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Un nuovo modello di cooperazione internazionale allo sviluppo

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«Nessunoha mai commesso un errore più grande di colui
chenon ha fatto niente perché poteva fare troppo poco»
(EdmundBurke)
 
 
Perintrodurre il tema
L’attuale situazionenel Corno d’Africa[1]non lascia scampo a nessuno, anche se giriamo la testa, spegniamo latelevisione e chiudiamo gli occhi: ci sono più di 12 milioni[2] di persone, uomini, donnee, soprattutto, bambini che stanno morendo di fame!
E noi continuiamo afare finta di niente!
Le proiezioni sonochiare: oggi, quasi un miliardo di persone soffre la fame e, di queste, 40milioni muoiono ogni anno. 15 milioni sono bambini! Nel 2050, la popolazionemondiale raggiungerà i 9 miliardi, un terzo dei quali vivrà (o megliosopravvivrà) con meno di 2 dollari (o 1 euro) al giorno.
Di fronte a questoquadro apocalittico, come si comportano i maggiori players dellasolidarietà internazionale? L’Unione europea ha annunciato[3] il prossimo stanziamentodi 158 milioni di euro a titolo di fondo d’emergenza per il Corno d’Africa:vale a dire circa 13 euro a testa per ciascuno dei disperati che, sicuramente,non sanno nemmeno dove si trovi Bruxelles sulle carte geografiche.
Ben 13 euro!
In contemporanea,lo stesso esecutivo europeo ha approvato di finanziare con 370 milioni di euro(più del doppio!) il programma Frontex[4]per il 2012: il meccanismo finalizzato a coordinare le autorità nazionali degliStati membri preposte a controllare i confini per evitare gli ingressiirregolari (in particolare, da quelle regioni soggette a particolari condizioniche incentivano le migrazioni, quali ad esempio carestie, siccità, guerre).
Per non citare, adulteriore enfasi, i conferimenti previsti per il Meccanismo Europeo diStabilità finanziaria che ammonteranno, una volta a regime, a 800 miliardidi euro[5],destinati alla salvezza dei nostri amati mercati speculativi!
 
Percapire qualcosa
…fino a ieri
Ma cerchiamo dicapire come siamo giunti a questo punto.
Se già Federico IIdi Prussia[6]era solito sostenere finanziariamente i suoi alleati, per assicurarsi il loroappoggio militare durante tutto il corso del suo regno, nel XIX secolo questa praticapolitica di aiuti internazionali avrebbe dominato il panorama delle relazionitra potenze.
Dobbiamo peròarrivare sino al 1947 per vedere l’avvio di uno strumento organico finalizzatoad interventi di vero sviluppo inteso in maniera moderna: si tratta del Programmadi ricostruzione europea (European Recovery Program, ERP), altrimentinoto come Piano Marshall[7],dal nome dell’allora Segretario di Stato USA George Marshall, varatodall’amministrazione statunitense per sostenere i paesi europei usciti dalconflitto mondiale con circa 12 miliardi di dollari in quattro anni (1947-1951).Simile esperienza venne considerata un autentico successo e un modello dareplicare sia per promuovere la rinascita economica che per prevenire ladiffusione del sistema sovietico[8]anche in altri contesti e sino alla fine della Guerra Fredda.
Col tempo moltipaesi si sono affacciati sulla scena degli aiuti in qualità di donors (obenefattori) e, parallelamente, di beneficiari, in particolare a partire daglianni ’60 del secolo scorso, con la ricca stagione di decolonizzazione deipossedimenti europei d’oltremare. Accanto ai paesi cosiddetti ricchi, poi,vanno annoverate le numerose organizzazioni e agenzie internazionali oregionali sorte negli anni che all’interno dei propri bilanci prevedonospecifiche risorse destinate alla cooperazione.
In questi ultimi 60anni, si calcola che siano stati erogati aiuti allo sviluppo per oltre duemilamiliardi di dollari, di cui più di mille destinati all’Africa, ma la situazionedelle popolazioni non è cambiata: oggi il 50% degli africani vive con meno diun dollaro al giorno, vent’anni fa la percentuale era la metà[9], e questa rimane laregione più povera del mondo.
Tra il 1970 e il1998, periodo nel quale i trasferimenti verso il Sud del mondo hanno raggiuntol’apice, il tasso di indigenza in Africa è salito fino al 66% e nei paesi piùassistiti la crescita economica ha subito una contrazione annua dello 0,2%.Oggi circa 600 milioni di africani, metà della popolazione del continente,vivono sotto la linea della povertà.
 
