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Intervista a Cinzia Tani

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Intervista a Cinzia Tani

 

Cinzia Tani Scrittrice e Giornalista Docente di Storia del Delitto all’Università La Sapienza di Roma, rilascia un’intervista in cui ci parla del delitto, delle sue connotazioni, del suo impatto sulla società, e ci riporta le sue esperienze come scrittrice.

Cinzia Tani nasce come giornalista profondamente convinta che si possa parlare di argomenti “seri” con una certa vivacità, senza mai annoiare il lettore. Si può considerare praticamente una studiosa dei fatti di cronaca e delle conseguenze che questi hanno sulla nosta società al pari di scienzati, psicologi,  criminologi e studiosi del comportamento umano, al punto da essere titolare di un corso universitario sulla “Storia sociale del delitto”.

Giornalista e scrittrice, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici, pubblica nel 1987  il suo primo romanzo “Sognando California”, che vince il Premio Scanno, e il saggio-satira “Premiopoli”. Nel 1991 è la volta del romanzo “I mesi blu”, che vince il Premio Orient Express e il Premio Presidenza del Consiglio. Tra il 1991 e il 1995, firma come autrice e conduttrice numerosi programmi tv e pubblica alcuni racconti e il saggio “Fantastica Mente: paure e manie degli italiani”, nonchè “Dalla Russia alla Russia”, una biografia della principessa Irene Galitzine. Collaboratrice di numerose riviste femminili, direttore responsabile di Elite e Firma, dal 1998 ad oggi, ha pubblicato: con Mondadori, Assassine (Quattro secoli di delitti al femminile), Coppie assassine (Uccidere in due per odio o per amore, per denaro o perversione) e Nero di Londra (Venti storie di sangue, amore e mistero), e,  insieme con Luigi De Maio, “Come vivere FantasticaMente con cento paure” e a seguire sempre con Luigi De Maio “Amori al bivio”.Nel 2002 ha debuttato come autrice di fumetti per Lancio Story riducendo in sceneggiatura storie tratte dai suoi “Assassine”, “Coppie Assassine” e “Nero di Londra” nella serie “True crime Stories”. Cinzia Tani insegna scrittura creativa in corsi privati e tiene regolarmente il suo corso di “Storia sociale del delitto” presso la facoltà di Sociologia all’Università la Sapienza di Roma. A settembre è apparso  sugli scaffali delle librerie il suo ultimo libro “Amori crudeli” (Mondadori).

 

DOMANDE:

 

Giornalista, direttore responsabile di riviste, scrittrice, autrice e conduttrice di programmi radiofonici e televisi, in quale veste si sente di più sè stessa?

Cerco di non tradirmi mai, qualsiasi cosa faccia. Sono cresciuta con la passione per la parola scritta. Accanita lettrice tutta la vita e scrittrice in erba a otto anni con una commedia teatrale per parenti e amici (“Ladri, polizia e principesse”). Pensavo di mantenermi con il lavoro di giornalista e poter così scrivere i miei libri. Ho cominciato a collaborare alla Rai chiamata dal Prof. Walter Pedullà che allora era consigliere di amministrazione della Rai e anche professore di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, materia nella quale mi sono laureata con una tesi su Pavese traduttore di scrittori americani. Sono stata autrice di programmi culturali e poi Giovanni Minoli mi ha voluta a condurre lo spazio esterno di Mixer Cultura. Cercava una scrittrice che avesse dimestichezza con il mezzo televisivo. Si trattava di una trasmissione sui libri e accettai volentieri. Da allora ho sempre fatto programmi culturali, anche se di nicchia. Per questo non sento di aver tradito la mia vocazione letteraria, che rimane la mia vera e grande passione.

 

Dal suo esordio ad oggi la cronaca nera sembra rappresentare per lei un soggetto decisamente preferenziale, i motivi di questa scelta?

Non ho mai avuto una vera passione per la cronaca nera fino a quando non ho avuto l’idea di scrivere Assassine. Il mio desiderio era quello di trattare un tema quasi mai affrontato in Italia: il racconto degli omicidi commessi dalle donne. La maggior parte degli studiosi del fenomeno e dei criminologi  erano uomini  ed è sempre stato difficile per loro ammettere l’esistenza del  crimine femminile. L’omicidio femminile veniva considerato un’aberrazione, qualcosa di cui non parlare, da trascurare. La donna era colei che dava la vita non l’essere che la toglieva. O almeno così doveva essere considerata. Per questo ho cominciato a interessarmi all’omicidio femminile, come fenomeno marginale ma importantissimo nell’ambito del delitto. Ho fatto ricerche, acquistato libri, trovato atti di processi, scelto le storie. Ho iniziato un percorso. Da allora sono diventata un’esperta, una storica del delitto. Ho continuato a raccogliere materiale e a scrivere libri su altri fenomeni legati al delitto, le coppie, i serial killer, gli omicidi passionali. Oggi la cronaca nera mi interessa davvero, perché la capisco, perchè ho gli strumenti per leggerla.

