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La Meridiano Zero: casa editrice per passione

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La Meridiano Zero
Casa Editrice per Passione

 

Una delle Case Editrici in assoluto più seguite risponde alle nostre domande e ci illustra la sua collocazione sul mercato editoriale e il suo atteggiamento nei confronti degli autori esordienti attraverso le brillanti risposte (per chi sa leggere tra le righe) del suo fondatore Marco Vicentini.

 

Una breve storia della Vostra Casa Editrice e della sua collocazione sul mercato italiano.

La Meridiano zero nasce dalla grande passione per la lettura e il libro di Marco Vicentini, che mentre passava una parte della sua vita affacendato in tutt’altro lavoro, a mettere in piedi un centro informatico in un’industria metalmeccanica veneta, trovava il tempo di leggere, e leggere, e leggere. E così di cominciare a leggere in inglese e francese, di studiare tedesco, russo, spagnolo, giapponese (senza riuscirci, diciamolo pure) per leggere in altre lingue, a fare il turista alla Fiera di Francoforte, insomma a pensare che forse ci poteva anche provare…

 

Quali sono al momento i Vostri punti di forza?

Un disegno chiaro e preciso del tipo di letteratura a cui siamo interessati, una coerenza nelle scelte editoriali, e anche una grafica accattivante e molto curata.

 

Parlateci di una iniziativa cui volete dare il massimo risalto, e alla quale tenete molto.

La pubblicazione di tutta l’opera, noir e letteraria, di James Lee Burke, un grande autore americano portato al successo in Italia da Mondadori e adesso approdato a Meridiano zero.

 

Un esordiente come deve presentarVi un manoscritto?

Innanzitutto deve presentarlo in forma cartacea, non per e-mail. Abbiamo avuto infiniti problemi di documenti che non si aprivano, che portavano virus, che non venivano allegati per sbaglio, per rifiutarci di considerare tutto quello che non arriva per posta. Oltre al fatto che non possiamo sobbarcarci il compito di stampare le decine di manoscritti che arrivano ogi settimana, non e’ questo il nostro lavoro.

Per il documento stampato non ci sono indicazioni diverse da quelle dettate dal buon senso. Il manoscritto deve essere facilmente leggibile senza rendere la cosa inutilmente complicata. Non prestiamo attenzione a valori di interlinea, numero di caratteri, font scelto. Ognuno puo’ stamparlo come crede, ed è in grado di giudicare se la lettura non è troppo difficile.

Poiché gli autori fanno anche decine di invii, con un certo dispendio di soldi, noi invitiamo a fare una spedizione postale semplice: la raccomandata è una spesa superflua, anche perché inviamo sempre una e-mail in cui diamo ricevuta del manoscritto.

Altro suggerimento per risparmiare soldi: ci arrivano manoscritti che sono stati depositati alla SIAE. Secondo me è inutile e anche questi soldi sono sprecati. Se abbia senso depositare o no il manoscritto alla SIAE, lo dicono semplicemente i nomi degli editori a cui si vuole mandare il manoscritto. Se sono editori a distribuzione nazionale, è estremamente difficile che vogliano giocarsi la reputazione per rubare un manoscritto il cui successo di vendita è tutto da dimostrare.

 

Come può orientarsi un esordiente nella selezione delle case editrici a cui inviare il proprio lavoro?

Dovrebbe avere un’idea della linea editoriale della casa editrice a cui vuole inviare il testo. Molto spesso gli autori, dopo avere impiegato un anno o più per scrivere un romanzo, non ritengono di perdere una giornata a esplorare con attenzione una libreria per rendersi conto quali sono le case editrici che sono in sintonia quello che scrivono loro. Non solo a noi, ma a tutte le case editrici arrivano, manoscritti mandati chiaramente a tappeto, o alla rinfusa, dai saggi ai romanzi erotici, dai reportage su paesi esteri a romanzi dell’orrore. A noi certe volte basta un minuto per capire che -indipendentemente dalla qualità – quel libro non ci interessa. Per l’autore era più semplice se provava a pensarci da solo, prima di inviarlo.