Oggi
Ad oggi, con unaapprossimazione non molto distante dal vero, possiamo dire che il flussoeconomico originato dai paesi ad avanzata industrializzazione (o ricchi) destinatoa promuovere interventi per la cooperazione nei paesi del Sud del mondo (opoveri) ammonta a circa 50 miliardi di dollari all’anno,l’80% dei quali è destinato all’Africa. Con quale risultato?
Secondol’economista zambiana Dambisa Moyo[10],gli aiuti allo sviluppo, che rappresentano in media il 15% del PIL dei paesi dell’Africasub-sahariana, innescano uno sciagurato circolo vizioso: alimentano lacorruzione, la cleptocrazia e le guerre civili, puntellano i regimi dispotici,scoraggiano gli investimenti, inibiscono la classe imprenditoriale autoctona,incrementano l’inflazione e creano dipendenza e povertà, rendendoindispensabili ulteriori aiuti. Inoltre, ogni anno l’Africa brucia oltre 20miliardi di dollari per rimborsare il debito estero e oltre 150 miliardi sonoinghiottiti dalla dilagante corruzione: la realtà è che oggi risulta impossibile,con gli strumenti esistenti, ridurre i livelli di povertà e sostenere lacrescita economica grazie agli aiuti. Anzi, gli aiuti così come sono concepitiattualmente, da governo a governo, rappresentano unicamente un immenso businessdove ci guadagnano tutti tranne le popolazioni dei paesi destinatari.
Le stesse ONG, organizzazioninon governative, dei paesi del Nord del mondo vivono grazie ai fondi stanziatiper la cooperazione allo sviluppo e solo il 20% delle risorse ricadonoveramente nei paesi di intervento.
Ci sono, tuttavia,eccezioni virtuose nel campo delle organizzazioni che operano in situazioni dicrisi ed emergenze umanitarie ove le risorse sono veramente finalizzateall’efficienza ed efficacia dell’azione.
A fronte di ciò, ipaesi industrializzati ricevono ogni anno dagli stessi paesi poveri tra i 250 ei 300 miliardi di dollari di servizio del debito[11]: dunque, il Sud del mondorestituisce complessivamente al Nord almeno 5 volte quanto riceve in aiuti.
Nonostante losconfortante quadro presentato, la situazione attuale risulta in evoluzione perl’ingresso sulla scena di nuovi protagonisti: paesi che sino a pochi anni orsono venivano considerati essi stessi “poveri” e bisognosi di aiuti e che ora,invece, si dimostrano capaci di performances di crescita economica a duecifre. Stiamo parlando, nello specifico, di Brasile, India, Corea del Sud e, inparticolare, della Cina.
 
Dadomani …
Proprio l’avventodi attori come questi, ci impone l’obbligo di riesaminare il modello unico disviluppo economico e, dunque, pure di cooperazione allo sviluppo chestoricamente i paesi del blocco atlantico (Europa occidentale e America delNord) hanno cercato di replicare ovunque nel mondo.
Questa “one sizefits all” (“una misura che va bene a tutti”)[12], che non prende inconsiderazione le diversità presenti nei vari ambienti e contesti all’internodei quali si vuole operare, è diventata oramai troppo stretta ed è palese lanecessità di elaborare nuovi paradigmi per declinare la cooperazione.
Un aiuto su questavia potrebbe esserci dato dalle esperienze messe in atto da paesi come Brasile,India e Cina nei confronti dei paesi africani.
Le relazioni diquesto genere, oltre a fondarsi su rapporti formalmente tra pari, sono scevreda pregiudiziali legate al passato coloniale (come con i paesi europei) epoggiano su un comune sentimento di necessità (gli uni e gli altri hanno”bisogno”).
Inoltre, ilconcetto di “sviluppo economico” cui tendono le operazioni poste in essereviene definito su basi nuove e distinte rispetto ai diktat eurocentrici.
Se il compitofondamentale di qualsiasi forma di aiuto deve essere quello di rendere queglistessi aiuti inutili, e non quello di rinforzare i legami di dipendenza trapaesi donatori e paesi riceventi, bisogna riconoscere che Cina, India e Brasilesi stanno muovendo in maniera performante. Inoltre, Pechino con i suoi 4 milamiliardi di dollari di riserve valutarie, e un’inesauribile fame di materieprime, è oggi il partner ideale non solo per l’Africa ma per molti paesi, poveridi mezzi alla ricerca di risorse finanziarie per investimenti finalizzati allosviluppo e ricchi in risorse naturali.
Il modello che vieneproposto è quello win-win (vincente-vincente), dove entrambe le partitraggono vantaggi dalla collaborazione a fronte dei propri apporti.
Noi dovremmoosservare attentamente e imparare dai nostri errori e dagli altrui successi.
Innanzitutto,facendo in modo che sia autentica co-operazione, vale a dire “azione congiunta”tra partners paritetici (del Nord e del Sud) in tutte le fasi, dall’ideazionealla realizzazione e verifica; in secondo luogo, che permetta un “cambiamento”reale e migliorativo delle condizioni in cui si trovano le popolazioniinteressate dall’intervento; a seguire, che sia “sostenibile” tecnicamente edeconomicamente, una volta ultimata la fase di start-up e quindi di sostegnoad-extra.
Il tutto avendosempre ben chiaro che «Il paradigma dello sviluppo, in un mondoglobalizzato, dovrebbe essere concepito come affermazione sacrosanta di dirittiinviolabili della persona umana»[13]e non come mero calcolo contabile che porti a un plusvalore maggiore in beni eservizi prodotti, scambiati e consumati.
 
