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Il tipo delle foglie – Fabio Izzo

2 min read

Terre d’ulivi Edizioni, 2024

ISBN 9791280766946

 

In un mondo in cui i social non erano ancora parte integrante e quasi superata della vita dei navigatori di Internet, scrissi uno dei primi post del mio blog parlando di poesia. Il suono futuristico di quelle parole ormai relegate alla paleoarcheologia (post e blog) mi riporta oggi alla mente l’idea di utilizzare vocaboli moderni nei versi poetici, lontani per opposizione dai bei suoni di un tempo.

Il post prendeva spunto da un’intervista televisiva a Edoardo Sanguineti in cui il membro del Gruppo 63 dava pressappoco questa definizione di poeta: colui che si presenta come tale di fronte al pubblico e dal pubblico viene riconosciuto come poeta.

Questi temi riemergono mentre leggo “Il tipo delle foglie” di Fabio Izzo (Terra d’ulivi Edizioni, 2024).

Che Izzo sia un poeta mi pare scontato. Vero è che il pubblico lo conosce principalmente per romanzi come “To Jest” e “Il nucleo” (Ed. Il Foglio), ma il gusto per la ricercatezza delle parole, per la composizione “poetica” della narrazione, per le immagini spesso sfumate e oniriche era già ben visibile ai suoi lettori. Questa però è la prima volta in cui si presenta con una raccolta di composizioni in versi, mutando coraggiosamente ma con naturalezza un’immagine consolidata negli anni.

La modernità che traspare dalle pagine di “Il tipo delle foglie” porta con sé ragionamenti sul senso e sulle modalità della comunicazione interpersonale e unipersonale, sulla solitudine della vita sublimata da uno schermo, sui pericoli della deumanizzazione che non provengono solo dall’intelligenza artificiale ma dall’uomo in sé.

Le composizioni alternano poesia e aforismi, incursioni di dialoghi e di narrativa, scritti inediti e altri già pubblicati sui social, in un percorso circolare che ha come origine e destinazione lo scrittore (“un bugiardo uomo in fuga con il naso pulito”).

La fragilità sublimata o la noia di un attimo si annullano in una realtà che procede senza che l’uomo possa interferire nel suo percorso. Non c’è sudore, impegno, ribellione, volontà di mutare la condizione del singolo o della società: ognuna di queste azioni costerebbe (inutilmente) troppa fatica, con il solo risultato di un avanzamento non significativo. La conseguenza è lo smarrimento, la soccombenza alla precarietà del “caporalato digitale”, la sconfitta (“l’Istat ha messo gli antidepressivi nel paniere”).

Per fortuna c’è la silenziosa presenza del tipo delle foglie a rincuorarci. Nonostante la sua operosità lasci poco tempo alle cose della vita, l’amore in primis, è lui che senza chiedere nulla trasforma la comprensione in condivisione, che riporta il concetto di umanità dal singolo al collettivo.

La sua presenza (e non importa se chi ne veste i panni cambia di giorno in giorno) ci porta lontano dalle delusioni e dallo smarrimento. L’importante è non essere tra chi è costretto a pagare di più per i biglietti del Paradiso.

 

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