KULT Underground

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Tutto il grillo che conta – Beppe Grillo [#5]

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C’era una volta un clandestino pubblico…

 

 

 

7. che cosa hai fatto, grillo? – la combriccola del blasco

Quando Beppe Grillo aveva ormai vinto ben sei Telegatti, di punto in bianco, lasciò la televisione per dedicarsi al teatro. Io avevo una decina d’anni.

Cos’era successo?

Un bel giorno, a quasi quarant’anni, nell’87, questo signore aveva combinato qualcosa di grosso. Di davvero brutto. Una cosa simile a quella che aveva fatto in quello stesso anno Adriano Celentano, il quale – mi pare incitando gli italiani a non donare gli organi – fu cacciato non solo da Fantastico, ma da tutta la tv per qualche tempo. Eppure, a me Celentano stava simpaticissimo. Avevo visto tutti i suoi film insieme alla mia famiglia. Ci faceva tanto ridere. Era genuino, diceva la sorella maggiore della mia migliore mia amica. Voleva dire che era buono, quasi da mangiare. Allora, scusate, perché lo cacciano? Cos’aveva detto di così grosso, di così riprovevole, di così oltraggioso da costringerli a imbavagliarlo?

Quando Celentano, nello stesso periodo del comico genovese, scomparve dalla televisione, a un certo punto mi fermai e pensai: ma, allora, forse, allora, Grillo, allora, forse aveva ragione anche lui? Forse i grandi venivano sempre censurati proprio perché erano grandi? Forse i grandi venivano messi in croce perché erano rivoluzionari come Gesù? La suora non me l’aveva mai detto, che Gesù era un rivoluzionario. Ci avevo pensato da sola: i capelli lunghi, la pace, l’amore, i piedi scalzi, i suoi raduni come concerti hippy in giro per il mondo, la sabbia, la polvere, il sole, i bambini, e ancora l’amore…

Nel mio immaginario infantile, Gesù era una sorta di giovane Ruggero figlio dei fiori, il Ruggero-Carlo Verdone che, nella triplice avventura di Un sacco bello, si presenta davanti al ricco padre masticando un chewing-gum, vestito con un abito largo, bianco, lungo, una specie di camicia da notte, coi capelli lunghi un po’ sporchi e una ragazza come lui al suo fianco. Ecco, quel Verdone mi sembrava molto simile a Cristo, no?. Forse, allora, avevano tutti qualcosa in comune, Gesù, Grillo, Celentano, i ribelli, i giovani in protesta e anche Mia Martini, la cantante calabrese che, a un certo punto, per la maggior parte del pubblico italiano aveva smesso di essere una brava cantante, una brava persona, e aveva iniziato a essere una delinquente, una criminale, una drogata.

Era l’inizio della sua carriera. Mimì Bertè cominciava appena a cantare e a farsi strada. Aveva una voce particolare, bellissima, un carattere forte – troppo forte per l’Italia del tempo (e quella di oggi). Era una donna, una giovanissima donna. Era bravissima. Troppo brava. Troppo – fragile. La via del successo, si sa, è comunque laboriosa anche per i migliori. Quando, nel’65, fu finalmente invitata da Lelio Luttazzi al suo celebre show, Studio 1, la Bertè pensava di essere arrivata da qualche parte. Di aver conquistato la prima tappa. Quella fu invece in assoluto la sua ultima apparizione col nome Mimì Bertè. Il 19 agosto 1969, a 21 anni, mentre si trovava in Costa Smeralda con degli amici, Mimì Bertè veniva arrestata e trasportata nel carcere di Tempio Pausania (in provincia di Sassari) per possesso di “35 mg. di fumo“. Rimase in carcere per ben quattro mesi. Rimase marchiata per sempre. La gente non la volle più sul palco. Suo padre non la voleva più da tempo. Finché Mimì non cambiò nome. E divenne Mia.

Se l’appellativo della Bertè era infatti collegato al vocabolo eretico droga, di certo la cantante – e il suo nome – dovevano nascondere una personalità mostruosa. Non c’erano patate, lesse o bollite. Quando uscì, Mia Martini non era più nessuno, non aveva nemmeno il diritto di cantare o di essere ascoltata. Poteva far male, poteva contagiare solo a nominarla tre volte. A un certo punto, per la giovane cantante calabrese, semplicemente era finita. Lei stessa poteva dirsi portata a termine, chiusa, depennata. Fu così che il suo impresario le disse Cambia nome. Scegli un appellativo che ti renda riconoscibile anche all’estero e che ti dia un’altra chance in Italia. Magari si dimenticano chi eri e dicono, ecco, finalmente una nuova faccia.

Nel mondo, all’epoca, conoscevano l’Italia per il Martini e gli spaghetti. Mia Bertè decise per la bevanda alcolica. Cambiato nome, fu più o meno mondata anche dai suoi peccati. Per un certo periodo, sembrò che tutto potesse tornare come prima. Che alla cantante avessimo veramente dato una seconda opportunità (anche se non credo stesse a noi pubblico decidere di darle o non darle un’ulteriore possibilità. Noi pubblico che c’entravamo, infatti, con il carcere, con la condanna o non condanna di Mia Martini? Lei cantava? Sì. Cantava bene? Sì. Ci piacevano le sue canzoni? Sì. E allora, non potevamo continuare ad ascoltare, appunto, la sua bella musica, senza bombardarla con alcun tipo di giudizio, senza indagare e sentenziare sulla sua vita privata? No. Assolutamente, no. Scusate, mi dimetto.). Sappiamo tutti come andò a finire la storia di Mia Martini. Meglio andò invece a Vasco Rossi, il poeta-cantante del dissenso, il quale però dovette uniformarsi alla morale comune o – ancora meglio! – diventare un po’ spinto, per scrostarsi dalle balle (come le chiama Grillo) la fascetta con su ricamata una siringa a cinque punte che ogni tossicodipendente deve indossare ogni volta che esce di casa. Meno male che ancora non ci tatuano.

Tu? Eroina. Ti tatuo il codice degli oppiacei. Tu? Cocaina. Codice degli eccitanti. Tu? Tavor, no no, scusi, quello era ieri. Alcol. Non ti vedo sicuro. Certissimo, è alcol! Va bene, dài, facciamo così. Tatuiamo il codice delle sostanze euforico-depressive. Solo per oggi, però. Se ti becco un’altra volta impreparato sulla sostanza di cui ti fai, ti tatuo il listino intero delle droghe pesanti sulla pelle. E vedrai che devi pure crescerei qualche centimetro. Ci serve più superficie su cui incidere, capisci? Sì. Lo sai, oggi le droghe leggere non esistono più.