Perimpegnarsi sul campo
Se differenti eantitetiche sono le proposte di esperti del calibro di Dambisa Moyo[14] e Jeffrey Sachs[15], la prima che indica dicongelare per cinque anni tutti gli aiuti allo sviluppo, il secondo che,invece, invita a lanciare un programma straordinario da 195 miliardi di dollariall’anno fino al 2015, comune è la consapevolezza dell’urgenza di ridefinire lepolitiche degli aiuti internazionali, anche in conseguenza della crisieconomica che sta obbligando i paesi donatori a drastiche revisioni dei propribilanci.
Imprescindibile,dunque, aprire un tavolo ove si individuino, e condividano, gli assunti basedello sviluppo umano, in prospettiva della sempre più pressante globalizzazionedei rapporti a tutti i livelli, e gli obiettivi che si intendono e cheplausibilmente si possono perseguire; i sistemi in cui muoversi e gli strumentioperativi da impiegare, con le dovute e necessarie regole di corresponsabilitàe governance; le agende programmatiche, che siano verosimili e credibili.
Forse, cosìfacendo, avremo intrapreso il primo piccolo passo verso il superamento dellatradizionale visione paternalistica degli aiuti allo sviluppo e della loroaltrettanto tradizionale gestione “pseudo-efficientista” di stampo occidentale,e al contempo avremo contribuito a mettere le basi per una nuova forma diconvivenza su questo nostro pianeta, ove al centro ci sia la persona con i suoiinalienabili diritti, tra cui quello del suo sviluppo integrale!



[1] Il cornod’Africa è una penisola a forma di triangolo sul lato est del continenteafricano. Ne fanno parte: Eritrea, Etiopia, Gibuti e Somalia (da Wikipedia,l’enciclopedia libera). Ai nostri fini, vi comprendiamo pure il Kenya el’Uganda.
[2] Cfr.http://www.agire.it/it/appelli_di_emergenza/africa_orientale.html.
[3] Cfr.Commissione europea, MEMO/11/549, Horn of Africa–EU Development Work in theregion, Brussels, 5 August 2011.
[4] Cfr. Commissioneuropea, Le Fonds européen pour les frontières extérieures va allouer 370millions d’euros aux États membres en 2012, Bruxelles, 5 Août 2011.
[5] Cfr. dellostesso A., Ingegneria finanziaria in risposta alla crisi, in KultUnderground,n.189, 2011.
[6] Federico IIdi Hohenzollern, detto Federico il Grande (Berlino, 24 gennaio 1712 – Potsdam,17 agosto 1786), re di Prussia dal 1740 alla sua morte. Fu uno dei personaggipiù influenti e rappresentativi del suo tempo, rappresentando la tipica figurasettecentesca del monarca illuminato. La sua azione riguardò sia il pianopolitico e militare, sia quello dell’economia e dell’amministrazione statale,sia lo sviluppo delle scienze e delle arti (da Wikipedia, l’enciclopedialibera).
[7] Cfr. MarcoZupi, L’eredità del Piano Marshall per la politica di cooperazione allosviluppo, Roma, 1997.
[8] Cfr. AA.VV., Manuale diformazione. Le nuove opportunità della cooperazione decentrata, Roma, 2005.
[9] Cfr. DambisaMoyo, Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo, Milano,2010.
[10] Cfr. DambisaMoyo, Come …, op. cit.
[11] Cfr. AA.VV., Manuale …, op. cit.
[12]Cfr. Stefano Gardelli, L’Africa cinese, Milano, 2009.
[13] Cfr. GiulioAlbanese, Cooperazione, è l’ora di una vera svolta, in Avveniredel 29.07.2011.
[14] Cfr. DambisaMoyo, Come …, op. cit.
[15]Cfr. Jeffrey Sachs, Il bene comune. Economia per unpianeta affollato, Milano, 2010.

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