«Devo dipingere una parete grande, ci vuole un pennello grande»
(pubblicità anni ‘80 di Pennelli Cinghiale)
Per uscire dai momenti di grande crisi è necessario trovare un altrettanto grande coraggio per elaborare grandi riforme, proporle e attuarle.
Ed è proprio ciò che desidero iniziare con questo articolo: proporre 5 princìpi per rifondare il Diritto Internazionale Pubblico in una stagione ormai trentennale nella quale la comunità internazionale sta vivendo la sua più profonda crisi di identità.
5 princìpi, 5 parole, 5 G, senza alcun riferimento alla quinta generazione di tecnologia applicata alla telefonia mobile ma solo alle iniziali delle parole scelte per rendere condivisibile questa coraggiosa proposta.
Dunque, Generazionalità, Generatività, Gratuità, Governabilità e Gravità per un nuovo modello di Diritto Internazionale Pubblico.
L’attuale crisi del Diritto Internazionale Pubblico
Nel 1948 Vittorio Emanuele Orlando[1] inaugurava l’anno accademico dell’Università La Sapienza di Roma con un discorso dal titolo più che esaustivo «La crisi del Diritto internazionale»[2] nonostante la promettente era apertasi all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale e l’ottimismo condiviso per il nascente sistema onusiano in cui la comunità internazionale poteva riunirsi per prevenire o ricomporre eventuali controversie e non ricadere nella tragedia della guerra.
A distanza di anni, purtroppo, le promesse e l’ottimismo sono andati progressivamente stemperandosi in un violento realismo che ha assunto prima i connotati della guerra fredda con la contrapposizione tra i due blocchi Est-Ovest, poi con l’ormai infinita guerra al terrorismo globale: quindi, purtroppo ancora guerra, distruzione, morte.
Eppure, anche alla comunità internazionale si è soliti applicare la locuzione latina «Ubi societas ibi ius» (dove si trova una società, lì vi è del diritto) e la sua versione speculare «Ubi ius ibi societas» (là dove c’è un diritto, lì si trova una società) e, nonostante i dubbi sulle origini della frase, essa rappresenta un assioma per giuristi, politologi e sociologi.
Il modello, però, pare ora essersi rotto, e ciò almeno dal 1991/1992, vale a dire dalle operazioni contro l’Iraq[3] di Saddam Hussein in seguito all’invasione del Kuwait e alla missione Onu in Somalia[4].
Da una parte, la prima guerra del Golfo, ritenuta da molti giusinternazionalisti a cui mi associo l’ultima operazione legittima di uso della forza sotto l’egida delle Nazioni Unite; dall’altra, la “vergogna” Somalia, in cui alcuni membri della comunità internazionale (Stati Uniti in primis) hanno iniziato a dar prova di considerarsi superiori alle norme che si cercavano di imporre agli altri con la stessa forza, inizio della fine.
Dal 2001, poi, con gli attentati dell’11 settembre[5] e le successive azioni in Afganistan e Iraq, si è consacrata la norma per la quale tutto è lecito per difendere i propri interessi (concittadini, territorio, beni, aziende, valori) contro presunti, reali o potenziali minacce da parte di chiunque, senza la necessità di un preventivo pronunciamento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu circa la legittimità del ricorso all’uso della forza.
L’etichetta «terrorista» ha iniziato, quindi, ad essere utilizzata in maniera abbastanza strumentale in contesti spesso alieni al fenomeno che si voleva contrastare.
Da trent’anni dunque stiamo assistendo allo sgretolamento del sistema di Diritto Internazionale Pubblico e ritengo che ora sia giunto il momento di porre le basi per avviarne uno nuovo: non riprendere o restaurare quello passato, bensì idearne uno ex-novo, basato su nuovi princìpi e nuove categorie.
Le 5 G per un nuovo modello di Diritto Internazionale Pubblico
La tradizione giuridica romanista riconosce a Domizio Ulpiano[6], vissuto a cavallo tra il II e il III sec. d.C., la precisa definizione dei tre principali precetti posti alla base del diritto: «Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere» (le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non arrecare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo).
Princìpi questi che possiamo ritrovare concretati negli ordinamenti giuridici di ogni epoca e alle più diverse latitudini.
Se i sistemi statuali hanno avuto buon gioco a consolidare nei secoli sistemi che sviluppavano questi tre semplici precetti, diverso è ciò che è capitato e capita alla comunità internazionale che fatica a riconoscersi in chiari e semplici iuris pracepta su cui fondare il suo diritto condiviso.