 

Vi sentite di indicare qualcosa di particolare a un emergente circa la revisione dei suoi testi?

La mia opinione è che se ne può fregare di quelli a cui piace quello che scrive. Li lasci perdere. vada a cercare quelli che hanno critiche, feroci o comunque che vogliano discutere. Sto parlando ovviamente di un autore che abbia la convinzione di voler fare lo scrittore e sia disposto a percorrere la dura strada dello riscrivere, del ripensare, dell’approfondire, dello sfrondare, insomma che sappia già che non è nato scrittore e che la vocazione deve anche costruirsela. Non sto parlando degli indecisi che hanno bisogno di essere rassicurati. Secondo me chi andrà a cercare le critiche, e spulciandole e debitamente filtrandole, e poi discutendole potrà indubbiamente crescere.

 

Quando è il momento per un autore esordiente di spedire la sua opera agli editori?

Mah… potrei dire una cosa diversa ogni volta che me lo chiedono. Una cosa un po’ provocatoria (ma non del tutto) è “il momento è quando ha già altre due opere precedenti nel cassetto, con cui non ha bersagliato gli editori”.

 

Ritenete che sia fondata l’utilità dei corsi di scrittura?

Non vorrei fare troppo il pignolo, ma dipende di quale utilità parliamo. Per permettere a tanti scrittori di arrotondare le entrate, visto che i proventi dei libri non permettono in genere il sostentamento, per permettere cioè che degli scrittori possano continuare a scrivere libri di qualità e non meramente commerciali, be’, questa utilità mi sembra provata.

Per quello che riguarda i frequentatori, penso che l’utilità nel “creare scrittori” non ci sia ma non sia neanche in discussione perché non mi pare che sia uno degli scopi delle scuole. Per insegnare invece a usare correttamente gli strumenti, non solo lessicali,  grammaticali, ma anche narrativi, direi che l’utilità sia fondata.

 

E il ruolo delle Agenzie Letterarie nel panorama editoriale italiano quale è? C’è da fidarsi?

Dipende, c’è un po’ la sovrapposizione dei due piani, quello della cultura e quello della merce. E il libro purtroppo si presta a questa ambiguità.

Il grosso editore che strilla “il libro più appassionante dell’anno”, o l’agente che afferma “il giovane autore più promettente dell’anno” sono la stessa cosa, sono il saper vendere per la soddisfazione degli azionisti in un caso e dell’autore rappresentato nell’altro. Si potrebbe dire che non è interesse di chi vende qualcosa fare affermazioni troppo roboanti altrimenti in futuro non verrà considerato affidabile. Ma non è proprio così, la pubblicità ci ha abituati alle formule dell’eccesso, dal perenne “più bianco” dei detersivi al fasullo “C’è un problema? Lo risolviamo!” della politica.

Anche per le agenzie letterarie vale lo stesso discorso che vale per gli editori o per i librai, la coerenza di comportamento emerge con il tempo, e con il tempo si capisce se c’è da fidarsi di quella agenzia.

 

Cosa consigliereste di leggere a un autore esordiente per migliorare la sua formazione?

Opere diverse, libri che mostrino come gli scrittori lavorano con il dialogo, con i personaggi, con lo sviluppo della storia, e dovrebbe cercare di analizzarne i meccanismi.

 

Domanda cruciale: Scrittori si nasce o si diventa? In breve quanto conta il talento di base rispetto a quanto si può eventualmente acquisire in seguito a livello di tecnica?

Secondo me se non c’è il talento di base, scrittori non si può diventare. Ma se non si affinano i mezzi, se non si impara la tecnica (o se non se ne sviluppa una propria) scrittori lo stesso non si può diventare. Secondo me è lo stesso che con la pittura, ad esempio. Se non c’è il talento non esiste l’autore. E se non si impara/sviluppa il modo di esprimere il talento, questo non potrà venire alla luce.

 

Si dice che l’aver vinto dei concorsi letterari a volte sia un’arma a doppio taglio nei confronti delle case editrici. E’  vero? Insomma, giova o gioca a sfavore?

