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Anche i Nani Hanno Cominciato da Piccoli – Werner Herzog

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Un piacevole delirio. Uno spassoso delirio. Un disturbante delirio. La più nera delle commedie. Werner Herzog riesce a concretizzare in 1 ora e mezzo le sue turbe più recondite, plasmando un’opera destabilizzante ed “anticosmica”… questo film è un ghigno beffardo verso Madre Natura, è il capovolgimento di ogni logica, è la nemesi del razionale, è lo sprezzante elogio della difformità.
Interamente ambientato in una location arida, asettica, lunare (l’isola vulcanica di Lanzarote, nelle Canarie), che non può non rimandare ai landscapes descritti da F. Kafka in “Nella colonia penale”, esso ci rende testimoni partecipi della rivolta di un manipolo di nani dapprima contro l’autorità prestabilita nel loro istituto di cura (microcosmo), fino a giungere ad uno stato conflittuale “erga omnes”, in un climax distruttivo ed irriverente che si rivolgerà indistintamente a tutto il creato (animali, piante, credenze religiose, persino altri nani: macrocosmo), in una guerra senza campo.
Una guerra grottesca, surreale, aspra e malinconicamente drammatica.
La progressiva presa di coscienza e di posizione dei nani quasi non fa più avvertire la loro diversità, spostando il fulcro da un piano di mero svantaggio fisico verso quello concettuale…il caos, la ribellione al loro stato primordiale; la stigmatizzazione degli impulsi comuni ad ogni essere vivente viene resa nei toni della commedia paradossale, nella quale risulta davvero difficile non aderire alla sferzante vitalità di Hombre, Territory e Pepe (tre dei protagonisti).
Herzog coniuga con maestria e senza forzature farsa e dramma psicologico (da menzionare a tal proposito l’impossibilità dell’atto amoroso tra due nani a causa della difficoltà nel salire sull’ambìto talamo nuziale), furia incontrollata e lunghe pause di silenzio (una automobile viene fatta girare a vuoto mentre le vengono fracassati addosso piatti da cucina, il tutto in un fragore assordante, salvo poi passare improvvisamente a lenti “scrolling” della cinepresa su scenari a campo lungo desolati e fumosi); e nel dirigere un “ensemble” così eterogeneo e variegato di moods differenti, il regista dà prova di grande autorità e personalità, reggendo saldamente le fila della coerenza narrativa.
Herzog non ci propina il solito leit-motiv ipocrita e compassionevole dalle connotazioni pietiste, il suo non è un “exploitation movie”, bensì la prospettiva è virata a tal punto che i nani stessi divengono carnefici e non più vittime, deridono e non sono derisi, minacciano, aggrediscono, facendosi beffe di questo mondo. E del suo quotidiano. Non sono più loro i “mostri”, bensì qualsiasi “meta” che non sia alla loro facile portata (la maniglia di una porta, una moto, il letto menzionato poc’anzi ). La normalità come minaccia. Parallelamente in fase di montaggio la telecamera ha l’obbiettivo sempre tendente ad una prospettiva dal basso all’alto, per rendere ancor più coinvolgente e distorto il feeling scaturente dalla visione.
Tutto ciò che si vede è permeato da un’aura malsana e deviata, quasi come si assistesse ad una “freak version” dell’esistente: tale “morbo endemico” si rivela sin dalle prime sequenze, durante la cannibalizzazione ad opera di una gallina nei confronti di un’altra, zoppa, oppure nell’ammirare, credo per la prima volta, la medesima cibarsi di un topo…Herzog non ha limiti e ci rende (privilegiati) voyeurs della sua personale “mostra di atrocità”: insetti in abito da sposa, maiali uccisi, cammelli genuflessi, la memorabile sequenza della scimmia crocifissa, in un progressivo abbattimento di totem e tabù…ovviamente i soliti ambientalisti (per l’abbattimento di alberi e roghi di piante) ed animalisti hanno tentato, come per altri film dello stesso regista, di vietarne la visione e boicottarne la distribuzione, dimostrando ancora una volta che l’ottusaggine è nemica dell’Arte.
Ma ancora una volta mr. Herzog riesce a presentarci una sublime prova di “cinema titanico”, un “film per atleti”, come soleva definirli, dove solo una volontà indomita è in grado di oltrepassare ostacoli altrimenti insormontabili, come già successe per “Aguirre, furore di Dio” (dove gli attori rischiavano la vita su una barca in legno in mezzo ad un violento vortice) o in “Fitzcarraldo” -entrambi con protagonista il magnetico K. Kinski – (dove egli riuscì a far trasportare a degli indigeni una enorme nave in cima ad una montagna…).
La prova concreta di questa ferrea volontà al servizio dell’Arte, di questo spirito turbolento, tormentato, oserei dire “dionisiaco”, che da sempre ha animato le sue pellicole, è resa manifesta dai contenuti speciali di questa recente versione in DVD a cura dell’encomiabile R.H.V.(Ripley’s Home Video), dove egli stesso, in maniera molto dettagliata, descrive il rapporto instauratosi con gli attori, sottoposti ad un notevole sforzo interpretativo, tra aneddoti, curiosità, delucidazioni tecniche e “way of thinking” del cineasta di Monaco. Da segnalare inoltre la presenza di un suo raro documentario datato 1970, “Futuro impedito”, sulle malformazioni fisiche.
In conclusione, nessun epilogo mi pare più indicato se non la definizione sintetica e fulminante dello stesso “director” per descrivere le impressioni suscitategli da queso movie “unico”: la fine di un incubo. La verità estatica.

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