Meno male, dico, che non siamo ancora arrivati a questo punto.

Tutti i grandi, allora, venivano additati come mostri? Forse. Non era giusto. Io ero piccola. Non era per niente giusto.

 

 

Quando Luttazzi distribuì cibo gratis ai piccioni per protesta

 

Oggi, per instaurare un regime,

non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag,

né di un golpe sul palazzo d’Inverno.

Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa:

e fra di essi, sovrana e irresistibile, la televisione.[i]

 

Col tempo, molto più tardi, quando cominciavo a capire, poi quando capivo, e ancora adesso, che non so più se capisco, e se capirò mai più, molti altri si unirono alla mia lista di Gesù e Grillo. Luttazzi, Guzzanti, Biagi, Paolo Rossi, Massimo Fini, Santoro, Dario Fo[ii], Tagliafico e De Bortoli (censurati, proibiti, messi all’indice per sempre[iii]), ma pure Iannacci e Gaber e lo stesso Celentano, che si vedevano sempre meno in televisione, avevano qualcosa in comune, fra di loro e con il gruppo di Grillo. Oltre tutte le questioni politico-satirico-sociali, oltre i bavagli le proteste gli spettacoli in contemporanea teatrale, mi erano, e soprattutto mi sono, simpatici da morire.

Nel 2002, dopo la durissima censura televisiva operata all’ultimo momento e senza una effettiva spiegazione – processo dettagliatamente illustrato nel film Viva Zapatero[iv], di Sabina Guzzanti – su Raihot, programma satirico di Sabina Guzzanti, da una non troppo convinta Lucia Annunziata, allora dirigente Rai (per intenderci, la giornalista il cui programma di mezz’ora Berlusconi ha sdegnosamente abbandonato nel corso dell’appena trascorsa campagna elettorale 2006), sono felice di poter dire che l’Italia si mosse contro la censura. Vari teatri, infatti – l’epicentro era nell’enorme Auditorium di Roma, pure strapieno, tanto che io, insieme a una folla nutritissima di curiosi e appassionati, seguivo lo spettacolo sul megaschermo, seduta nel parcheggio antistante il teatro –, trasmisero, gratuitamente e simultaneamente, in diretta nelle proprie sale, quello stesso spettacolo che l’indefessa dirigente Rai aveva inspiegabilmente bocciato. Tra gli ospiti, si contavano anche Grillo e Luttazzi, i quali però non si trovavano in sala. Il secondo, che parlava da un parco milanese, manifestò – gioiosamente e comicamente, come del resto fecero tutti gli altri comici invitati – il proprio dissenso proponendo una sorta di boicottaggio totale a certi organi della politica e della comunicazione italiana. Grillo, invece, fu raggiunto telefonicamente. In quel momento era infatti impegnato in un altro spettacolo. Ricordo perfettamente come il comico genovese esordì al telefono. Bastò una frase per stemperare la tensione. Scusate?!, – strillò attraverso il microfono, come quelli che innalzano il tono della voce in misura proporzionale alla distanza dell’interlocutore – scusate fatemi capire: avete chiamato voi o ho chiamato io? Solo per sapere chi sta pagando, qui. Sapete, sono genovese e… Il messaggio che in pochi minuti Grillo inviò a tutta l’Italia dei valori veri, lì convenuta prima di tutto per divertirsi, quindi per protestare contro i bavagli politico-economico-socio-culturali cui il nostro Paese è continuamente soggetto, era in sunto il seguente: protestate, gente, protestate, ma fatelo con gioia, fatelo con ironia, non ve la prendete troppo, non vi avvelenate. Perché i cattivi li sconfiggeremo con il sorriso, e perché fino a quando ci saranno centinaia, migliaia di persone accorse a teatro per celebrare la libertà, saremo liberi, sempre più liberi, e lo saremo con gioia. Divertitevi, gente, divertitevi, perché a loro prima di tutto non va che siamo felici. E protestate, mi raccomando, non fatevi zittire.

 

Al tempo di cui vi parlo, quello in cui io avevo una decina d’anni e in cui Grillo cominciò, in un primo tempo, ad apparire e sparire dalla tv, come per magia, sempre più spesso, tanto che pareva che la sua immagine fosse percepibile dal tubo catodico solo a intermittenza, che non fosse un vero e proprio problema di leggi ed etica dirigenziale televisiva, ma solo un innocuo problema di ricezione di ciascuno dei nostri televisori; per poi finire – puf – con una scomparsa totale da ogni emittente, da vero prestigiatore, da vero stregone, per cinque anni, tanto che avrei voluto smontare l’apparecchio quadrato, per vedere se per caso ci fossimo persi il comico ligure tra quei famosi microchip che non sapevo bene cosa fossero. Quando a Grillo fu imposto un “allontanamento forzato” dagli schermi televisivi, mi sembrò che la somiglianza tra il comico e Gesù divenisse sempre più evidente. Ma allora, mi chiedevo, Gesù era un clown? E comunque, chi erano i buoni? Era vero o non era vero che la rivoluzione era una prerogativa del diavolo? Cosa stava succedendo? Ma soprattutto, cosa aveva fatto di tanto brutto il figlio pazzo di Mamma Rai?

 

 

Il fatto è da molti attribuito ad un silenzioso ostracismo “d’apparato”[v]

Nel 1987, a quasi quarant’anni, durante Fantastico 7, Beppe Grillo aveva attaccato “con pesanti allusioni il Partito Socialista e Bettino Craxi [predicendo quindi, con troppo anticipo per la gretta mentalità comune, e soprattutto con profondo terrore dell’apparato governativo, la situazione poi smascherata dall’avvento di Mani Pulite], all’epoca Presidente del Consiglio dei Ministri, e fu allontanato dalla televisione pubblica,”[vi] Tutti sappiamo cosa accadde dopo a Bettino Craxi. Ma a quel tempo, in quel prima, la colpa di Grillo si stagliò enorme nel puro, lindo e limitato spazio catodico. Angusto. Cosa aveva detto, tra l’altro, Grillo?

 

Poi arrivò Craxi e cambiò tutto. Mi tennero lontano dalla Rai per diversi anni, dal 1986 al 1993, per due battute che anticipavano Tangentopoli. In una, ammiccando allo spot che facevo per uno yogurt bussando alle porte della gente per offrire un assaggio, raccontai di aver bussato a casa Craxi. Bettino apriva e faceva per richiudere l’uscio: «No, grazie, non mangio yogurt». E io: «Ma non sono qui per quello. E’ che mi hanno fregato il motorino, e pensavo che lei ne sapesse qualcosa».