Per noi, né l’uno né l’altro. Quello che conta è come uno scrive, che abbia o non abbia vinto qualcosa. E poi bisognerebbe anche considerare di che concorsi si tratta. Ormai anche la drogheria sotto casa fa un concorso letterario, imperniato magari sul panino alla mortadella…

 

Tra centinaia di manoscritti che una casa editrice esamina, quali sono i particolari che possono significare la differenza?

Il particolare che fa la differenza è la scrittura. I manoscritti da noi vanno a un comitato di lettura, ma quando si apre un pacco so sfogliano inevitabilmente una o due pagine. Bene, quando succede di dire “Sentite questo, come scrive:…, bello, no?”, ecco quello ha già colto la nostra attenzione, e l’ha fatto tramite la scrittura. Che, ripeto, non deve essere necessariamente “alta”. Deve essere “personale”.

 

Vi è mai capitato, come dire, di non dare considerazione a una giovane promessa, che poi magari è stata “scoperta” e lanciata da altre case editrici concorrenti?

Certo, ma – e questo è l’importante – se tornassi indietro sapendolo, opererei molto probabilmente la stessa scelta. La Meridiano zero è una piccola casa editrice e io sento il bisogno di avere lo stesso entusiasmo, la stessa convinzione verso tutti i libri che pubblico. Ci è capitato di leggere un manoscritto che aveva delle caratteristiche molto commerciali e di facile vendibilità, ma che non piacesse né a me né agli altri redattori. Le nostre scelte tengono conto di tutti e due gli elementi, quello qualitativo e quello commerciale, ma quello qualitativo deve esistere. Quando un libro non mi piace per niente, non vorrei comunque pubblicarlo anche se avessi la garanzia che poi venderebbe. (Se fosse un’intervista dal vivo, a questo punto l’intervistatore mi chiederebbe “Sì, va bene, ma se parlassimo di vendite come quelle del fenomeno Melissa P., sarebbe ancora capace di dire che non pubblicherebbe mai qualcosa che non le piace?”. Però, come sappiamo, questa è un’intervista via mail e nessuno riprende le domande…)

 

 Si comincia a pensare che dopo il primo successo molti autori emergenti, dopo la prima pubblicazione, siano destinati a un flop quasi predestinato. Quanto influenza questo sulle Vostre scelte editoriali?

No, perché? Io non l’ho sentito dire, e neanche lo penso. In realtà credo che se l’autore emergente è stato spinto, “pompato” dalla casa editrice o dai media, allora sì, può essere molto facile che il libro successivo sia un flop. Ma in realtà quando sento “autore emergente” io penso a un autore ‘naturale’, non costruito, per il quale credo che in genere sia piu’ frequente una crescita con il secondo romanzo.

 

Siete dunque alla ricerca più di un valido professionista, altamente motivato, e capaci di vendersi bene, piuttosto che di un dilettante entusiasta. Me lo conferma?

Ehm… no. Assolutamente no. Proprio il contrario. Io cerco innanzitutto una “voce personale”, un autore che abbia una maniera propria e personale di esprimersi (i francesi hanno una vocabolo bellissimo per esprimere questo, “le souffle”, che reca in sè le connotazioni di un’anima…) e abbia anche una storia da raccontare. Quello che ho detto non fa un romanzo, di per sé. Va bene, non importa. È anche per questo che serve la casa editrice. Per guidare, affinare, portare l’autore a scrivere qualcosa che sia affascinante e non traballante come quello che ci ha mandato, ma che per fortuna lasciava intravedere la “voce”. Con questi esordienti ci interessa e ci appassiona impiegare tutto il tempo a spiegare e discutere. Purtroppo con gli altri 99 che non ci interessano, non abbiamo il tempo di chiarire, spiegare o discutere.

 

Autori continui, regolari, costanti, che scrivono con regolarità e che si suppone possano crescere fino a raggiungere un alto livello di professionalità e di bravura. Potrebbe essere questo l’identikit del Vostro autore ideale?

