamoci sulle peregrinazioni, notturne e diurne, di Bill. Come in Shining, le sue esperienze sono descritte quali assolutamente reali. A differenza che in Shining, però, esse parrebbero destinate a restare davvero solo reali, dal momento che non presentano risvolti paranormali, e nulla suggerisce di connotarle come “visioni” o “sogni”. Eppure non si può negare, già a una prima visione, che le peregrinazioni di Bill sono avvolte da una certa sospensione onirica, e che la concatenazione degli episodi, apparentemente casuale, sia sospetta e quanto meno inverosimile nel suo climax (bacio della figlia del paziente deceduto; incontro con la prostituta; “rivelazioni” dell’amico pianista; orgia), oltre che nella corrispondenza tra gli eventi vissuti e l’indagine successivamente compiuta. Il percorso di Bill comincia allora ad apparire meno casuale, e iniziamo a sospettare di assistere anche qui a una messa in scena, una proiezione della sua mente, delle pulsioni del suo inconscio. Quali? L’esperienza notturna, che raggiunge il suo apice nella sequenza dello smascheramento al festino-con-orgia, sembra dare graduale sfogo al freudiano principio di piacere, in un tentativo di liberare il proprio Es con una proiezione all’esterno degli stimoli (che non vengono cercati, ma trovati, casualmente): esattamente come avviene in sogno, in cui le cose ci capitano, non siamo noi a dirigerle.
L’attività investigativa, poi (cui Bill sembra spinto dalla curiosità innescata dall’eccezionalità degli eventi cui ha partecipato), può essere letta come un tentativo di de-responsabilizzarsi delle conseguenze che la partecipazione a quegli eventi ha prodotto: e cioè (forse) la morte di una donna. Un tentativo, probabilmente, di allontanare da sé una pulsione di morte (ovvero di thanatos: compagna, come sappiamo, di ogni eros). L’indagine che egli compie, alla ricerca di una chiarificazione degli eventi presentatiglisi, continua ad essere un tentativo di proiettare all’esterno la responsabilità delle pulsioni interiori, in una sorta di rifiuto o di inquadramento delle stesse.
Kubrick, in effetti, non si è limitato a suggerire questa lettura, che resterebbe comunque meno convincente di quanto non sia in Shining. Kubrick in realtà ha disseminato le vicende di tracce e indizi, più o meno criptici, che avvalorano la nostra lettura delle vicende medesime come oniriche ma al contempo del tutto reali. Ecco alcune di queste tracce:
– la comparsa della prostituta Domino, dopo che Bill percorre alcune strade in stato di vistoso turbamento e confusione (generato dal bacio ricevuto dalla figlia del morto), appare come un esito, un frutto di quel turbamento, capace di incanalare e dare sfogo alle pulsioni innescate da quello stato di perturbazione;
– dopo molta titubanza e tentennamenti, mentre sta per spogliarsi, per dar sfogo alla pulsione erotica con Domino, proprio allora squilla il cellulare: è la moglie, incarnazione del super-io che ancora resiste e impone di non dar soddisfazione alla pulsione. Bill insiste per pagare Domino e se ne va (sostituzione della pulsione erotica con la sicurezza pecuniaria);
– appena uscito dall’appartamento di Domino, capita immediatamente, casualmente, di fronte al locale dove sa che si esibisce l’amico pianista Nightingale. E’ la pulsione che rilancia (un misto di voglia di esplorazione, voluttà di fascinazione, rapimento – un po’ come l’Uomo di 2001, se si vuole, rapito come Odisseo oltre le colonne d’Ercole). Bill ci sta, ed entra nel locale;
– “occorre una maschera: e tu dove la trovi a quest’ora di notte?” , dice Nightingale. Sembra un ostacolo definitivo sulla strada del principio di piacere. Ma in sogno tutto è possibile. Bill conosce un costumista, gli è talmente intimo da potersi permettere di presentarsi da lui alle due del mattino. Tutto è possibile, certo, ma le coincidenze cominciano a insospettire…