Nell’altra, parlavo della mitica missione in Cina del premier socialista, che s’era portato dietro un codazzo di parenti, famigli, amici, portaborse, damazze, contesse, fidanzate. Giunto a Pechino, l’avevano avvertito: «Sa, presidente, qui siamo tutti socialisti». E lui aveva risposto: «Ma allora a chi rubate?».[vii]

 

Non era finita qui. A un certo punto, infatti, allo scoccare dei suoi quarant’anni, questo signore aveva combinato qualcosa di ancora più grosso. Di ancora più brutto. Nel corso di Domenica In, Grillo aveva allegramente enunciato, ai danni del socialdemocratico Longo, il “Teorema P2”

 

Per esempio: era vietato parlare di P2, allora io una sera andai in scena con una lavagna e fornii una complicata ma persuasiva dimostrazione matematica dell’esistenza di Pietro Longo. Alla fine usciva il suo faccione in un triangolo, il simbolo massonico. Successe un casino. Pippo Baudo si arrabattava poi a rimediare con le sue arti democristiane. Anche a lui ricordavo la differenza fra la mia famiglia e le «famiglie» delle sue parti, Catania e dintorni. Ecco, quella censura metteva alla prova la creatività del censurato, quasi lo sfidava ad aggirare l’ostacolo.[viii]

 

 e, nel corso dello stesso anno, al Festival di San Remo, era inoltre balzato in scena ostentando il suo contratto da 350 milioni, svelandone tutte le clausole di censura e deridendo a cielo – e a viso – aperto gli spauriti dirigenti RAI. A quarantun anni, per la quarta volta, Grillo sgarrò di nuovo – ma non imparava mai? –, (quasi) definitivamente. Il problema, quel giorno, a mio avviso, non fu tanto l’attacco diretto al giornalista Sandro Mayer – artefice di un’intervista a un bimbo rapito e da lui definito “un coglione” all’interno di un ulteriore Festival di San Remo –, quanto lo spaventoso successo di pubblico – 22 milioni di spettatori! – di Grillo, ormai proclamato, per antonomasia, “Il terrorista comico della televisione italiana” (non un, badate bene, il), sorta di ibrido incrocio tra un clown e Robin Hood, apocalittico difensore dei deboli, catastrofico raddrizzatore di tutte le onte, caustico arciere provetto che non si faceva mai i fatti suoi, e soprattutto non esercitava più il suo mestiere dedicandosi a faccende che esulavano dalle proprie mansioni di giullare cancella-problemi, mordace umorista blasfemo i cui sferzanti corrosivi monologhi facevano orrore ai dirigenti RAI, guastandone i nervi. Come reagivano allora i dirigenti? Per la famosa “legge di mercato”, continuavano a invitarlo nelle loro trasmissioni. Almeno per il momento. Ancora per poco. In un primo tempo, infatti, tutti questi “brutti fatti” – ai quali io assistevo in maniera di solito indiretta e poco consapevole, fatti che mi scivolavano addosso lasciandomi solo un sentore di sbagliato, peccaminoso, ma allo stesso tempo ingiusto – sortirono un doloroso, ma non definitivo effetto, non comprensivo di ammenda risolutiva: per tutta la fine degli anni Ottanta, in pratica, le “apparizioni” televisive di Grillo divennero rarissime. Scrive Wikipedia, organo positivamente citato dallo stesso Grillo nel corso dello spettacolo Beppegrillo.it:

 

Il fatto è da molti attribuito ad un silenzioso ostracismo “d’apparato”.[ix]

 

Lo “strappo” finale, comprensivo di multa, si ebbe alla fine degli anni Novanta, quando un monologo impetuoso, rabbioso, intimo, appassionato di Grillo venne interrotto da un irritato Pippo Baudo. Baudo si dissociò pubblicamente dalle parole del comico. Grillo più tardi propose alla Rai uno spettacolo, pre-registrato, che la commissione delegata avrebbe potuto amputare con falci trebbie ganasce tenaglie pinze cesoie di sorta, apportando tutti i tagli necessari alla fruizione familiare, prima della messa in onda. I capi dissero no. Grillo proiettò nell’atmosfera gli attrezzi chirurgici e fece spallucce. Era fatta. La censura forzata ebbe inizio.

 

Nel ‘94 mi richiamò la Moratti. Stessa manfrina di sempre: «Grillo, lei potrà fare e dire quello che le pare. Ha carta bianca». Conoscendo i miei polli, li misi con le spalle al muro: «Guardate, io vi mando una cassetta del mio spettacolo, e voi potete tagliare qualsiasi cosa, quello che volete». Risposero: «Ma noi non vogliamo tagliare niente». Tagliarono tutto, nel senso che la cassetta non andò mai in onda. Non era quel che dicevo, il problema. Il problema ero io, quel che rappresentavo con le mie battute e le mie denunce sulle case automobilistiche, la ricerca fasulla, i consumi, le pubblicità, i Nobel comprati, il petrolio e l’idrogeno, gli spazzolini inquinanti. Perché in Italia puoi dire peste e corna del presidente della Repubblica, ma se tocchi un formaggino ti fulminano. Dì quel che vuoi, ma non sfiorare i fatturati.,”[x]

 

 

Ma, prima?

Nel 1979, molto prima di queste due crisi – di coscienza, la mia (Gesù era un clown? Viceversa?); occupazionale e di rapporti sociali, quella di Grillo –, quando io stavo per nascere, o ero appena nata, nacque anche Fantastico, trasmissione di culto per lunghissimi anni e mia preferita dopo Drive In. Quanto ero felice, quanto ero soddisfatta, che a ogni numero di tale Fantastico corrispondesse la cifra esatta della mia età! Misuravamo le mie candeline in base ai compleanni di questo programma di luci e colori. Era di certo per celebrare me che avevano inventato Fantastico, dicevano la mia mamma e il mio papà. Io non potevo deluderli, allora, quelli della tv (che pure, al contrario di come potrebbe evincersi da questo mio racconto, guardavo pochissimo, non più di un paio d’ore al massimo, e anche molto diluite, al giorno). Non mancavo mai a un appuntamento. A Fantastico 1, mio malgrado, c’era pure quel signore pazzo che diceva le parolacce, il fratello debole che la Rai si teneva solo perché era un po’ malato di mente, quello della roba da matti, Beppe Grillo, appunto. Monologhi dissacranti, satira politica a tutto tondo – logicamente io c’ero solo fisicamente nel ’79, però non è che non so leggere, non è che non so guardare i video di quegli anni: anche se non c’ero, mentalmente, in diretta, mentre il Grillo di Fantastico accadeva, pure non ho assolutamente mancato di vederlo più tardi –, improvvisazione, sudore in giro per il pubblico – “Non siate così schifiltosi!, rideva (e ride tutt’ora) Grillo, scrollandosi i capelli madidi sulla gente. Signora non sia così schifiltosa!, mi accolga, su!, mi amiiii!” –, sudore freddo delle “alte sfere”, parolacce a gogo, applausi, caterve di applausi, orde di applausi, per il comico più famoso d’Italia. A dir la verità, in quel momento preciso, ad appena due anni dalla sua prima comparsa in tv, il trentenne Grillo non era ancora il comico più famoso in assoluto. Non ancora. Qualche anno dopo, però, lo fu. Nel ’91. E lo è ancora, fino a prova contraria. Non credo sia poco, né un caso.