Ecco allora che, desiderando superare Georg Jellinek[7], che nel 1880 sosteneva «La comunità degli Stati è di natura puramente anarchica, e il diritto internazionale, perché proviene da una autorità non organizzata e che non possiede quindi un potere sovrano, si può ben a ragione designare come un diritto anarchico, il che, nel contempo, spiega le sue imperfezioni e le sue lacune»[8], mi cimento nel proporre qui cinque modernissimi iuris gentium praecepta, per i quali propongo l’etichetta di “5 G del Diritto Internazionale Pubblico”.
5 G, cinque princìpi , cinque precetti, cinque categorie su cui fondare un nuovo sistema di relazioni a livello internazionale in un mondo che è differente da quello di Ulpiano, da quello di Jellinek e pure da quello in cui io stesso ho iniziato a coltivare il diritto internazionale trent’anni fa.
Le 5 G sono quelle che indicano i princìpi di Generazionalità, Generatività, Gratuità, Governabilità e Gravità, con una voluta e ricercata contaminatio da discipline altre rispetto al Diritto ma che permettono di disegnare un modello integrale, olistico e sostenibile.
Iniziamo con la Generazionalità. Oggi come non mai risulta evidente la interconnessione tra le diverse generazioni che si succedono sul pianeta Terra: gli squilibri che stiamo vivendo a livello di sistema sono le conseguenze delle scelte dei nostri padri e a noi spetta agire in modo da preservare quanto più possibile ciò che abbiamo per le generazioni future.
Non si tratta qui di un teorico discorso sui diritti umani delle generazioni future e nemmeno di un generalissimo richiamo all’impegno per contrastare il cambio climatico, bensì della presa di coscienza della improcrastinabile necessità di regolare i rapporti all’interno della comunità internazionale con una precipua attenzione alla dimensione intergenerazionale al fine di garantire la possibilità di conservazione dell’unico pianeta a nostra disposizione per il perpetuarsi del genere cui apparteniamo.
Potremmo parlare di diritti e doveri intergenerazionali della specie umana che obbligano a una complessiva revisione di interessi, priorità e prospettive tanto delle politiche locali quanto di quelle globali e che impone di rivedere pure le classiche categorie della soggettività giuridica internazionale a cui accennerò in seguito.
Il principio, in sintesi, deve garantire il godimento dei diritti attualmente riconosciuti anche alle future generazioni umane e, in particolare, il diritto all’esistenza.
Proseguiamo con la Generatività, termine con il quale intendo l’attitudine propria del genere umano in tutte le sue manifestazioni, individuali, personali, comunitarie e sociali, di generare.
Capacità generativa che ricomprende tanto gli aspetti biologici, quanto quelli fisici e metafisici che debbono essere fatti oggetto di adeguata regolamentazione e tutela.
Infatti, gli umani sono capaci di riprodursi come ogni altro essere vivente ma al contempo hanno sviluppato la possibilità di produrre beni materiali e immateriali attraverso processi perfezionati nel corso dei millenni o per particolari doti innate.
Che si tratti della prole, dei frutti del proprio orto, della statua intagliata nel marmo o di un’ode in pentametro giambico, la comunità internazionale deve trovare le forme appropriate di tutela non solo dei singoli beni considerati meritevoli ma pure delle categorie cui essi appartengono e addirittura della capacità generativa da cui scaturiscono.
Immediatamente collegato ai precedenti, vi è il principio della Gratuità. Principio che collide in modo brutale con il concetto di sinallagmaticità del do/facio ut des/facias del diritto civile, secondo il quale, in maniera esemplificativa, ad una prestazione di dare/fare ne corrisponde una corrispettiva di dare/fare e, allo stesso tempo, supera con un salto quantico le clausole di reciprocità dei tradizionali strumenti internazionalistici tra pari, ma pure quelle c.d. “della nazione più favorita” tipiche di una visione paternalista delle relazioni internazionali.
Con la Gratuità, il consesso delle nazioni torna a essere una comune famiglia umana all’interno della quale i rapporti sono guidati dal solo interesse incondizionato della realizzazione del bene comune: la stessa generosità è cifra inferiore rispetto alla Gratuità.
Giungiamo poi al principio della Governabilità che si pone quale antidoto alla lamentata anarchia della comunità internazionale, e che per essere reale dovrà comportare un amplissimo processo riformatore della comunità internazionale e dei suoi strumenti organizzativi ormai superati (in prima battuta, il sistema delle Nazioni Unite nel suo complesso).