– …tanto più quando scopriamo (1) che il negozio di costumi si chiama “Rainbow fashion”: le due modelle che avevano iniziato a “corteggiare” Bill alla festa di Ziegler, all’inizio del film, quando Bill aveva chiesto loro: “dov’è che mi state portando?”, avevano risposto: “là dove sorge l’arcobaleno” (rainbow, arcobaleno);
– (2) che il “Rainbow fashion” si trova esattamente di fronte al locale dove si esibiva Nightingale, nonostante Bill abbia preso il taxi per giungervi! Infatti vediamo prima l’insegna del “Sonata cafè” riflettersi nel vetro del portone dell’edificio dove si trova il “Rainbow fashion”, quindi, in controcampo, vediamo proprio il “Sonata cafè” alle spalle di Bill (mentre questi è in attesa che il neo-gestore de “Rainbow fashion” gli si presenti)! Kubrick si concede il vezzo di suggerirci che la New York notturna in cui si muove Bill è analoga ai labirinti di Shining – una proiezione/raffigurazione dell’inconscio del protagonista[7]?
– la rappresentazione sensoriale del fascino dell’ignoto esplode all’ingresso di Bill nella villa dell’orgia. Ancora non sappiamo quel che vedremo lì dentro: ma quel che ci attrae, e attrae il protagonista, è un’architettura arabeggiante, esotica, in vistoso contrasto con quella gotica degli esterni; accompagnata da una musica altrettanto misteriosa, fascinosa, arcana. La villa, oltre ad apparire in questo una proiezione delle fantasie del personaggio, inizia a configurarsi anche come lo spazio deputato alla “resa dei conti”: quel territorio estraneo in cui convivono fascino e paura dell’ignoto, un po’ come lo spazio aperto della “Missione Giove” in 2001;
– fascino e paura. Fear and desire. Bill non fugge dalla festa, nonostante i ripetuti avvertimenti della donna misteriosa. Prova (e noi con lui) un forte senso di spaesamento, una fascinazione, un perturbamento che inquieta – e inquieta tanto più quanto più quella donna misteriosa ci avverte che è il caso di non indugiare oltre, di andarcene risolutamente. Il pericolo, tanto più se la fonte di questo pericolo resta nascosta, è una pulsione di piacere eccitante al massimo;
– quando il destino di Bill sembra segnato (egli deve spogliarsi nudo in mezzo ad uomini vestiti, e chissà cos’altro dovrà succedergli), egli, proprio come accade in sogno, viene salvato dall’intervento di un fattore inaspettato. La donna misteriosa propone di esser presa al posto di lui (cosa le accadrà? Vediamo solo che viene portata via da una maschera che appare di profilo con un inquietante lungo naso adunco, che ricorda la falce con cui si accompagna lo scheletro raffigurante la morte, nelle rappresentazioni popolari). Azzardiamo che il salvataggio di Bill si unisce a un istinto di thanatos, in cui alla realizzazione del piacere erotico (cui non è mai concessa soddisfazione) si sostituisce l’esito, sadico, di conferire la morte. Tuttavia il protagonista – che oltretutto è un medico – non potrebbe mai accettare questo istinto, e, fantasticando sulla morte di quella donna (nulla nel film ci dice che quella donna sia morta per davvero, e che non sia stata piuttosto una sciarada, come la chiamerà Ziegler), ne attribuisce la responsabilità ad altri (pur essendone lui, indirettamente, il vero responsabile). Non solo: tutta la seconda parte del film, le peregrinazioni diurne e notturne successive, racconta di un’indagine portata avanti da Bill che toccherà il suo apice nell’incontro, all’obitorio, con la morte stessa: rappresentata da un perfetto corpo di donna, completamente spogliato di attrattiva erotica.