 

Dopo Fantastico, fu il turno di Te la do io l’America[xi] e Te lo do io il Brasile[xii], grandi successi che prevedevano in programmazione la messa in onda di un altro Te lo do io – il Giappone, questa volta –, mai neanche realizzato. In tali spettacoli televisivi il comico genovese raccontava la propria esperienza di vita e di viaggio in giro per i Paesi suddetti, esportando, forse per la prima volta, “le telecamere […] [all’esterno degli] studi televisivi: una sorta di diario di viaggio di un italiano che coglie con ironia gli aspetti più divertenti degli usi e costumi di questi paesi”[xiii]. Uno spettacolo fatto di storielle, note curiose, battute sulla gente, che indagava testimoniava documentava raccontava in modo divertente – e allo stesso tempo istruttivo – la cultura e lo stile di vita di questi Paesi.

Dopo i due Te lo do io, fu la volta di una messa in onda fatta su misura per Beppe Grillo – il Grillometro[xiv] –, poi ancora Fantastico[xv], e quindi Domenica In[xvi]. Erano, questi, tutti “eventi” veri e propri, tutte trasmissioni in cui la nuova televisione di Grillo andava affermandosi in maniera assoluta: questo signore arrivava, io storcevo il naso, lui in pochi minuti sparava a zero sul mondo politico italiano, io non capivo niente o quasi di ciò che diceva, però vedevo che lo faceva con trasporto, con amore, che non lo faceva per cattiveria, vedi mamma?, anzi che lo faceva come se volesse “raddrizzare i torti” del mondo, come Robin Hood, mamma?, quel signore è come Robin Hood, eh?, lui si divertiva, sparava, rinfodereva, e se ne andava. Quando arrivava Grillo, si impennavano gli ascolti (E la lira si impenna!, direbbe Car Carlo Pravettoni). Quando spariva, tornava calmo il mare.

Soprattutto, ciò che mi colpiva ogni volta era che Grillo non smettesse mai quel sorriso di fondo. Anche quando si arrabbiava, e grondava, e sputava, sul mondo e su quelli che per lui erano i cattivi – e dovevano essere i cattivi, perché se pure con piglio contrariato per le parolacce, i miei genitori ora stavano a guardare con sempre maggior interesse ciò che questo signore diceva –, Grillo sfornava una serie ininterrotta di battute, spesso improvvisate (diceva papà mentre faceva sì sì con la testa in risposta a ciò che diceva il comico), mai azzardate, o non autentiche. Grillo era il giullare. Che dice sempre la verità. Che dice anche la verità più complicata. Peccato, però, per le parolacce!, pensavo io bambina, per il “turpiloquio” (me lo aveva insegnato la suora), per tutto quell’arrabbiarsi: no, non lo potevo ancora perdonare. Pregare, ecco cosa ci rimaneva da fare per lui.

 

 

the fool economista

 

fool: I marvel what kin thou and thy daughters are. They’ll have me whipped for speaking true; thou’lt have me whipped for lying; and sometimes I am whipped for holding my peace. I had rather be any kind o’thing than a fool. And yet I would not be thee, nuncle. Thou has pared thy wit o’both sides and left nothing in the middle. [xvii]

 

Grillo rimase – e rimane – sempre un saltimbanco dei giorni nostri, nonostante col tempo sia divenuto tutto, anche un comico-economista, tanto che ai suoi più moderni spettacoli parla di come la gente lo chiami di continuo per sottoporgli quesiti di ogni tipo, quesiti che i suoi fantomatici interlocutori fanno immancabilmente precedere dalla solita proposizione causale, Grillo, dato che lei è un comico… E poi giù, con le richieste di chiarimenti sulla lettura della busta paga, sulla compilazione del 740, con le suppliche di spiegazioni sulla composizione chimica dei prodotti del supermercato, e ancora a denunciare, a spiegare, a chiedere.

 

Mi scrive qualche centinaio di persone. Mi segnalano le truffe più odiose e ormai più diffuse […]. Pensate la disperazione: scrivono a me invece che al Garante per le telecomunicazioni, uno che porta a casa seicento milioni l’anno per proteggere i consumatori. Siamo arrivati a questo. Ma io posso fare poco. Non sono mica il paladino dei deboli.[xviii]

 

Proprio come Gesù, dal quale si andava per i miracoli. Grillo, inoltre, qualche miracolo l’ha fatto, ed è un comico, non un economista, e nemmeno un santone. Un comico che, prendendola (nel sederino?) con filosofia, fa pure le apparizioni. In tv.

 

[…] ormai io faccio solo apparizioni, siamo io e la Madonna di Lourdes […]

 

Nel corso di tali apparizioni, per esempio

 

dico che la Nestlè fa tre milioni di bambini morti ogni anno perché convince le mamme a non allattare più. […] Nel ’94, le autorità dello Sri Lanka hanno bloccato quindici tonnellate di latte in polvere radioattivo della Nestlè. E quando gli hanno detto: “Ma che cazzo fate?”, han detto: “L’abbiamo fatto per le mamme. Che se smarrivano i bambini di notte erano fosforescenti…”.

 

È forse anche per questo che Grillo un giorno non è apparso più per cinque anni? Perché la Nestlè doveva assolutamente continuare a comparire sugli scaffali dei nostri supermercati?