Mi immagino un omino in giacca e cravatta, con la ventiquattrore e il telefonino multifunzione, che timbra il cartellino e va a infilarsi nel suo cubicolo, per produrre le sue paginette quotidiane… Mmm, mi fa quasi paura. Mi attira molto di più un autore discontinuo, irregolare, incostante… E’ vero, probabilmente ci sarebbero più problemi a gestire il rapporto, ma volete mettere la soddisfazione?

 

E quando ne incontrate uno da cosa siete in grado di riconoscerlo? E soprattutto siete veramente certi di essere in grado di riconoscerlo?

Non capisco la domanda. O meglio la domanda si riferisce probabilmente agli Autori con la A maiuscola, che girano in incognito tra di noi, e chi lo sa se qualche editore li riconoscerà per primo e se li accaparrerà… Quello che cerco di riconoscere io sono gli autori che dicono qualcosa a me, che mi toccano, che mi fanno provare delle sensazioni, che mi pongono degli interrogativi, che mi fanno ammirare qualcosa… Se non sono in grado di riconoscerlo, vuol dire che quelle cose per me non c’erano.

 

Una volta che avete individuato un autore promettente fino a quanto e come siete disposti ad investire su di lui?

Completamente, ma non dimentichiamoci che stiamo parlando di una piccola casa editrice, con il budget di una piccola casa editrice.

 

Eppure nonostante tutto sugli scaffali delle librerie ancora si continuano a vendere solo e soltanto i bestsellers di autori affermati, questa tendenza non si prevede invertibile,  o forse qualcosa sta cambiando?

Non, non cambierà mai niente, ma non è questo il problema. L’utopia di un mercato che privilegi l’editoria di qualità su quella di consumo, la lasciamo ad altri. Secondo me la situazione che si dovrebbe e potrebbe lavorare a creare è quello che è accaduto nel cinema, dove il cinema cosiddetto ‘d’essai’, considerato in crisi fino a… più o meno otto anni fa, ha mostrato di poter costruire un suo pubblico forte, di riuscire a creare un appeal, di ritagliarsi una nuova nicchia di mercato.

 

Ultimamente quali sono gli autori esordienti sui quali avete deciso di investire particolarmente?

Abbiamo investito molto su Paola Presciuttini (anche se in realtà è “quasi” esordiente), su Archetti, di cui abbiamo pubblicato con entusiasmo il bellissimo Lola Motel, e di cui abbiamo letto e commentato il manoscritto del successivo “Vent’anni che non dormo”, che poi l’autore ha affidato a Feltrinelli. Il primo autore italiano su cui ci siamo impegnati è stato Francesco Permunian, che ha affidato il secondo libro a Rizzoli. E avevamo investito molto anche su Andrej Longo, il cui libro successivo è stato affidato a Rizzoli. Ma adesso stiamo puntando molto sulla collana “Gli Intemperanti”, collana specificamente dedicata agli autori italiani esordienti.

 

E il risultato che avete ottenuto in questi casi è stato rispondente alle Vostre aspettative?

In termini di successo di critica sì, dalle parole di Maria Corti su Permunian (“geniale e originalissimo libro”) alle lodi di Sinibaldi ad Archetti a Fahrenheit. In termini di far crescere l’autore assieme e in congiunzione con la casa editrice, forse no, perché gli autori che hanno successo vanno immediatamente a cercare un editore più grande.

 

Quali sono le modalità per inviare un manoscritto alla Vostra casa editrice?

Semplicissime: invio cartaceo, per posta. Ma abbiamo una pagina, “Manoscritti”, sul sito www.meridianozero.it, dove puntualizziamo le poche cose da sapere, come l’avviso di non fare raccomandate, e di indicare il proprio indirizzo e-mail.

 

Quante persone si occupano della lettura dei materiali pervenuti in redazione e che procedure seguono per l’esame, la valutazione e il responso finale?

Tre persone fanno in genere parte del comitato di lettura, e per i romanzi che passano il filtro, allora c’è una discussione più allargata.

