GIUNGETE O FUGGITE?[1]
La Giovane Italia cantava:
Ainsi font, font, font, /Les petites marionnettes, /Ainsi font, font, font,/Trois petites tours et puis s’en vont[2]
No, non è la Giovine Italia mazziniana, ma l’Italia vera, quella nata da Garibaldi Cavour e sovrano suo Savoia, quella di cui tratta Normanna Albertini in questa sua fatica meritevole d’attenzione.
Un romanzo storico che interroga e s’interroga, con una pacata passione civile (e non paia una contraddizione in termini) sull’origine delle nequizie, sul perpetrarsi dei soprusi, su come finirla con entrambi, nella neonata Italia. L’Italia della fame; l’Italia cannoneggiata da Fiorenzo Bava Beccaris.
Molto diversa dai sogni dei carbonari che ne innervarono teoretiche e prassi rivoluzionarie. Quelle che a scuola ci fanno studiare male-malissimo (e l’autrice, in quanto educatrice, certo lo sa bene), riducendo ad una sorta di listino dei poveri Martiri, da imparare a memoria, la complessità di impianti filosofico-politici, che di questi Martiri civili animarono azioni e credenze ed immolazione alla Causa; impianti derivati dalle punte di pensiero più avanzate che furono poste in essere in quell’immenso crogiolo che fu la Rivoluzione Francese.
La Francia: un Paese contraddittorio, giacché la patria di Liberté Égalité Fraternité tollera, anzi, promuove, il massacrante lavoro minorile di piccoli italiani strappati alla montagna e alla padella della loro coazione al lavoro di pastorelli di armenti, per esser gettati nella brace (e non in senso solo metaforico) delle vetrerie per le bottiglie di Champagne, da faccendieri-lupi cattivi versione fine Ottocento.
Clermont-Ferrand: una città contraddittoria tanto quanto la sua nazione, dato che da lì partirono i primi fanatici fondamentalisti della storia dell’umanità (detti crociati), e sempre lì arrivarono gli esuli patrioti italiani che propugnavano una Patria Libera Una Repubblicana.
Parigi: una capitale contraddittoria, dato che i solenni principi rivoluzionari convivono con la Salpêtrière, ovverosia quella che i moderni sociologi della devianza chiamerebbero agenzia di controllo sociale, ed il gergo medico ospedale psichiatrico. E vi s’incontra Monsieur le Docteur, quello Charcot i cui esperimenti clinici sulle cosiddette “isteriche” saranno, di lì a qualche anno, la base di partenza per un altro Herr Doktor: Sigmund Freud
L’Italia neonata: un contesto socio-economico-culturale paragonabile, che so, all’odierno Afghanistan e similari. Schiavista e sessista. E pure colonialista, come ben sa uno shoccato reduce dalle prime avventure crispine in Nordafrica: Libero, lo Scemo del villaggio, l’Etichettato fin da piccolo perché figlio di una ragazza che scelse d’essere madre senza marito, una ragazza che non accettò di sposare il suo stupratore. E che non regge l’onta del biasimo e della miseria, piombando in una depressione che la fa demente.
Libero, che da fantasma profetico comparirà all’unica fanciulla che gli volle bene: Isabella, appunto, la protagonista principale del romanzo.
L’Italia nuova di zecca, in cui gli italiani, segnatamente i poveri, sono considerati dal Monarca Unificatore né cittadini, né sudditi, ma petites marionnettes. Carne da macello.
L’Italia in cui le donne sono tenute in conto di bestie da contadini che le violentano con la garanzia dell’impunità. E sulla poveretta non solo il carico orrendo della violenza subita, ma anche il ludibrio sociale e la povertà più nera per sé e per la sua creatura, quando decide di tenerla senza padre anziché condannarla a quasi certa morte nel Lager-Brefotrofio.
Carne da macello; petites marionnettes per di più a loro volta alienate e rinchiuse a doppia mandata in ospedali psichiatrici-lager anch’essi. Basaglia, per inciso, arriverà solo cent’anni dopo…
Poiché nella società c’erano preconcetti, norme accreditate, regole e usanze difficili da correggere o da sradicare ma, più di tutto, perché il mondo collocava le donne più in basso degli uomini, come eterne minorenni incapaci di autogestirsi, e non vedeva di buon occhio chi tentava di metterlo in dubbio. (pag.8).
L’Italia confusa, in cui l’esser preti non è sempre sinonimo delle retrivie curiali d’ogni tempo e potenza condizionatrice; dove esser preti può significare morire giustizati per liberalesimo e patriottismo (prima dell’unificazione) od egualmente morire giustiziati da un assassino anarchico e disperato (dopo l’unificazione).
Note stonate: lo stile a volte è ancora troppo saggistico, ed il lieto fine pare snaturato dal contesto e dall’impianto narrativo; quasi un posticcio esorcismo della brutalità del Male.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Normanna Albertini (Canossa, Reggio Emilia, 1956), romanziera italiana.