 

Ciò che Grillo mette in scena, ancora oggi, nei propri spettacoli, è proprio la rabbia italiana di questo paradosso, di questa assurdità tutta moderna – ma la modernità va avanti da secoli, ormai! – per cui non ci possiamo più fidare di nessuno, se non dei comici, di coloro che, abrogati per sempre, radiati, come mali, come tarli, come pesti bubboniche dalla tv (e spesso dalla popolazione bene, dall’alta società) italiana, hanno ancora il coraggio di dire. Di denunciare. Ancora l’ardimento di impegnarsi, personalmente, nella ricerca sul campo. Io sono andato, ho detto, ho fatto, dice Grillo continuamente. Lui, a differenza di noi, quando vede che qualcosa non va, si informa sul perché e sul per come di questa cosa. Anche se alla fine spesso non possiamo farci niente, pure possiamo, ancora, non comprare la benzina dalle multinazionali che fanno il prezzo della benzina, alimentando le entrate delle quali concorriamo direttamente a far innalzare il costo dei nostri spostamenti. Se spendiamo più del dovuto in trasporti, per esempio, siamo noi, insiste giustamente Grillo, a non poter più comprare libri, a non potere più portare i nostri figli in vacanza, a non poter più provvedere alla nostra felicità. Non gli altri. La gente purtroppo subisce in maniera sempre più macroscopica gli effetti devastanti dei propri errori spesso microscopici.

Come i migliori fool della tradizione letteraria e storica erano i soli cui veniva consentito di dire la verità (“That, of course, is the great secret of the successful fool – that he is no fool at all.”[xix]), di motteggiare i potenti, così i migliori comici di oggi sono quelli super partes che, come Grillo (“Sei di sinistra?, mi chiedono. Non lo so… io sono stato fermo: si sono spostati tutti gli altri.”), attaccano ambo i lati, e pure il centro, hanno il coraggio di indagare, smascherare, dire (di) tutto. Di non appiattirsi dentro un ideale ormai vetusto di comunismo, anarchia, democrazia (“la superstizione della democrazia”, recita Gaber). Di combattere per un mondo semplicemente onesto, meritocratico nel senso più puro e letterale del termine. Sopra ogni restrittiva – un tempo forse più sensata – definizione di un chimerico luogo politico.

 

Io non voto più da molti anni. Sono più avanti, prendo atto di una realtà. Perché, vede, il voto non è più democrazia. Guardi cos’è successo in America, dove George Bush è stato eletto con una minoranza di voti… Io non so più cos’è destra e sinistra… Adesso c’è sopra e sotto… consumatori e consumati… Io non mi identifico. Apprezzo, ma non mi schiero. [xx]

 

Oggi la situazione sta però mutando ulteriormente. Ciò che mi spaventa è infatti quella che chiamerei una vera e propria regressione rispetto al passato (vedi moderno Medio Evo di Apocalisse Morbida). Se un tempo, i comici, questi giocondi coraggiosi colleghi di Grillo, potevano veramente dire ciò che volevano, ciò che pensavano, non importava chi offendessero, chi denigrassero, chi accusassero (vedi the fool shakespeariano).

 

The Fool is the first person, indeed the only person in the play, to criticise Lear for abdicating and dividing the kingdom. Lear hears him out, seems to join in the fun, and threatens him with the whip.[xxi]

 

 Erano liberi, i pazzi buffoni della Storia, di parlare, davanti ai re, ai sovrani, ai potenti, non rischiando (quasi mai) di perdere la testa.

 

The profession of the jester is ambiguous and abounds in internal contradictions, arising out of the discrepancy between profession and philosophy. The profession of a jester, like that of an intellectual, consists in providing entertainment. His philosophy demands of him that he tell the truth and abolish myths. The Fool in King Lear does not even have a name, he is just a Fool, pure Fool. But he is the first fool to be aware of the fool’s position.[xxii]

 

Oggi, i potenti non vogliono più nemmeno i pazzi, nemmeno i giullari, nemmeno i comici o i giocondi. La dittatura cui siamo soggetti è una dittatura mentale, più che fisica – non è vero che non esistono più il diritto di stampa e di parola e di pensiero, dice Grillo, il problema è che non esistono più giornalisti, non ci sono più testate libere, poiché tutte la stampa è racchiusa, affogata, custodita, soffocata, nelle mani potenti delle lobbies politico-economiche, nelle grinfie robuste di pochi eletti, radi ricchissimi nababbi, i quali liquidano impiccano vaporizzano immediatamente coloro che non stanno alle regole, che non sottostanno al loro volere, che non gli leccano con abbastanza convinzione il culo. Non c’è più giornalismo.

Sentendo Grillo, ho pensato che il 1984 paventato da George Orwell è qui, adesso (per poi scoprire, leggendo un’intervista, che anche il comico genovese accenna a tale meraviglioso, terribile romanzo). Adesso è questo che mi fa più paura: la censura nei confronti dei giullari, del divertimento, dei brillanti buffoni, della comicità intelligente. Dati alla mano, Grillo ci racconta lo stato, il grado di qualità della nostra vita, spiegandoci per mezzo degli Indicatori internazionali per l’Italia[xxiii] che siamo troppo indietro, agli ultimi posti nel mondo, per libertà di informazione, e non solo. Riporto qui alcune delle voci[xxiv] sulle quali Grillo insiste nello spettacolo Black out. Facciamo luce, citando qui solo quelle per le quali l’Italia si trova oltre il 24esimo posto. Per Reddito lordo pro capite, l’Italia è 25esima (tra Australia e Brunel); per Popolazione nella forza lavoro, 50esima (tra Zimbabwe e Sri Lanka); Competitività, 32esima (Colmbia e Sudafrica); Innovazione, 25esima (Slovenia e Lituania); Tecnologie informatiche, 27esima (Slovenia e Repubblica Ceca); Diffusione dei computer, 30esima (Guadalupe ed Estonia); Spesa per la ricerca in rapporto al Pil, 25esima (Cina e Brasile); Libertà economica, 26esima (Bahamas e Spagna); Corruzione, 35esima (Uruguay e Kuwait); Libertà di Stampa, 53esima (Macedonia e Perù); Diffusione dei quotidiani, 30esima (Malesia e Slovacchia); Sostenibilità ambientale, 83esima (Macedonia e Mali); Disuguaglianza sociale, 30esima (Grecia e Moldavia).

Siamo i primi, invece, ci rivela Grillo, per quanto riguarda la Più alta percentuale di anziani. Primi. I nostri Adulti in età lavorativa diplomati sono inoltre la metà di Usa e Germania; mentre gli Adulti in età lavorativa laureati sono un quarto rispetto agli Usa e metà rispetto alla Germania. E ancora, le nostre Donne in Parlamento sono la metà rispetto al Pakistan e l’Eritrea. E per Mortalità infantile siamo al 19esimo posto, tra la Corea del Sud e la Slovenia.