 

Spesso gli editori parlano degli autori esordienti come di un “male necessario”, possiamo capire che alcuni autori possano essere particolarmente invadenti, o permalosi in caso di un rifiuto, ma continuiamo a pensare che gli autori esordienti, bravi o meno bravi, siano fondamentali per lo sviluppo dell’editoria, e che le case editrici dovrebbero forse costruire una specie di ponte virtuale per aiutarli ad attraversare il vasto mare agitato della tentata pubblicazione. Voi a tale proposito come la pensate?

Le case editrici non devono costruire nessun ponte virtuale. Gli aspiranti autori sono decine di migliaia, e la maggioranza purtroppo non ha le qualità per diventare scrittori. Qualunque struttura che si prenda carico di costruire ponti virtuali a questo proposito sarebbe una struttura umanitaria, molto lodevole, ma che dovrebbe affrontare innanzitutto il problema del finanziamento. Le case editrici devono cercare di trovare, qui in mezzo, le cose che vale la pena pubblicare, ognuna in sintonia con i propri obiettivi, siano più commerciali o più culturali.

 

La Vostra posizione sul fenomeno oramai tanto diffuso della Pubblicazione con Contributo o a Pagamento?

Anche qui va spiegato meglio che cosa si intende. Di solito agli autori che mi chiedono qualcosa del genere io spiego che secondo me esistono sostanzialmente tre tipi di lavoro che producono libri.

Gli editori, che essendo un’attività imprenditoriale, dove puo’ avere un peso più o meno forte l’aspetto culturale, investono il loro denaro nei prodotti *in cui credono*, per ottenere un utile. Non investono il denaro degli autori. L’editore in quanto tale ha una capacita’ distributiva, piccola o grande che sia.

I tipografi, che effettuano la stampa del libro, *di qualunque libro* e vengono pagati – da autori o editori – secondo i prezzi di mercato per la sola attività di stampa.

I truffatori, che effettuano quello che e’ il lavoro della tipografia, ma spacciandolo per (e qui sta la truffa) lavoro editoriale, garantendo così una distribuzione che non sono in grado di mettere in pratica e facendosi pagare dall’autore una somma evidentemente superiore a quella che l’editore potrebbe ricavare dalle vendite.

Il quarto di questi tre tipi e’ in realtà un’attività di service che compone il libro, lo corregge, prepara la copertina, cura la stampa e lo consegna all’autore dietro  un compenso pattuito. Questa pure e’ un’attivita’ corretta perche’ i prezzi di mercato dei service sono controllabili e soprattutto non si parla di distribuzione, che il service non è in grado né pretende di assicurare.

 

Una volta deciso di investire su un particolare autore, quali sono i meccanismi di promozione che adottate per incentivare l’iniziativa?

I meccanismi vanno dalle presentazioni agli interventi alle radio, dalle iniziative che può organizzare la città o la regione dell’autore al coinvolgimento in dibattiti pubblici o tavole rotonde a festival e fiere. Ma direi che soprattutto è una cosa che va vista autore per autore, a seconda del tipo di libro e del carattere dell’autore, anche.

 

Capita invece che qualche nuovo autore, dopo la prima opera, Vi proponga un nuovo lavoro per la pubblicazione, e che Voi vi troviate a rifiutarlo a causa dei risultati non soddisfacenti di vendita finora ottenuti? Vi trovate a volta a dover dire di no a un Vostro pupillo?

Finora non è successo in questi termini. Ci è successo invece di avere delle riserve sul livello di compiutezza di un manoscritto. ma questo rientra nell’ambito dei rapporti editore-autore, dell’umiltà di un autore che dopo un libro pubblicato possa ritenere di avere ancora qualcosa da imparare oppure no.

 

E’ vero che molti autori esordienti calano di livello dopo il primo successo, o peggio ancora non sono in grado di mettere a punto la seconda opera e rinunciano del tutto? E in caso come Ve lo spiegate?

È vero, ma più spesso investono un’importanza eccessiva nella seconda opera, e vivono in maniera molto personale qualunque critica da parte dell’editore del primo libro. Per cui le stesse critiche possono essere molto più disponibili ad ascoltarle da un nuovo editore, come se sentissero “traditore” il primo.

