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Bazooka europeo, dalla crisi al rilancio del progetto unionista

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«Non c’è accordo fra i 27 se prima non c’è un accordo franco-tedesco»

(Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese)

Ce l’abbiamo fatta! 

Germania e Francia hanno trovato l’accordo sul Recovery fund, il fondo per fronteggiare la crisi da coronavirus meglio noto come bazooka europeo.

Una notevole potenza di fuoco che si aggiunge all’arsenale di MES, SURE, PEPP, BEI e BCE per oltre 2.000 miliardi di euro.

Ora bisogna solo superare le ritrosie di alcuni Paesi un po’ riottosi ma l’opportunità è unica: l’Unione Europea può avviare una stagione di rifondazione e rilanciare il suo audace progetto unionista.

Il bazooka economico europeo

Allora, sembra proprio che ci siamo: l’Unione Europea metterà a disposizione dei 27 Paesi membri oltre 2.000 miliardi di euro, attraverso un variegato arsenale economico-finanziario per rispondere in maniera adeguata alle conseguenze della pandemia da coronavirus.

Da più parti si usa la metafora del bazooka europeo ma, vista la molteplicità di strumenti di cui si comporrà l’intervento, è più corretto parlare di un vero e proprio arsenale per rimanere in ambito militare.

E come spesso è accaduto negli ultimi secoli di storia, l’accordo (o il disaccordo) tra Berlino e Parigi anche in questo caso ha segnato la differenza tra il prima e il dopo e traccerà il prossimo futuro dell’Unione Europea.

Vediamo ora nel dettaglio di quali sono le bocche di fuoco in questa santabarbara. 

Non ci saranno, salvo improbabili sorprese, i tanto invocati Coronavirus bonds o Solidarity bonds, obbligazioni emesse dalla BCE, la Banca Centrale Europea, e garantiti dall’Unione per finanziare interventi infrastrutturali nei Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia e di cui abbiamo trattato su queste pagine, ma le richieste del Governo italiano e l’impegno in prima linea del Commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni hanno consentito di raggiungere ben altri traguardi.

In primis, il Meccanismo Europeo di Stabilità, il famigerato MES, anche conosciuto come Fondo salvastati, metterà in campo 240 miliardi di euro con la sola condizione di essere impiegati per investimenti a breve termine nei settori delle infrastrutture sanitarie: si tratta di prestiti agevolati, con un basso tasso di interesse e un largo periodo di rimborso, privi delle strette condizionalità del passato, in particolare la supervisione della cosiddetta Troika (la triade formata da Commissione Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale). A questo l’Italia potrebbe richiedere circa 36 miliardi. 

Di ulteriori 100 miliardi di euro si parla con il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency), lo strumento europeo di sostegno per mitigare i rischi della disoccupazione in caso di emergenza. SURE offre garanzie a carattere volontario che, per esempio, l’Italia potrà impiegare per la cassa integrazione guadagni delle imprese in crisi. 

Rivolti invece a imprese ed enti pubblici locali sono i 200 miliardi del fondo che la BEI, la Banca Europea per gli Investimenti, conta di lanciare a breve con una garanzia del proprio capitale ed una importante raccolta sui mercati internazionali. 

Diverso il ruolo della BCE che, per statuto, non può intervenire direttamente a finanziare gli Stati membri. Grazie alla guida illuminata ed evolutiva della passata gestione di Mario Draghi, oggi portata avanti a fatica da Christine Lagarde, attuale governatrice, la Banca è riuscita a ritagliarsi un suo importante ruolo.

Nello scorso mese di marzo, inoltre, ha visto la luce il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme, Programma di Acquisto per l’Emergenza Pandemica), con il quale Francoforte si impegna all’acquisto di titoli emessi dai Paesi membri per un totale di oltre 1.000 miliardi di euro entro la fine dell’anno, contribuendo in questo modo al controllo dei tassi di interesse intraeuropei.

Ma la misura più sorprendente è quella del Recovery fund, il Fondo per la Ricostruzione, il Piano Marshall per uscire dalla crisi da Covid-19 che gestirà la Commissione Europea da Bruxelles: altri 1.000 miliardi di euro a fondo perduto dal bilancio pluriennale dell’UE 2021-2027.

Uno strumento ambizioso, che la decisa azione diplomatica del nostro Governo è riuscito a porre come prioritario in ambito di Consiglio europeo e far accettare a molti partner europei.