Ripeto. Sostenibilità ambientale: 83esimi. Disuguaglianza sociale: 30esimi. Corruzione: 35esimi, tra Uruguay e Kuwait. Per Libertà di stampa siamo 53esimi. Lo dico per esteso: cinquantatreesimi. Dopo la Macedonia. Prima del Perù. Eppure ne abbiamo, di carta stampata, di inchiostro sprecato, di alberi abbattuti, di notizie gratuitamente inventate, che sono sempre le stesse false, ri-usate, corrotte notizie, di tg in tg, di rete tv in rete tv, di quotidiano in quotidiano. Così Grillo: quando arriva un giornalista che oltre a essere un giornalista è un uomo, e dichiara che non vuole, non se la sente, di dire bugie… puf!, scomparso. Vaporizzato, direi io, ancora citando Orwell. Fuori dalla tv, fuori dai giornali, dalla cultura. Fuori da tutti i media. Fuori! A casa, è il solo posto dove uno cosi può stare! Ripeto, 1984 di Orwell è oggi.

 

L’anno scorso la Walt Disney paga settanta milioni di dollari per non affrontare un processo per satanismo. La Walt Disney… satanismo!? Nonna Papera con Ezechiele Lupo!? Mio figlio Ciro, quello di quattro anni, che è il mio consigliere su Forza Italia, vedevo che aveva degli strani atteggiamenti vedendo un cartone animato che si chiama Bianca e Bernie. Ho scoperto cosa c’era dietro. C’era una pubblicità satanica occulta nei cartoni animati [Grillo mostra un filmato]. Ho preso Bianca e Bernie e l’ho proiettato. Le finestre non si vedono, la velocità è tale che l’occhio non percepisce. Si chiama “subliminale”. Abbiamo rallentato il filmato, rallentando è venuto fuori questo. [In un fotogramma compare un’immagine confusa di un corpo di donna.] Una figa con due tette così e una faccia da demone. Allora ho capito perché Ciro, vedendo tre o quattro volte al giorno questo cartone, aveva delle strane tendenze: voleva ascoltare solo musica di Marilyn Manson, faceva delle strane cose a mia moglie… Nei cartoni animati è pieno di queste cose qua. Magari si divertono così […] Allora da chi mi devo tutelare?

 

Io, questo filmato, contenuto nello spettacolo Beppegrillo.it, l’ho visto. Ho visto la donna nuda, senza testa, con al posto della faccia una sorta di sciame confuso, nero come di mosche. Mi ha fatto schifo. Paura. Ho chiamato mia sorella. Alice possedeva il cartone animato Bianca e Bernie? Sì. Gliel’aveva comprato mio padre dal “mercato parallelo”. Alice aveva visto il cartone animato Bianca e Bernie? Sì. Quando, la prima volta? Non si sapeva, con precisione. Poco tempo fa, o molto tempo fa? Molto tempo fa. Alice aveva visto il cartone animato Bianca e Bernie più di una volta? Sì. Ad Alice piaceva il cartone animato Bianca e Bernie? Sì. Ad Alice piaceva tanto il cartone animato Bianca e Bernie? No. Non le piaceva tanto. A mia sorella sì. A me, questo filmato proiettato da Grillo, ha fatto venire i brividi. Rivedevo di continuo nella mente la figura di Alice, sovrapposta a quella di Ciro, seduta ingenuamente su un cuscino davanti alla tv, percepire subliminalmente la scena, un po’ come il bambino del film The Ring assiste al filmato che lo ucciderà. Grillo, intanto, ci mostrava altri filmati del genere. Ho chiamato mio padre e mia madre. Io, il mio promesso sposo e i miei genitori, come in un affettuosissimo quadretto familiare, contemplavamo inorriditi il mercato dell’intrattenimento per bambini attentare ogni giorno ai nostri figli. Ho visto un lampo d’odio accendersi negli occhi di mio padre.

 

In un mondo in cui i cartoni animati per bambini pullulano, come di germi, di fotogrammi, raffiguranti demoni e donne nude, registrati invariabilmente dagli occhi e la mente dei nostri piccoli in maniera del tutto subcosciente; in una società che, dai lontani anni Trenta, possiede la fantomatica macchina a idrogeno, che non consuma e non inquina, ma non la usa perché il traffico e il commercio del petrolio serve ai potenti e ai signori della guerra; in una società malata, ma non irrecuperabile, non ancora, Beppe Grillo col tempo, col sudore, con l’impegno quotidiano, si è costruito una credibilità molto al di fuori, e al di sopra, della cultura televisiva, dei canoni della società del consumo e della velocità. Delle censure. Dei bavagli.

Tanto che, nonostante manchi dagli schermi italiani da anni (e malgrado, come sappiamo, come purtroppo sentenzia la mia nipotina di otto anni, e come cantava anche Vasco Rossi: tu non sei non sei nessuno, / tu non esisti più, / se non appari mai mai mai, / in tv), pure rimane e rimarrà uno dei personaggi più presenti sulla scena sociale e culturale del nostro Paese. Uno dei più amici. Inoltre, forse non tutti sanno che le altre televisioni – quella svizzera e quella americana, per esempio – chiamano Grillo continuamente come ospite dei loro programmi. In uno dei suoi ultimi spettacoli – se ben ricordo proprio Beppegrillo.it (2005), che tra l’altro conta oltre sessanta repliche in tutta Italia –, il comico ha rivelato di esser stato convocato, all’epoca del crack Parmalat, da un’emittente estera come esperto in economia. In diretta internazionale, e in contemporanea su altre televisioni, i presentatori della rete chiedevano a Grillo i motivi di tale tracollo e conseguente crisi.

Perché, domandava a noi Grillo con un nodo in gola, perché mi chiamano dalle emittenti di tutto il mondo (persino dalla CNN, mi sembra di ricordare, n.d.a.) – e per di più come esperto in economia, quando io sono solo un comico, ma lasciamo stare –, per conoscere i motivi di una crisi di casa nostra, e a casa nostra nessuna delle emittenti principali mi vuole più in tv neanche per raccontare una barzelletta? Perché all’estero, dappertutto, mi hanno accolto come un uomo di cultura, e in Italia, invece, sono stato chiamato in caserma, dalla Finanza, la quale mi ha convocato per interrogarmi con piglio ufficiale su come avessi fatto, io, tanto tempo prima, a sapere cosa sarebbe successo alla Parmalat, per indagare su quali fossero le mie segretissime fonti private, e su come mi procurassi – forse illecitamente? – certe confidenzialissime notizie?

Come vedremo tra poco, di certo Grillo dispone di ottime fonti, ma sono fonti accessibili a tutti e, prima di tutto, come dice lui stesso[xxv], “Come facevo a sapere del futuro crack Parmalat e di tutto il resto? Io sono un cittadino italiano, io guardo, ascolto, leggo. L’informazione è tutto. È l’unica arma che ci resta. Bastava guardare, era sufficiente leggere: tutti potevano prevedere ciò che sarebbe accaduto.”