Il sistema deve garantire a sé stesso una buona gestione, un “buon governo” nel senso lorenzettiano del termine[9], improntato su efficacia, efficienza ed effettività della sua azione, sapendo manovrare saggiamente le leve della sussidiarietà, solidarietà e sovranità e ponendo comunque sempre al centro dell’azione il bene comune in una sua concezione riveduta e omnicomprensiva.
Ultimo ma non meno importante, e bisognoso di maggiori chiarimenti per la sua presa in prestito dalla fisica classica, troviamo la Gravità, intesa non come forza conservativa di attrazione che si manifesta tra corpi dotati di massa secondo la legge di gravitazione universale, bensì come capacità di una norma di Diritto Internazionale di “attrarre” a sé i soggetti/oggetti cui è destinata esplicando su di essi gli effetti regolatori desiderati.
Dunque, quasi un effetto waterfall (cascata) che, anche nel rispetto del precedente principio di Governabilità, dovrà essere necessariamente rilevabile, misurabile, valutabile, modificabile, comunicabile.
Il futuro auspicabile del Diritto Internazionale Pubblico
Se queste sono le 5 G, i cinque precetti per il nuovo modello di Diritto Internazionale Pubblico che desidero proporre per avviare una riforma, non posso nascondere difficoltà e ostacoli che già vedo lungo il cammino.
Innanzitutto, se sul carattere anarchico della comunità internazionale possono esistere divergenze di opinioni, nella dottrina si è consolidata una communis opinio almeno sulla sua inerzia, caratteristica che le impedisce di adottare decisioni rapide di fronte a imprevedibili accadimenti e che funge da freno alle misure di adeguamento strutturale per mostrarsi al passo coi tempi.
Per nulla propensa alle rivoluzioni e poco incline alle riforme, la comunità internazionale e i giuristi che ne tessono gli abiti sono più avvezzi a un lavoro di fine interpretazione al fine di una evoluzione controllata del sistema.
Ciò ostacola una crescita spontanea della comunità e del suo diritto: sovente a trasformazioni epocali della società civile globale non corrisponde l’adeguata produzione di un nuovo impianto normativo.
Solo a titolo di esempio, e per riprendere un accenno introdotto poco sopra, per portare a compimento la realizzazione del Nuovo Modello basato sulle 5 G andranno riviste le categorie dei soggetti di diritto internazionale, prima tra tutte quella delle persone fisiche: esse dovranno godere di piena e completa soggettività a titolo individuale, personale, comunitario e sociale, con tutto ciò che ne consegue in tema di diritti fruibili e obblighi esigibili.
Accanto alle persone fisiche, vi sono poi le aziende multinazionali, spesso più potenti e ricche degli stati, e anche per loro andrà delineata una categoria speciale e un particolare corpus iuris.
Sinceramente, non so se la comunità internazionale oggi abbia la maturità per aprire un confronto su una proposta tanto dirompente quale quella qui succintamente presentata. Innegabile è però che sempre nuove necessità emergono e che da più parti si levano voci, ora flebili, ora decise, per richiamare l’attenzione della società civile e della classe politica globale.
«Gutta cavat lapidem», la goccia scava la pietra e noi siamo tante piccole gocce.
«Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello»
(pubblicità anni ‘80 di Pennelli Cinghiale)
[1] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Emanuele_Orlando
[2] Cfr. Orlando V. E., La crisi del Diritto internazionale, in Annuario dell’anno accademico 1948-1949, DCXLVI dalla fondazione, Università degli studi di Roma, Roma, 1951.
[3] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Golfo.
[4] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/UNITAF
[5] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Attentati_dell%2711_settembre_2001
[6] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Ulpiano
[7] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Georg_Jellinek
[8] Cfr. Jellinek G., Die rechtliche Natur der Staatenverträge: Ein Beitrag zur juristischen Construction des Völkerrechts, Wien A. Hölder, 1880, in italiano La natura giuridica degli accordi fra Stati. Contributo all’edificio giuridico del diritto internazionale, traduzione di Giuliana Scotto, collana Diritto (n. 11), il Sirente, Fagnano Alto, 2012.
[9] Cfr. Piccinni G., La gente e le cose. Il Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, un racconto medievale, Inaugurazione del 778° anno academico dell’Università di Siena, 24 novembre 2018.