STORIA DI UN RE NITTALOPO TRA LE NUVOLE.
Un annoiato re di quarantacinque anni in uno Stato imperfetto; un annoiato re soffocato dalla burocrazia e dalla richiesta dedizione alla causa, causa che non condivide e tuttavia, almeno, tollera; un individuo costretto a giocare un ruolo che non ama e che, almeno, accetta, perché prima o poi dovrà presentarsi l’occasione di un’evasione dalla realtà e dalla propria identità. 1889, primi passi di un regno che non tarderà a trasformarsi in Repubblica per le inadempienze e l’inadeguatezza della famiglia regnante e per la spontanea vocazione del popolo alla democrazia.
Nei primi passi di questo regno il talentuoso Guido Morselli individua un personaggio che vale la pena d’esser raccontato. Umberto I, quarantacinque anni, nittalopo per via dell’ereditato sangue absburgico, re semplice indispettito dal suo ruolo e dal suo popolo. Morselli allora racconta una storia. Un giorno, questo re nittalopo riceve una proposta d’acquisto d’un suo vecchio terreno, per via d’un intermediario, il Vigliotti, che pur essendo un ufficiale della sua marina sembra manifestare spiccate propensioni all’arte della diplomazia. Chi domanda d’acquistare il terreno è una nobildonna tedesca, Frederika von Goltz vedova Krupp, per giunta sostenuta nella volontà d’acquisto dall’imperatore Guglielmo. Il re Umberto I comprende che da questa contrattazione può derivare l’opportunità d’una fuga, e presto architetta un viaggio in treno alla volta della Svizzera, nel cantone di Uri, per poter trattare in prima persona la cessione della sua proprietà. Si procura documenti falsi: organizza la spedizione assieme al suo cameriere, all’archiatra di corte, al suo segretario e al Vigliotti. Curioso che chi abbia passaporti con nomi falsi non sia borghese, ma aristocratico: solamente il Re e il segretario, il conte Brando della Gherardesca, discendente diretto dalla famiglia di dantesca memoria, cambiano identità. L’aspetto fisico va alterato: Umberto decide di tagliarsi i capelli a zero.
Partenza per la Svizzera. E saranno giorni di caccia tra le montagne, rapiti dalle nuvole e restituiti alla realtà proprio nei pressi della dimora della nobildonna tedesca Van Goltz; giorni di rinnovate relazioni pericolose, tra dame di compagnia e promesse spose che tendono a matrimoni d’interesse; giorni di favolose cessioni di terreni ipotecati, e di sconcertanti rivelazioni sulla natura delle relazioni politiche tra Guglielmo e Umberto; e ancora, di segreti appena svelati sui quotidiani e presto taciuti da un’Italia che soffoca nella morsa dell’estate più calda dello scorso secolo, quella del 1889; storie di un cronista che intuisce e svela, e nessuno può, sa o vuole ascoltarlo.
Morselli restituisce un credibile spaccato dell’epoca attraverso un romanzo che, sin dal titolo, dichiara le sue velleità: è un divertissement, e nulla più. Ma si tratta di un divertissement raffinato ed equilibrato, opera in cui ogni personaggio è derivato da una calibrata documentazione storiografica e da una brillante e incisiva introspezione. Rispetto a quello che sarà il suo ultimo romanzo, Dissipatio Humani Generis, qui assistiamo all’espressione di uno stile estroso e funambolico; ad un sorriso compiaciuto e divertito del narratore in terza persona, che senza esprimere giudizi morali narra la vicenda di questo Re fannullone e dongiovannesco; ad una ricostruzione accorta e fascinosa di quelli che erano allora i tempi della comunicazione e dei trasporti. Decine di ore di viaggio in treno, corrieri che raggiungono Umberto per poter far circolare più in fretta possibile informazioni e ordini; un sistema di comunicazione che è ancora “punto a punto”, con tutti i possibili equivoci che può comportare: dai ritardi, ai fraintendimenti. Un’opera sostanzialmente luminosa e piacevole; ennesima conferma di quell’immensa arte letteraria che il talento perduto Morselli aveva, e che finché era in vita nessun editore, come sappiamo, aveva compreso. Vale la pena segnalare questo unicum nella produzione morselliana per offrire al lettore l’opportunità d’una lettura disimpegnata e rilassante; e per attestare l’eclettismo dell’autore, mai abbastanza enfatizzato.
Epifanie della menzogna.
In una conversazione tra l’ufficiale Vigliotti e il re Umberto I, si torna a discutere della proposta d’acquisto della proprietà di Visè, ambita dalla von Goltz Krupp. Umberto I intende mostrare di non aver più riflettuto sull’ipotesi di cedere la sua proprietà; e dunque ecco cosa afferma.
“Già. Me ne ero dimenticato. Non era vero, bastava che fosse verosimile. Lui non aveva più toccato l’argomento” (p. 33).
In questa delicata circostanza, ossia nel momento d’una mediazione precedente ad una contrattazione, si stabilisce un sottile gioco di simulazioni e dissimulazioni: interessante che il narratore ammetta, interpretando la psicologia del personaggio, che essenziale fosse la verosimiglianza, e non la veridicità. Elemento a favore della credibilità d’una menzogna è dunque che sia verosimile. In questo caso assistiamo allora ad una alterazione della verità.