In particolare, la situazione sembra essersi avviata verso un felice esito dopo l’ultimo incontro bilaterale franco-tedesco, ove i due rispettivi primi ministri si sono apertamente dichiarati a favore del varo di questo fondo e ne sono divenuti i principali sostenitori per il rilancio dell’economia europea.

Tali risorse sarebbero destinate in proporzione differente secondo i danni subiti dalla pandemia e risponderebbero alle medesime norme di progettualità rafforzata dei classici strumenti europei (programmi e fondi strutturali). 

Per l’Italia un’opportunità e una doppia sfida: l’opportunità dei 100 miliardi di euro attesi e le sfide della capacità di tecnica di gestione.

Gestione delle procedure pubbliche da parte di amministrazioni centrali e locali, e delle professionalità necessarie nella progettazione e gestione degli interventi sul territorio. Tutti elementi che risultano fondamentali per impiegare al meglio le risorse destinate al nostro Paese e non dover recriminare su eventuali restituzioni o contribuzioni nette al bilancio dell’Unione per incapacità o mancato utilizzo, come spesso avvenuto in passato per i fondi strutturali. 

Il confronto si è appena aperto e bisognerà ora attendere il Consiglio Europeo di fine mese per la resa dei conti tra Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia da una parte e Grecia, Italia, Portogallo e Spagna dall’altro, con Francia e Germania ora nettamente schierate a favore del fronte meridionale, e gli altri in ordine sparso a capire valutare costi, benefici e ricadute del nuovo fondo.

La crisi sistemica integrale

L’Unione Europea sta vivendo una crisi che non è solo economica, derivante dalla pandemia da coronavirus.

Per essere onesti, questi sono gli strascichi di quella del 2007-2008: radicalizzata e divenuta sistemica, gli Stati nazionali e le istituzioni europee hanno nel corso degli anni avuto enormi difficoltà ad avviare strategie efficaci di contrasto e recupero. 

A questa, inevitabilmente si aggiunge una profonda crisi sociale dovuta all’impoverimento di larghi strati di popolazione e alla creazione di nuove sub-classi a rischio di marginalizzazione

Ovvia conseguenza delle precedenti è la sempre più diffusa crisi della rappresentanza politica che si manifesta tanto a livello europeo quanto all’interno dei singoli paesi con uno disamoramento verso l’impegno istituzionale, la chiusura nazionalista, il dilagare di populismo ed euroscetticismo.

Un intero universo critico che si può sintetizzare con l’etichetta di crisi sistemica integrale.

Il rilancio del progetto unionista

Ecco perché risulta miope non comprendere come il lancio del bazooka europeo, il Recovery fund, nel quadro del complesso sistema da 2.000 miliardi di euro per sostenere l’uscita dalla crisi pandemica, rappresenta un’occasione unica per l’Unione Europea e le sue istituzioni, i 27 Stati membri, i popoli e i cittadini europei.

Dobbiamo sfruttare la rinnovata presa di responsabilità da parte di Germania e Francia quali autorevoli guide del partenariato europeo e al contempo capire e giocare al meglio il ruolo ispiratore dell’Italia nel quadro politico-diplomatico di questa Unione in divenire.

Berlino, Parigi e Roma hanno capito che il futuro o sarà comune ed europeo, e quindi proficuo per tutti, o non sarà: ora devono farlo capire agli altri.

L’Unione ha il compito di puntare ad un nuovo orizzonte per raggiungere il quale è urgente aprire una importante stagione di riforme sul funzionamento delle istituzioni e le concrete politiche.

Ci troviamo davanti a un bivio cruciale: sfruttare le risorse economiche e di motivazione liberate dalla volontà di ripresa per tornare ad essere protagonisti sulla scena internazionale o sprecarle in operazioni di finanza conservativa e ridurci a un mero circolo finanziario di periferia, schiacciati tra Stati Uniti, Russia e Cina, giganti perennemente in lite tra loro.

Urgente è avviare un sistema di azioni concrete ed effettive per il presente prossimo dell’Unione. Un sistema in cui conoscenze tecniche, coraggio politico e visione profetica producano innovazione politica, sociale, economica e culturale.

Allora sì che i colpi sparati dal bazooka europeo saranno andati a buon segno!

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