 

A mezza strada tra la ricostruzione storica, il genere noir e il reportage giornalistico i suoi ultimi libri hanno decisamente incontrato il favore del pubblico, come se lo spiega?

Proprio per questo. Perchè non sono soltanto storie raccapriccianti. Sono storie vere, raccontate con uno stile tra il giornalismo e la narrativa. Ma anche perchè quello che mi interessa approfondire è il percorso dell’assassino. La sua infanzia, la famiglia, gli incontri, l’amore. I meccanismi che scatenano la furia omicida. Le reazioni psicologiche. Permetto ai miei lettori di entrare nella mente dell’omicida e credo che questo abbia un fascino misterioso.

 

Altri prima di lei hanno tentato la strada della cronaca, e della ricostruzione di eventi storici e non, socialmente legati al quotidiano, da Corrado Augias con la sua serie I Segreti di Londra, Parigi e New York, e Dacia Maraini, con il suo Isolina, romanzo ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto. Ci sono ovviamente differenze tra il suo modo di approcciare queste realtà e le esperienze di altri scrittori, quali sono?

Proprio la chiave psicologica che a me interessa. Spiegare come una persona “normale” possa arrivare a compiere un atto estremo come l’omicidio. Non uso uno stile ironico o grottesco come spesso capita ai narratori italiani di fatti di cronaca nera. Ho letto tanti libri su questi argomenti, francesi, americani, inglesi, spagnoli, italiani. Ebbene, gli italiani hanno un gusto dissacratorio nel raccontare  eventi così terribili. Forse è la voglia di sdrammatizzare, di prendere le distanze. A me non piace questo sistema e non lo uso. Io voglio entrare nella drammaticità di esistenze perdute, voglio capire e aiutare i lettori a capire.

 

Nel suo ultimo libro si parla di omicidi per amore, lei crede davvero che si possa amare così tanto da uccidere, a volte, sè stessi o l’amato bene?

Si tratta di delitti diversi,  psicologicamente più drammatici perché chi uccide ama la sua vittima, la ama anche mentre la uccide. Anche se spesso viene ucciso l’oggetto del bisogno e non dell’amore. E se di amore si tratta è un amore malsano, estremo, egoistico fatto di possesso e gelosia ossessiva, fino alla follia. E’ la rabbia dopo un tradimento, la depressione dopo un abbandono che spingono ad uccidere. Un amore crudele è un amore malato, estremo, esasperato. Uccidono persone spinte da sentimenti incontrollabili. Domina non l’amore per l’altro ma il bisogno dell’altro, il desiderio di possesso totale, di controllo.  La drammaticità di questi omicidi sta nel fatto che chi li compie oltre all’orrore di aver ucciso ha il terribile rimpianto della persona che ha ucciso ecco perché la maggior parte di questi omicidi si conclude con il suicidio dell’assassino.

 

Omicidi al femminile attraverso quattro secoli di storia, un tema davvero avvincente, ma anche una gran mole di ricerche, non è vero?

Sì, per ognuno di questi libri ho bisogno di due anni. Un anno di ricerche e uno di scrittura. Ormai possiedo una biblioteca di quello che viene chiamato il True Crime, davvero fornitissima, centinaia e centinaia di libri. Alcuni molto antichi. Autobiografie delle assassine, giornali d’epoca, trattati, atti dei processi. Una volta giravo per librerie in vari paesi, oggi mi basta Internet con le sue librerie virtuali, anche quelle antiquarie.

 

Ricostruire dall’infanzia la storia di un personaggio realmente esistito e tentare di dare delle motivazioni ai gesti folli che ne sono scaturiti è un’impresa titanica, la consiglierebbe mai a uno scrittore alle prime armi?

No. Credo che uno scrittore alle prime armi debba cominciare il suo percorso dall’inizio. Innanzitutto dovrebbe conoscere se stesso e quindi scrivere di sé, di ciò che conosce da vicino, del suo mondo. Poi avviene il distacco dall’autobiografia. Ma ci vuole lavoro e allenamento e molta, molta lettura.

