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L’ira funesta – Paolo Roversi

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Rizzoli – Pag. 320 – Euro 17
 
L’Italia letteraria è da tempo patria di giallisti. Non solo quasi tutti i romanzi che escono per grandi editori sembrano scritti con la mente rivolta a una possibile sceneggiatura televisiva. Niente di deprecabile, ci mancherebbe. Siamo un popolo di investigatori, amiamo perlustrare la scena del crimine, ci piacciono le congetture intorno ai delitti più impensati e le trame con il finale a sorpresa. Paolo Roversi è scrittore intelligente e raffinato, asseconda i gusti del pubblico, intesse un giallo padano, ironico e piacevole, ambientato in un piccolo centro della Bassa, dove si passano noiose giornate al bar e tutti sono comunisti. Il maresciallo Omar Valdes, nuovo investigatore seriale ideato da Roversi, indaga per scoprire l’autore di un efferato delitto. Lo scemo del paese, uno squilibrato che minaccia di compiere una strage, è il primo sospettato. Ma sarebbe tutto troppo facile.
Abbiamo avvicinato l’autore per rivolgergli alcune domande.
 
 
Milano criminale era un romanzo di ispirazione cinematografica, una sorta di omaggio a Scerbanenco. È stato il tuo debutto con Rizzoli. Ti ha portato fortuna?
Mi ha portato molta fortuna devo dire. Oltre a tanti nuovi lettori in Italia (ha avuto due edizioni qui da noi) il romanzo è già stato tradotto con successo in Francia e lo sarà presto in Spagna e in Germania. In questo paese, in particolare, l’editore Ullstein ha deciso di farlo uscire, l’8 marzo prossimo, come titolo di punta del
proprio catalogo con un’altissima tiratura. Ci sarà una campagna promozionale su radio e televisioni per il lancio e la cosa mi fa molto piacere visto che la Germania è uno dei mercati editoriali più importanti d’Europa.
 
L’ira funesta è il primo caso del maresciallo Valdes. Presentaci il tuo nuovo personaggio.
Il maresciallo Omar Valdes è un tipo burbero e poco ciarliero, amante della pesca al pesce siluro – per questo, per prenderlo in giro quando non sente, la gente l’ha soprannominato Tenente Siluro –  e con un passato oscuro alle spalle, nelle forze speciali. Per un castigo che i suoi superiori hanno deciso d’infliggergli si trova confinato in un piccolo paese della Bassa, ribattezzato Piccola Russia per via delle idee politiche dei suoi abitanti, dove, volente o nolente, dovrà occuparsi di uno strano caso di omicidio il cui indiziato principale sarà un matto di paese, il Gaggina, un omone che si crede la reincarnazione di un samurai e che, per questa ragione, se ne va a spasso per il paese con una katana, la famosa spada giapponese…

Il giallo di provincia è un tuo marchio di fabbrica. Ami ambientare le tue storie nella Bassa Lombarda. Segui una tradizione italiana importante, da Chiara a Soldati… La provincia italiana ti permette di dare spessore alla narrazione e di raccontare il malessere contemporaneo?
Certamente. Questo romanzo, per me, è un ritorno alle atmosfere de La mano sinistra del diavolo, un libro che mi ha portato molta fortuna e regalato grandi soddisfazioni. Quando scrivo della mia terra, e della provincia quindi, m’ispiro in modo particolare a Guareschi che ha descritto benissimo e con ironia la Bassa. Credo che raccontare le vicissitudini di una piccola comunità permetta, in ultima analisi, di raccontare tutto un Paese con le sue paure, i suoi difetti, le sue ossessioni. Raccontando la Piccola Russia, insomma, ho cercato di scattare una fotografia ironica e  al tempo stesso disincantata dell’Italia di oggi.

 
Il tuo amore per Bukowski – di cui sei un cultore – a tuo parere condiziona le storie che scrivi?
Lo condiziona forse solo come stile: frasi brevi e incisive, ritmo serrato. Quanto al contenuto e al tipo di storie raccontate invece siamo davvero molto distanti.
 

 

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