Santiago lo ritroviamo nel profondo sud dell’Argentina. Un luogo ostile, pieno di neve, solitario, selvaggio. Santiago lo ritroviamo con i capelli lunghi, distrutto, lo vediamo percorrere una nuova strada, quella che ha scelto dopo la tragedia che l’ha colpito.
L’inizio del film infatti ci ha mostrato Santiago con la sua famiglia. La bella moglie, Milli, e una bambina piccola, Josefina. Santiago e Milli restaurano mobili antichi e si occupano del design degli interni di alberghi e palazzi. Hanno parecchi soldi, una casa fantastica e sembra che siano felici.
Poi la tragedia.
Un incidente automobilistico spezza la loro vita.
Santiago rimane da solo, la sua esistenza è sconvolta.
Santiago lo ritroviamo nel profondo sud dell’Argentina.
La sua nuova strada è quella dell’autodistruzione.
Santiago sta intraprendendo un viaggio verso il fondo, questa volta non si cerca nessuna conoscenza, questa volta si va giù perché la vita è diventata impossibile, perché i demoni del passato non lo lasciano in pace, Santiago corre verso l’abisso per non affrontare i fantasmi del presente.
Il regista, Pablo Trapero, racconta questa parte del film in maniera bellissima. L’idea di rappresentare il gelo interiore ed emotivo con la scelta di un paesaggio altrettanto freddo e arido è la cosa migliore del film. La vita di Santiago si è ridotta al vino, a centinaia di sigarette, a foglie di coca da masticare e al suo semplice lavoro.
Un aeroporto.
In un luogo ai confini del mondo esiste un aeroporto e delle persone ci devono lavorare.
Insieme a Santiago troviamo quindi altri due personaggi. Robert, un uomo di trent’anni, anche lui votato alla propria discesa verso il fondo ma con una consapevolezza in più, quella di una scelta fatta, di non aver nessuna colpa da espiare e nessun trauma da nascondere. E poi Cacique, un indiano che affronta la vita e la sorte con un distacco assoluto. Distacco che non significa aridità ma solo profonda conoscenza di come le cose vadano e di come noi uomini nella maggior parte delle volte non possiamo farci nulla. Si prende la vita come viene, soprattutto nella tristezza dei suoi dolori.
Fra i tre si crea un bel legame di amicizia, dove nessuno domanda agli altri le proprie angosce, dove si tira avanti affrontando il futuro con l’immancabile bottiglia di vino e una sigaretta tra le labbra.
Il fatto è che a me le storie di questo tipo piacciono da morire.
Da un punto di vista narrativo le storie che trattano l’autodistruzione o il viaggio verso il fondo hanno un fascino tutto particolare.
Qui il regista riesce molto bene a costruire lo stato d’animo del protagonista, facendoci partecipare del suo dolore e della sua discesa.
In un paesaggio fatto di un bianco sporco, di una solitudine silenziosa e perenne, l’esistenza dei tre tira avanti fino al punto in cui ognuno di essi si ritrova ad affrontare quella vita che troppe volte ha cercato di mettere da parte. Per Robert sarà la notizia di un figlio che aspetta la sua donna, che non vede da oltre tre mesi. Per Cacique sarà la morte della moglie. Per entrambi il destino gioca uno scherzo, opposto nella sostanza (una nascita e una morte) ma che comunque li pone davanti ad un cambiamento.
E anche Santiago avrà una notizia che potrebbe cambiare di nuovo la sua esistenza.
Il valore del film è quindi nella descrizione sia interiore che esteriore di come una dramma possa distruggere la vita. Ma anche nel mostrare la fuga e l’abbrutimento umano come forma di rivolta dell’uomo stesso contro la crudeltà del destino.
Un consiglio, gli ultimi cinque minuti del film dimenticateli appena usciti dalla sala.
Fate finta di non averli visti.
Oppure dategli un’interpretazione diversa da quella che le semplice immagini suggeriscono.
Solo nei sogni ti rivedrò.
Questi i versi della stupenda canzone di apertura e chiusura.
Bene, fate finta allora che il finale sia solo un bel sogno.