Per avventurarmi nella psiche degli assassini io sono stata anche avvantaggiata dalle anni di trasmissioni di psicologia. Per tre anni sono stata autrice e conduttrice di FantasticaMente, una trasmissione televisiva che da sei anni è diventata radiofonica. Sono stata accompagnata da psicologi e psichiatri (alla radio dal Prof. Luigi De Maio) e sicuramente ho imparato qualcosa.

 

Con il suo Nero di Londra lei ha saputo riportarci nei vicoli bui di una Londra misteriosa ed intrigante, patria di grandi e terribili segreti, una città che con i suoi meandri oscuri e la sua nebbia leggendaria, le lugubri banchine del Tamigi ed i suoi vicoli malfamati sembra fatta apposta per ispirare delitti e terrificanti misfatti, da Jack lo Squartatore in poi. Ma è davvero così?

Ho scelto Londra per varie ragioni. Perché è il luogo del delitto letterario e cinematografico, pensiamo a Conan Doyle, a Agatha Christie e a Alfred Hitchcock. E il primo film di Hitchcock, The lodger, prendeva spunto proprio dalla storia di Jack lo Squartatore.

Londra, soprattutto prima e durante l’epoca vittoriana era una città ideale per il crimine. Una città antica e affollata, il crogiuolo di  nazionalità e gruppi etnici diversi. Per secoli i rifugiati per ragioni politiche religiose ed economiche hanno trovato asilo in questa città (per esempio gli ebrei fuggiti dalle persecuzioni razziali nel 1800).   Londra era il centro della criminalità inglese, la culla del male, la città che attraeva i tagliaborse, i malfattori del paese. Il fatto che fosse anche una città ricca non faceva che aumentare ancora di più il numero di disperati che vi cercavano fortuna. I quartieri malfamati dell’East End, dove agì Jack lo Squartatore, erano famosi per i crimini. La maggioranza della popolazione viveva in condizioni spaventose: povertà, sporcizia, corruzione, delinquenza, vizio e trascuratezza regnavano sovrani. Era un dedalo di stradine strette, di cortili e vicoli ciechi male illuminati. Le case erano vecchie e decadenti e in gran parte di esse c’era uno spaccio di gin o un bordello. In molte c’erano camere ammobiliate affollatissime in cui regnava la promiscuità, senza servizi igienici, luce o ricambio d’aria. Era anche un quartiere di passaggio, contadini che cercavano lavoro, immigranti, marinai alla ricerca di alcol e donne, gente del west end alla ricerca di divertimenti. C’erano eserciti di mendicanti, la prostituzione era diffusissima e le donne adescavano i loro clienti nelle strade, i bambini poveri facevano i mendicanti o gli spazzacamini, le bambine venivano mandate a prostituirsi. Nelle strade la sera imperversavano bande di criminali che cercavano il delitto. Uscire la sera era a proprio rischio e pericolo perché i poliziotti raramente si avventuravano in quelle stradine.

 

Conosco persone che non sono riuscite a distaccarsi dalla lettura di un suo libro (390 pagine): merito dell’amore per il macabro, o della sua bravura di scrittrice?

Spero che sia per l’abilità di scrittrice. In questi libri uso una tecnica letteraria adatta a coinvolgere il lettore. Parto con un inizio forte, che porti direttamente nel cuore del racconto e poi riprendo la narrazione dall’inizio, dalla nascita dell’assassino. Uso un linguaggio semplice ma intenso. Evito i particolari troppo scabrosi. Non amo l’horror, ma come ho detto il percorso psicologico dell’omicida e la società in cui ha vissuto. Credo sia soprattutto questo che interessa il lettore e non la passione per il macabro. Almeno voglio sperarlo.

 

Ma comunque che effetto fa calarsi così profondamente negli oscuri recessi dell’animo umano, fino ai livelli oscuri e profondi della più atroce perversione omicida?

Per me è una vera e propria indagine. Mi sembra di scivolare nella mente dell’assassino con la lente di Sherlock Holmes. L’effetto è quello di spingermi ad andare sempre più in profondità. Mi interessa il problema del male e del bene e della loro presenza in ciascuno di noi. Mi interessa cercare di capire dov’è il confine tra i due. Perché alcuni uomini hanno gli strumenti per dire “no” e altri non li possiedono. Perché certi assassini uccidono per uccidere, fanno il male per il male: la terribile realtà dei serial killer.

 

Come  e perché ha iniziato a scrivere?