         Tralasciamo, qui, di compiere un elenco di tutte le “stranezze” che costellano anche la seconda parte del film, ma non possiamo evitare di menzionarne almeno alcune.
– Intanto, la coincidenza che Domino, come dice la sua coinquilina, è risultata positiva al test dell’HIV, comporta per Bill una soddisfazione per lo scampato pericolo (una soddisfazione che si accompagna ancora a un presagio di morte che incombe su qualcun altro, e precisamente su una donna che aveva costituito, la notte prima, uno stimolo sessuale).
– Inoltre, gli esterni percorsi da Bill, che la notte prima pullulavano di vita, sono la notte seguente deserti, spettrali (in un trionfo della morte sulla vita).
– Quegli esterni, Kubrick ribadisce, sono una proiezione immaginaria di Bill: a un incrocio, mentre egli tenta di depistare il suo inseguitore, lo vediamo prendere una strada che termina con lo stesso palazzo, e le stesse insegne, di quello con cui terminava la strada appena abbandonata[8]. E’ allora davvero un labirinto… Quell’inseguitore, oltretutto, indossa un cappotto che sembra identico (solo il taglio è diverso) a quello indossato da Alice nella scena finale del film, nel negozio di giocattoli… Che Kubrick voglia suggerire che Bill si senta …braccato dalla figura della moglie?
 
3.2. proiezioni di pulsioni
         Tiriamo le fila del discorso. Le proiezioni effettuate all’esterno di sé da parte di Jack e di Bill, sono di due specie.
La prima è la proiezione, su qualcun altro, della colpa delle proprie frustrazioni, della responsabilità del proprio scacco. In Shining, Jack vede nel figlio Danny e nella moglie Wendy un ostacolo per il proprio lavoro (di custode e di scrittore): egli sostituisce alla propria inettitudine il peso costituito dalla famiglia e dalle responsabilità familiari, troppo gravose per la realizzazione della sua individualità. (Può essere significativo che il tentativo di strangolamento di Danny, che la madre attribuisce a Jack, sia avvenuto proprio mentre Jack, addormentato, ha sognato di fare a pezzi la famiglia – incubo che lui stesso aveva rivelato alla moglie, sconcertato e angosciato, appena prima che apparisse Danny con i segni sul collo).  Analogamente, Bill proietta sulla moglie la responsabilità delle proprie frustrazioni erotiche: è evidente, infatti, che egli entra in stato confusionale (dal quale tutto trae origine) proprio a partire dalla rivelazione della moglie di aver perso la testa, un giorno d’estate, per un ufficiale di marina. Il potenziale tradimento da parte della moglie (che Bill si rappresenta in scene sempre più “hard”, in bianco e nero), costituisce il propulsore dello sconvolgimento con il quale egli giustifica, di fronte a se stesso, le proprie pulsioni.
         In secondo luogo, esiste un’altra specie di proiezione-fuori-di-sé: quella delle forze che dirigono e sovrintendono alle pulsioni interiori. Così abbiamo visto che Jack si crea Mr. Grady, da cui viene spinto a concretizzare l’annientamento del nucleo familiare; così Bill si crea tutta una congerie di stimoli esterni, che esplodono nel baccanale della villa, come se non fosse lui responsabile delle proprie scelte che lì lo hanno portato; e così, l’indomani, egli investiga, alla ricerca di un responsabile della morte di una donna, trovando infine un capro espiatorio nel nichilismo dell’anfitrione Ziegler (la cui filosofia è “la vita continua, fino a che… non continua più. Ma questo tu lo sai benissimo, vero Bill?”): ossia in colui che lo aveva introdotto al principio di piacere nudo e crudo, “presentandogli”, all’inizio del film, la prostituta in overdose. Un curioso parallelo tra le figure di Mr. Grady e di Ziegler consiste nel fatto che le due scene madri in cui essi compaiono (il bagno rosso all’Overlook Hotel, la stanza con il tavolo da biliardo rosso della villa di Ziegler) sono incontri faccia-a-faccia in due ambienti la cui architettura e il cui arredamento contrastano vistosamente con quelli dei luoghi in cui sono collocati (ma anche a questo riguardo, in Eyes Wide Shut occorre avere un occhio più attento rispetto a Shining, dove il bagno rosso stride invece davvero vistosamente con la Golden Room)[9]. In entrambi i casi, sembra che K. ripeta la scelta di un arredamento eccentrico, compiuta per il faccia-a-faccia conclusivo con il monolito, la celeberrima “stanza rococò” del finale di 2001.