 

Io […] mi ci imbatto proprio per caso [in queste notizie].[xxvi]

 

Il segreto è informarsi, quindi?

E’ l’unica. Ma l’informazione è in mano a chi vende non a chi compra. [xxvii]

 

Quando Beppe Grillo, all’interno del suo show, ha raccontato quanto accaduto con le emittenti estere; quando ho colto – abbiamo tutti colto – la nota commossa, amareggiata nel suo monologo appassionato e spiritoso (la stessa tonalità presente nello spettacolo del ’93, che segnava il ritorno di Grillo in tv dopo cinque anni di censura); quando io, che lo guardavo in tv, io, che lo leggevo sul libro con la copertina rossa e nera, ho capito che tra gli altri il comico genovese chiedeva giustizia perfino a me, di quanto era successo, ho abbassato gli occhi, nonostante fossi pienamente d’accordo con lui, nonostante il magone avesse preso anche me. Perché Grillo non è più in tv? Perché Grillo non è in tv in questo momento?

 

 

 

 

 

il fanatismo dei calzini sporchi

Apocalisse Morbida, come si vede, è il risultato del cammino compiuto da Grillo nel corso di tutta la sua vita, percorso intellettivo, personale, culturale che, naturalmente, non finisce qui, ma del quale il 1998, anche grazie al ritorno in televisione, può dirsi una tappa importante sulla quale ritenevo utile soffermarmi e dalla quale ho pensato sarebbe stato piacevole anche cominciare. Come appunto ho fatto.

Oltre lo spettacolo sul nuovo Medioevo e il nuovo contatto televisivo col pubblico mediante Tele+, Grillo, nel ’98, compie anche 50 anni (come dice Cechov, prendendo a esempio Dostoevskij, nel raccontare la vita di una persona è interessante ricordarne l’età, poiché l’età è una caratteristica molto più umana, interessante e facilmente ricordabile di una nuda, anonima, spesso improduttiva cifra storica dispersa nello spazio). È questo inoltre anche l’anno della mia fuga da casa per andare a Genova. Mio cugino Valerio, che abita nella città di Grillo da molti anni e che conosce la mia “struggente passione” per il beneamato comico, era riuscito a ottenere come regalo di compleanno l’indirizzo di casa sua (di Grillo, non della propria). Mi telefonò. Me lo disse. Non ci pensai due volte. Diedi un bacio ai miei cani, e andai. Immediatamente, scappai da Bari e dal mare per andare a conoscere Beppe Grillo, le strade di De Andrè, e il mare. Controllai in fretta e furia la partenza del primo treno e mi ci fiondai subito, al volo, come in un film romantico. Senza biglietto né bagagli né denaro. Non era la prima volta che lo facevo, né fu l’ultima. Però si rivelò ben presto una delle più belle, perché il motivo per il quale partivo non era il solito litigio con i miei genitori o la consueta sensazione di totale disadattamento che spesso mi prendeva a quell’epoca in famiglia e nella mia città più in generale. Quella volta scappavo per andare a visitare quella che per me era la città della poesia. Scappavo per andare a finire dritta dritta nella casa del santone della comicità. Appena arrivai a Genova, andai subito a dare un’occhiata al famoso Creuza de ma, il baretto vicino al mare nel quale si dice De Andrè abbia composto molte delle sue canzoni.

Il mare di Genova è bellissimo. Genova mi ha stregato. Ero sola, per la prima volta nella mia vita felice, completamente soddisfatta di essere sola, completamente avulsa da tutto. L’aria tiepida del primo pomeriggio mi svolazzava intorno, mentre scrivevo una mia storia, in riva allo stesso mare azzurro decantato e amato da uno dei più grandi cantautori della storia italiana. Mi bagnavo i piedi, i polpacci, le gambe, in quelle acque chiare, limpide, solitarie. Non c’era nessuno. Era una tarda primavera. Genova mi stregò, con le sue stradine contorte. Ne scrissi tanto. Ne lessi tanto. Non conobbi anima viva. Cercai persino di non chiedere spiccioli in giro per comprarmi qualcosa da mangiare. Potrete non credermi, ma trovai un pacchetto di Lucky Strike perso da qualcuno e abbandonato lì, solitario come me, felice di esserlo, su una panchina nei pressi del porto. Con pochi spiccioli comprai dei cerini. Fumai tantissimo. Mi piace molto fumare mentre scrivo. A sera, vidi sulla spiaggia un paio di tende, con delle persone al loro interno che facevano l’amore, e poi dormivano. Mi addormentai lì vicino, dormii poco. A qualche metro da noi c’era un locale, una specie di discoteca di tendenza aperta tutta la notte. Ero molto tranquilla. Dormii bene. Nessuno poteva farmi del male. Il giorno dopo, di buon mattino – come mi piace questa formula, di buon mattino, mi dà di aria fresca e caffè fumante –, di buon mattino, dicevo, mi incamminai verso Nervi. Una signorina gentile mi offrì un caffè fumante, appunto. Litigai con un ragazzo ingelatinato e grasso che mi derise perché “facevo l’elemosina”, mi disse. Se pure molto più gracile di lui, lo spaventai. Ero fortissima. Ero felice, ma non per Beppe Grillo. Ero felice per me sola. Perché.

Non mi sento infervorata al solo pensiero di pensare a Beppe Grillo. Non sono una sua fan accanita, di quelle che si strappano i capelli e svengono quando lo vedono, o ne sentono parlare, tipo dolci fanciulle anni Settanta al cospetto dei Beatles. Non lo sono non perché non consideri Beppe Grillo un’ottima persona. Anzi. Grillo è, senza dubbio, una delle persone migliori che io conosca. Però non riesco a essere fanatica di un solo personaggio. Non posso, se voglio cercare di mantenere una mia personalità, un mio stile, un mio modo, del tutto personale. Non posso perché gli artisti che mi incantano, che mi deliziano, che stimo fortemente e dinnanzi ai quali mi inchinerei, davvero, fortunatamente sono tanti – da Grillo a Gaber, a Pazienza, a Ciampi e tanti, tantissimi scrittori, gli scrittori in linea di massima più di tutti gli altri, e, tra gli scrittori, moltissimo Marguerite Duras, Albert Camus, Checov, Bernhard e…, no, ci tengo a voi, non posso dirli tutti, vi annoiereste mortalmente. Dagli artisti che adoro – perché veramente li venero, mi impiccherei per loro –, cerco di solito di imparare. E, tranne vederli in viso, capitare al loro cospetto, in qual caso sverrei (vedi storia di Starnone), beh, non spenderei miliardi per possedere un loro calzino. E non perché il loro calzino non sia santo, ma perché di questi artisti io amo veramente l’anima il cervello il cuore, non me li immagino, davvero, con un corpo. E siccome credo che essere una fan sfegatata significhi amare anche il corpo di una persona, oltre che smisuratamente la sua anima; palesandosi, il fanatismo, in qualcosa di corporeo come la venerazione di un reggiseno o di flussi mestruali o entità simili, io non sono una fan sfegatata di nessuno. Anzi, io sono la fan sfegatata del mio giovane amante, con il quale mi sposerò presto. Nel 2033, il mio promesso sposo avrà cinquant’anni tondi tondi. Io non sono la fan di nessun altro.