Poco più avanti, nuova conferma di questa vocazione alla verosimiglianza, e non alla veridicità: meditando sull’opportunità di nascondere la vera meta del suo viaggio ai ministri e agli alti funzionari del regno, Umberto I sostiene:
“La bugia che si presta meglio è sempre la più banale: meglio fare credere semplicemente che andava a caccia in Piemonte, senza precisare(…); e lassù, chi lo pescava, chi poteva verificare? Poche strade, le carrozze non arrivano; con la storia della caccia in alta montagna si assicurava il vantaggio della mobilità, oggi qui, domani chissà dove” (p. 36).
Emblematica, direi, la decisione di procurarsi documenti falsi, sebbene nella libera Svizzera “nessuno si è mai sognato di chiedere il passaporto a un forestiero”: Umberto “si sentiva un po’ un transfuga, un viaggiatore non insospettabile. Le carte le voleva in regola, per ogni eventualità” (p. 39). Così, il re cambia nome, diventando Conte Filiberto di Moriana, e così avviene per il suo Segretario, Brando della Gherardesca, che diviene signor Gherardini. Non è necessario, allora, agli occhi del re, che i borghesi al suo seguito cambino nome: il loro nome non desta alcun sospetto. All’aristocratico Gherardesca, per via del fiero pasto di Ugolino, tocca in sorte di divenire Gherardini.
Umberto I non cambia solo nome: cambia anche aspetto.
Infatti, “Non aveva trascurato un solo dettaglio. Per rendersi meno riconoscibile(…)aveva ordinato al barbiere di radergli la testa a zero” (p. 40).
Per nascondere la propria identità, allora, in questo caso l’inganno richiede il cambio del nome e dell’aspetto fisico. Notevole, dunque, che il cronista che si presenta, casualmente, nello stesso albergo del re dichiari false generalità: sostiene di essere inglese e di chiamarsi Fairtales. Al di là del nomen-omen, mi sembra da notare che l’unico a intuire e capire la vera identità del conte-re e della sua corte sia un altro individuo “mascherato”. Uno degli elementi che convincono Fairtales – ossia Walter Schiapin, giornalista veneto – della falsa identità del Gherardesca è singolarmente interessante: l’analisi della sua grafia[1].
“Cercò nel portafoglio, e pescò la tessera personale dell’A.I.R.E., con riprodotta la firma del presidente. Scese, aperse il registro degli ospiti, confrontò. Invece di ‘Brando’, un inerme ‘Bernardo’. Eppure le due firme erano simili, erano la stessa firma. Quanto meno nella prima parte del cognome: ‘Gherard’. Lo stesso G a stampatello, la stessa sbarretta orizzontale calcata. Nella tessera il finale ‘esca’ si riduceva a uno svolazzo sommario, nel registro il finale ‘ini’ era viceversa scritto con precisione, con determinazione. Cioè, era artificioso, voluto” (p. 116).
Notevole il riconoscimento definitivo, invece, del re Umberto I, da parte di Schiapin: “Per un impulso del tutto macchinale Schiapin cavò il portafoglio, prese fuori un biglietto da venti lire, confrontò. La scoperta, il riconoscimento, fu meno un dato visivo che il termine di una riflessione. Dal ritratto monetato all’originale, che aveva sotto gli occhi, nessun rapporto; il personaggio del ritratto era aulico e imbronciato; quella realtà personificata, soltanto un borghesone ben messo e ben portante. (…) ritratto a parte, l’individuo non si assomigliava, in quel momento. Era un mediocre sosia di se stesso. Troppo lustro e abbronzato, ringiovanito, imbaldanzito. Non lo avrebbero riconosciuto più nemmeno i più familiari” (p. 122).
Un mediocre sosia: attestazione di una simulazione quasi perfettamente riuscita. Il travestimento, allora, ha causato anche modifiche, potremmo dire, spirituali, non solamente fisiche: in ogni caso, il “rinnovamento” di Umberto si intuisce dapprima dal suo mutato aspetto fisico. Numerose le attestazioni, in sostanza, di inganni e artifici: e nel complesso, possiamo parlare di un progetto di menzogna perfettamente riuscito, poiché il tentativo di smascherare la spedizione operato dal giornalista non riceve ascolto in patria né altera la durata del viaggio.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Guido Morselli (Bologna, 1912-Sasso di Gavirate, 1973), narratore e saggista italiano.
Guido Morselli, “Divertimento 1889”, Adelphi, Milano, 1975.
Il libro è stato composto tra il 1970 e il 1971.
Per approfondire.
(a cura di) Borsa, Elena; D’Arienzo, Sara(1998) “Guido Morselli: i percorsi sommersi – Immagini, manoscritti, documenti”, Interlinea edizioni, Novara, 1998.
Consigliata la lettura del saggio dedicato a Guido Morselli ospitato in:
Giuseppe Pontiggia, “L’isola volante”, Mondadori, Milano, 1996.
Fondamentale:Guido Morselli, “Diario”, Adelphi, Milano, 1988
Il “Diario” ospita frammenti composti tra 1938 e 1973.
[1] Un espediente analogo dava modo ad Utterson di dubitare dell’identità di Hyde in R.L.Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Il suo aiutante Guest scopre delle sorprendenti analogie tra i due testi scritti rispettivamente da Jekyll e Hyde. . Il suo aiutante Guest scopre delle sorprendenti analogie tra i due testi scritti rispettivamente da Jekyll e Hyde.