 


[1] Secondo R. Eugeni, il tema centrale della poetica di Kubrick consisterebbe nella crisi della razionalità e nella crisi del principio di controllo (R. Eugeni, Invito al cinema di Kubrick, Mursia, 1995, pag. 117). Quasi ogni studio dedicato all’opera del cineasta accoglie, in misura minore o maggiore, questa argomentazione. E. Ghezzi, ad esempio, sottolinea con insistenza, nella sua monografia per le edizioni del Castoro, il rapporto tra l’ossessione del regista di avere un controllo assoluto sulla lavorazione dei  film, e il tema del controllo nella sua opera.
[2] S. Ciaruffoli, Stanley Kubrick. Eyes Wide Shut, Falsopiano, 2003, pp. 42-43.
[3] Forever.. and ever… and ever” è l’espressione ripetuta in Shining dalle bambine gemelle delle visioni di Danny (“vieni a giocare con noi?… Per sempre… per sempre… per sempre”), e poco dopo dal padre, sempre al figlio.
[4] E’ una delle affermazioni kubrickiane più celebri e citate quella in cui il cineasta sostiene come “le scene più forti, quelle di cui ci si ricorda, non sono mai scene in cui delle persone si parlano, ma quasi sempre scene di musica e immagini” (originariamente in: M. Ciment, “Positif“, n. 139, 1972).
[5] Nel frattempo, infatti, avevamo visto, in un trionfo di ambiguità, Halloran vedere – forse – Danny, che vede – forse – il padre, nella stanza 237, il quale vede una ragazza nuda uscire dalla doccia, baciarlo, e trasformarsi in una vecchia in putrefazione la quale, contemporaneamente, avanza verso di lui e se ne sta distesa nella vasca, iniziando ad emergerne.
[6] Può essere interessante ricordare come, a complicare la rete di ambiguità di cui è intessuto Shining, c’è lo sdoppiamento del nome di battesimo di Mister Grady (un errore compiuto dalla mente di Jack?). Uno sdoppiamento scomparso nel doppiaggio italiano, mentre, nell’originale, il Delbert Grady della sequenza del bagno rosso viene inizialmente chiamato Charles Grady, da Ullman, nel colloquio di assunzione. Quello che i traduttori italiani avevano probabilmente ritenuto una svista di sceneggiatura, è invece un indizio ulteriore della germinazione fantasmagorica che ha luogo nella mente di Jack. Vedi sul punto il pregevolissimo saggio di G. Cremonini, Stanley Kubrick, Shining, Lindau, 1999, nota 2 di pag. 37.
[7] In Shining, “il labirinto più appariscente – quello esterno, disegnato dalla siepe – è solo uno tra gli altri (…). In particolare a esso si aggiungono l’albergo (…), i suoi sotto-labirinti (la cucina, la cella frigorifera, la dispensa), e infine la sua miriade di pseudo-labirinti (la moquette, le foto sulla parete nel finale, i fogli dattiloscritti di Jack e soprattutto il plastico). Evidentemente nel film si attua una proliferazione dedalica” (F. Cattaneo, La ragione evanescente. Nel labirinto di Shining, Cineforum 428, ottobre 2003).
[8] Vedi S. Ciaruffoli, op. cit., p. 68.
[9] Vedi S. Ciaruffoli, op. cit., p. 113.

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