Ecco perché andai a Genova per me. Perché da Grillo mi aspettavo un faccia a faccia, una sorta di resa dei conti personale, ma sempre e solo un’esperienza cerebrale. Pensavo di doverglielo, dopo tanti anni in cui mi aveva divertito, insegnato, istruito a un certo tipo di pensiero. Pensavo di dovergliela, la mia totale riconoscenza. La gratitudine c’era, da sempre, e sempre più, però volevo palesargliela. Volevo dirgli signor Grillo lei è una grandissima persona. Sappia che lei è il mio ideale di rivoluzionario. Se le può interessare, la credo molto acuto. Qualcosa del genere, come un figlio che torni a casa per restituire un po’ della pazienza, dell’amore, della premura, che i genitori gli hanno sempre regalato. Anche grazie a Grillo, io sono cresciuta. Mi sarebbe piaciuto che lui lo sapesse. Per lui e per me.

 

Non sono una fanatica, allora, però non sono neanche una nuova figlia dei fiori. Non sono un’anarchica, né una comunista. Il mio credo politico è un non-credo. Non credo, infatti, che questa politica italiana, in qualsivoglia luogo politico, possa esprimere il mio volere, i miei diritti, le mie brame. Semplicemente, non credo nei politici italiani, non credo nella pace e nell’amore come arma unica contro tutti tipi di guerra, ma solo come coadiuvante in certi modelli di battaglie, quelle in cui la persona, l’entità contro la quale combattiamo ci rispetta.

“Se vuoi il mio voto, me lo compri. Mi metto su Internet, mi dai un milione e duecento … e io ti vengo a dare il voto, ti faccio la tua ricevuta”: anche in questo sono d’accordo con Grillo. Di solito non ho fiducia, allora, in quelle parole con l’iniziale maiuscola, perché non mi fido delle generalizzazioni. Quando dico che ho fede nella Letteratura, per esempio – che è una delle cose in cui credo di più, verso la quale nutro una fede assoluta –, mi riferisco infatti a ognuno degli autori, ognuno dei libri in persona che, secondo me, fanno della letteratura La Letteratura. Ecco perché ho stima in Grillo e in quelle persone che, al momento giusto, hanno creduto e credono negli ideali con le iniziali enormi. Sono queste le persone che ancora mi fanno venir voglia di pensare l’amore, l’amicizia, la lotta contro tutti i cattivi del mondo, l’arte, la letteratura, appunto, intensamente sorretti da tali mastodontici iniziali. Detto ciò, chi più di Grillo. Volevo parlargli, dovevo parlargli.

(continua)



[i] Indro Montanelli

[ii] Che nello spettacolo L’Anomalo Bicefalo (Dario Fo e Franca Rame), intepreta appunto uno stralunato Berlusconi (per info vedi http://www.ciao.it/L_anomalo_bicefalo_Dario_Fo_Franca_Rame__272874)

[iii] Se ne parla approfonditamente in Regime, di Gomez e Travaglio, Bur

[iv] Titolo originale: Viva Zapatero!; Nazione: Italia; Anno: 2005; Genere: Documentario; Regia: Sabina Guzzanti; Sito ufficiale: www.luckyred.it/minisiti/zapatero/; Cast: Rory Bremner, Sabina Guzzanti, Daniele Luttazzi, Michele Santoro, Enzo Biagi, Fabrizio Morri, Valerio Terenzio, Andrea Salerno, Lucia Annunziata, Beppe Giulietti, Claudio Petruccioli, Dario Fo, Flavio Cattaneo, Luciano Canfora, Karl Zero, Marcelle Padovani, Bruno Gaccio, Udo Gumpel, Paolo Rossi, Ezio Mauro, Antonio Polito, Marcello Veneziani, Francesco Alberoni, Angelo Maria Petroni, Davide Caparini, Bill Emmott, Beppe Grillo, Alexander Stille, Maurizio Gasparri, Giorgio Lainati, Michele Bonatesta, Furio Colombo, Claudio Fracassi, Marco Travaglio, Ferruccio De Bertoli, Eric Jozsef; Produzione: Studio 1, Secol Superbo e Sciocco Produzioni; Distribuzione: Lucky Red

[vii] Postfazione a Regime, di Gomez e Travaglio, Bur

[viii] Postfazione a Regime, di Gomez e Travaglio, Bur

[x] Beppe Grillo, Postfazione a Regime, di Travaglio e Gomez, Bur, cit. in Beppe grillo, Tutto il Grillo che conta, pag 9

[xi] 1981, quattro puntate, soprannominata, dallo stesso Grillo, Grillescion

[xii] All’interno di Te lo do io il Brasile (1984, regia di Enzo Trapani, testi di Antonio Ricci, sei puntate), Grillo disputa, unico giocatore in campo, la partita “Grillo-Resto de mundo” in un Maracanà completamente deserto

[xiv] 1985

[xv] 1985-86

[xvi] 1983

[xvii] Williams Shakespeare, King Lear, [1.4.178-184]

[xviii] intervista di Marco Lodi Rizzini, apparsa su “Italia Oggi” (febbraio 2002)

[xix] Isaac Asimov, Guide to Shakespeare

[xx] intervista di Marco Lodi Rizzini, apparsa su “Italia Oggi” (febbraio 2002)

[xxi] Oliver Ford Davies, Playing Lear

[xxii] Jan Kott,  Shakespeare Our Contemporary

[xxiii] In merito si consiglia di consultare lo schema degli Indicatori internazionali per l’Italia, apparso sul sito www.internazionale.it/beppegrillo e tratto dallo spettacolo Blackout. Facciamo luce

[xxiv] tutti i dati sono tratti dallo schema suddetto

[xxv] il comico si pronuncia in merito nello spettacolo Beppegrillo.it, e in un’intervista mandata in onda sia dal tg che da Striscia la notizia di Antonio Ricci, amico e collega di Grillo

[xxvi] intervista di Sandro Veronesi, apparsa su “Il Corriere della Sera”

[xxvii] intervista di Roberto Carvelli, apparsa su “Bella”

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