 

Nell’economia generale del Vostro catalogo quanto puntate sulle opere degli autori esordienti?

Come autori esordienti tout court, non solo italiani, diciamo che vorrei puntarci per un 40% (non è così peregrino come può sembrare, perché ho comprato ad esempio i diritti di un autore esordiente americano, che non è ancora stato venduto in America, quindi realmente è un esordiente), mentre se ci limitiamo agli italiani, vorrei avere una percentuale del 20%.

 

Quale può essere una buona tiratura per un romanzo di esordio di un autore italiano?

Un migliaio di copie, con la preparazione e capacità di essere rapidi a fare ristampe. Ricordiamoci che la maggior parte degli esordienti, che siano pubblicati da piccole case editrici o da grandi, non supera le 200-300 copie di venduto, e tantissimi sono pesantemente inferiori. Le grandi case editrici non lo ammetteranno mai, incidentalmente.

 

E dopo che cosa succede?

Eh… se c’è la qualità e c’è anche il packaging, il “vestito” corretto, allora comincia a vendere. La qualità da sola non basta (salvo le solite eccezioni che tutti si citano, come il libro di Mancassola, le cui vendite hanno continuato a salire fino a catturare l’interesse di Mondadori), ci vuole la distribuzione, la copertina giusta, la quarta di copertina giusta, l’interesse della stampa.

 

Rimane ancora vero che il sogno di ogni editore è quello di creare un autore, e dunque un nuovo fenomeno editoriale?

Sono due cose completamente diverse il creare un autore e creare un fenomeno editoriale. Anche perché il fenomeno si crea, l’autore lo si scopre, o al massimo lo si aiuta e lo si guida. Per fare esempi che riguardano altri editori, con Melissa P. si è creato un fenomeno editoriale, con Marco Mancassola si è aiutato un autore venire allo scoperto.

 

Parliamo di percentuali, su centinaia di manoscitti inviati a una casa editrice quanti sono ragionevolmente proponibili e quanti di quelli accettabili giungono poi alla pubblicazione? Insomma su che numeri viaggia la selezione di un nuovo autore? I nostri lettori sospettano che la probabilità di riuscire sia paragonabile alla vincita dell’Enalotto, è davvero così?

Su 100 manoscritti, 90 sono da buttare, 10 da considerare (in termini di vedere meglio l’autore, di invogliarlo a farci leggere qualcos’altro), 1 da pubblicare o più probabilmente da seguire perché il prossimo sarà pubblicabile.

 

Non dovreste essere Voi a cercare gli autori, e non essere viceversa sottoposti da questi ultimi a un costante ed asfissiante corteggiamento?

Facciamo tutt’e due le cose.

 

Quali sono le opere che prediligete? E in base a quali criteri progettate le collane editoriali? Successo di pubblico, o passione per il genere letterario prescelto?

Le opere che prediligo sono quelle che hanno una storia avvincente, uno stile personale, la capacità di evocare sensazioni, atmosfere senza descriverle, ma toccando le note giuste (quando incontro un aggettivo che dà tutta una colorazione, un sapore paricolare alla scena che sto leggendo, quella è una cosa che mi conquista). I criteri sono “quello che mi piace”, indipendentemente dal genere o dal successo (con buon senso, ovviamente, cioè se si intuisce che un libro non può avere nessun successo di pubblico, è una cosa che sarebbe stupido non considerare)

 

Come fa un autore a sapere che sorte ha avuto il suo manoscritto inviato in lettura presso di Voi?

Se l’autore ci dà l’indirizzo e-mail, riceve sempre una risposta.

 

La politica editoriale non è mai incentrata su un solo libro, ma è rivolta generalmente alle potenzialità dello scrittore, ma come si può con un esame frettoloso di poche pagine di ogni manoscritto individuare non solo il valore letterario di un’opera ma anche le capacità di sviluppo di chi scrive e che potrebbe diventare un buon autore?

