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Fenomenologie seriali – Caterina Davinio

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Campanotto editore,2010
 
La raccolta accoglie la produzione dellaDavinio dal 1999 al 2003 e si presenta in doppia veste linguistica, contraduzione inglese a fronte, curata dalla stessa Davinio e da Davide W. Searman.
Non ho dubbi a definire la silloge dellaDavinio come una riflessione sul Tempo, a cominciare dal titolo che fa riferimentoalla serie ripetitiva di fenomeni che appaiono all’esperienza sensibile e che, quindi,si allungano sulla durata del quotidiano.
Si tratta di Tempo soggettivo, una sorta dipunto nevralgico del presente nel quale confluiscono e si confondono enti delpassato e del domani, quasi che, accanto agli amori, agli inciampi, agli attimigià stati, si coagulasse la fenomenologia concreta di ciò che lei sarà o lecapiterà.
Uso intenzionalmente una terminologia diimpostazione filosofica perché, ripeto, sin dal titolo, è con questi fondamentiche si presenta la silloge al lettore. 
La considerazione di una compresenza delTempo trova un riscontro obiettivo nei versi, ove spesso la declinazioneverbale rimbalza dal passato al presente al futuro, tale che la medesima poesiasembra condensare fasi eterogenee della vita:
Dove inclina la curva vana, /impronunciabile / della tenerezza /…si raggrumava il mio ora e l’allora, e il /poi e il per sempre (in ewig) / in eterno.
È giusto, allora, scrivere Tempo con lalettera maiuscola proprio per intenderlo nel modo idoneo. In questa raccolta, ribadisco,esso non raffigura la cronologia dei fatti e delle emozioni personali, ma lacategoria che pone il flusso della realtà e del cosmo sull’asse cartesiano,perpendicolarmente alla retta dello spazio: i due enti della ragione empiricache come argini contengono la corrente della vita. Ma per la Davinio lo scorrerenon è lineare, la comprensione di tale getto impossibile e dunque la parola peresprimere l’esistente e l’accadere si cela nelle tenebre, introvata.
Conto secondi secolari / anelli nel troncodei nostri alberi, / spezzo tutti i rami nostri e nulla / mi consola.
Uscendo fuori dall’ordine delle sequenze obiettive,tutto potrebbe essere già stato, compresa la propria morte, termine che torna eritorna insistente e tormentoso quasi in tutti i testi della raccolta.
Difatti, accanto alla dimensione temporale,onnipresente nella poesia della Davinio al punto da sfiorare quasil’ossessione, si colloca con la medesima insistenza angosciosa la meditazionesul nulla eterno che ci accoglierà  e direi che proprio nel binomio Tempo-Mortepossiamo alla fine raccogliere il significato pieno dell’opera.
Per meglio dire: l’unica certezza che toccaall’essere vivente è quella paralizzante che parte nella radice dell’anima eche contiene scritta in ogni cellula la coscienza, unica e inequivocabile,della propria dissoluzione.
È il solo evento percepito in lucidità, ilquale, in mezzo al nonsenso che ci attanaglia, continua conturbante ariproporsi: dove terminano / tutte le stazioni….e vanno le mie morti /innumerevoli / a passo di soldati.
La morte, infatti, è vissuta come uncontinuum: dal trascorso, dove è già accaduta, continua a riverberarsi su tuttigli istanti dell’oggi, soggiogandoli a uno a uno: l’ora dilaga in tutte lesfumature/ rosso sfinito/…ficca passi regolari a un lungo funerale. 
A una significazione dell’accadere cosìsoggettiva non poteva che corrispondere una ricerca del dire poetico. Il mondoè circolo inattingibile: dentro / sono le ore / e forse / i giorni. / Noncontengono il mondo / che veloce va altrove e, nello straniamento che irradiadal fondo, la parola si frantuma e la sintassi si avvia per percorsi chevorrebbero essere rassicuranti e/o conoscitivi e mai lo sono. Nascono inattesineologismi –s-dimenticarmi– ma soprattutto una costruzione sintatticache sembra non finire mai il tratto iniziato, imboccando di continuo altre vie,nel vano tentativo di definire e circoscrivere.
Inoltre, ultima delusione, il sentimentodell’amore, che fa capolino attraverso un tu spesso evocato, aspirerebbea proporsi come mezzo di elevazione spirituale, ma non colma affatto l’orizzonteche continua a restare vuoto di concetti e punti di approdo.
Talora il rivolgersi all’altro rasental’invocazione a raggiungere insieme vette di significazioni ed eternità, perliberarsi dall’assurdo della condizione di spaesamento e sconoscenza –ilnostro precario senso– che tocca all’uomo. Inutile è il tentativo.
È senza frutto anche la ricerca di trascendenzadi un Ente supremo che sia garante dell’esistente. L’ente Dio non è l’Inconoscibile,ma, per la Davinio, rappresenta ciò che proprio non è.
L’autrice sembra offrirci, nella secondaparte della silloge, un esempio per meglio comprendere il suo disorientamento,proponendoci lo smarrimento di Medea, dopo l’uccisione dei figli: dove sonoi bambini? …dove sono io?
Due donne alle prese con la sostanza temporaleche sembra possedere ragione propria e capacità di travolgere intelletti ecreature.

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