È sbagliata la domanda. Non si può infatti con un esame frettoloso individuare nessun valore letterario, dovunque sia. Un esame frettoloso di Flaubert o Dostojevskji porterebbe a risultati discordanti con quelli di un esame approfondito. Ma un professionista in qualunqe campo puo’ fare un esame rapido (non frettoloso. Se è frettoloso non c’è posto per lui nell’editoria) per valutare se merita un approfondimento o no. Se merita un approfondimento, allora si valuterà il valore letterario, non prima.

 

 

Ultimamente molte collane dedicate al Giallo e Noir tendono a sconfinare nel Pulp o nello Splatter. Qual’è la Vostra posizione in proposito?

Noi andiamo in direzione opposta. Il Noir rappresenta il terreno in cui si fonde veramente il ‘genere’ letterario con la letteratura. Il nostro interesse per lo stile, lo sviluppo dei personaggi, l’intreccio delle storie, non è certo per lo splatter.

 

Le vecchie e nuove collane editoriali dedicate al genere Giallo, Thriller e Noir, con qualche coraggiosa puntata verso il genere Horror, si stanno rivelando una scelta vincente. Forse si tende ancora considerare questo tipo di letteratura un intrattenimento di serie B, o le cose stanno diversamente?

Bisogna distinguere… il lettore medio ha un consumo crescente di letteratura di ‘genere’, quella che veniva chiamata letteratura ‘popolare’ o ‘di massa’, per cui – crescendo la percentuale di diffusione – viene meno la necessità di definirla (o di ostracizzarla), con etichette diffidenti come ‘di serie B’. Mentre il lettore ‘impegnato’ questa diffidenza ce l’ha ancora, e quindi la tendenza a usare termini allusivamente spregiativi come ‘serie B’ c’e’ sempre…

 

O questo sta solo a testimoniare ancora una volta che il lettore medio ha una paura quasi atavica nei confronti delle cosiddette letture “impegnate” o “impegnative”?

Gli scrittori in Europa troppo spesso tendono a voler ‘dimostrare il loro valore’ con i loro libri, anziché darsi al piacere di raccontare, come accade un po’ più frequentemente in altri paesi, e questo può indubbiamente scoraggiare il lettore medio dal riavvicinarsi a un’opera ‘impegnata’.

 

Anche nella letteratura come in ogni altro genere di cose si assiste spesso a fenomeni di corsi e ricorsi storici in cui i riflussi di tendenze precedenti continuano a influenzare fortemente il mercato, è questo il motivo del prolificare di tutti i generi Mistery, Detection, Procedural, Techno e Legal Thriller?

Secondo me non sono corsi e ricorsi, ma la progressiva specializzazione innanzitutto del mercato, inteso nel senso di sfruttamento ottimale degli acquirenti, degli utenti finali.

Permettetemi un esempio con il cinema. Qualche decennio fa c’era spazio per pellicole che, pur lavorando all’interno di un genere – western, fantascienza, giallo, cartoni animati – attiravano tutti i tipi di pubblico, spettatori di tutte le età. Poi si è riscontrato che poteva dare risultati migliori in termini economici – pensare il film in termini del suo spettatore ideale, cioè tenere presente durante la progettazione del film qual era lo spettatore a cui era diretto. Ed ecco nascere non solo i filoni ben specifici e identificabili con facilità dagli appassionati – horror, teen-agers movie, ecc. – ma anche un appiattimento e banalizzazione di moltri altri generi. Tanto per fare un esempio, quando i cartoni animati erano diretti a un pubblico molto più vasto, sono stati fatti film che sono visibili con piacere ancora oggi, mentre la maggior parte dei cartoni animati di oggi non sono più visibili senza fastidio dallo stesso bambino cresciuto di pochi anni.

Nella letteratura è lo stesso. Il grosso risultato economico dei libri di Scott Turow, Patricia Corwell, Ken Follett, spinge a inserirsi nella scia, scrivendo  – e pubblicando – libri simili, che poi il marketing si curerà di etichettare in maniera da farli riconoscere facilmente, e se l’etichetta non esiste non ci sono problemi: la creerà.

 

 

Sabina Marchesi

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