Non c’è un motivo. Ho sempre desiderato farlo e l’ho sempre fatto. Credo derivi dalla grande passione per la lettura e la voglia di raccontare delle storie. Mio padre è ingegnere edile e mia madre dirige una clinica. Non  ho scrittori di alcun genere neppure tra i parenti. E anche la lettura è stata un amore tutto mio, nessuno mi ha mai spinta a leggere. Eppure da piccola desideravo ammalarmi proprio per avere molto tempo per leggere.

 

Sono stati difficili gli inizi?

Sì, come per tutti. Il primo romanzo ha fatto il giro degli editori. E’ stato gentilmente rifiutato. Finché un editore coraggioso, Cesare De Michelis della Marsilio, ha deciso di pubblicare due autori esordienti, io e Marco Neirotti, giornalista del Corriere della Sera. L’editore aveva ricevuto il mio manoscritto. Era interessato ma quando ci incontrammo mi chiese di scriverlo da capo. Oggi so che ha fatto bene. Ed è quello che chiedo ai miei allievi: rileggere è più importante di leggere, riscrivere è più importante di scrivere.

 

Quanto cambiano i rapporti con gli editori dopo aver vinto uno o più premi letterari?

I premi, le vendite, le recensioni positive, le classifiche letterarie sono tutti fattori importanti per essere considerati dagli editori. 

 

Scrivere per lei è più un lavoro o un divertimento?

E’ una passione. E nella passione c’è amore e dolore, divertimento e fatica. A volte scrivere diventa una enorme sofferenza. Quando non viene l’idea, quando la mano si paralizza, quando la mente si svuota, quando manca il tempo, quando non c’è la concentrazione giusta, quando si è distratti, quando si è tristi o nervosi per altri motivi, quando si soffre per amore.  A volte mi alzo dalla scrivania con mille scuse come quando facevo i compiti. Ma quando vedo la pagina fitta di scrittura provo un piacere incommensurabile.

Il vero divertimento, il momento in cui non c’è più sofferenza,  arriva al momento della correzione. Quando si tratta di rileggere, di limare, di trovare le parole più adatte. Diventa un gioco.

 

Quali sono i suoi punti di riferimento letterari, gli scrittori con cui è cresciuta?

Tanti. Ma ho amato soprattutto la letteratura francese e quella russa oltre a molti autori americani. Oggi comincio ad amare molto anche la letteratura tedesca. Per fare qualche nome: James, Fitzgerald, Camus, Sartre, Gide, Zola, Maupassant, Dostoevskij., Melville.. quando scrivo un libro ho sempre una musa ispiratrice accanto a me. Se scrivo racconti ho Maupassant, la Mansfield, Borges… se devo fare delle descrizioni rileggo dei passi di Zola o di Lawrence Durrell… se scrivo un noir riprendo in mano Poe, Patricia Highsmith o Cornell Woolrich… Ma mi piace anche scoprire e riscoprire autori. Rileggo per la decima volta Madame Bovary e Delitto e castigo. Fra gli italiani adoro Italo Calvino. Fra i contemporanei leggo tutto di tre autori: Mac Ewan, Auster, Marias.

 

Da cosa di riconosce un buon lettore?

Da quante volte rilegge un libro. Non mi ricordo chi ha detto che per possedere una buona cultura letteraria basta aver letto decine di volte gli stessi cinque libri.

 

E dunque chi è  il lettore ideale dei suoi libri?

Oserei dire chi li rilegge. Ma anche chi si lascia cullare dalle emozioni suscitate dalla lettura anche dopo aver letto il libro. E chi si pone delle domande stimolate dal libro.

 

Qual’è il suo metodo di lavoro?

Per cominciare a scrivere devo avere molte ore davanti a me. Devo gingillarmi con i libri prima di iniziare. Mi aggiro fra le mie librerie, leggo i titoli, prendo in mano dei volumi, li apro, leggo dei brani. Metto la musica, scrivo degli appunti a matita e poi comincio a scrivere al computer.

 

E dal punto di vista tecnico ad esempio quante revisioni e stesure occorrono prima che un testo sia pronto?

 Tante, tante, tante. Più possibile. Finché non c’è più tempo perchè l’editore reclama il libro. Ma arriva il momento in cui si sente che non c’è più niente da correggere.

 

Quanta importanza deve dare chi scrive al punto di vista degli altri?

Io do importanza alla lettura che mia madre fa delle cose che scrivo. E’ il mio unico lettore prima della consegna. Mi fido ciecamente del suo giudizio perché è una grande e appassionata lettrice. Lei mette dei commenti a matita vicino ai paragrafi. Del tipo: noioso, aggiungi, accorcia, bello, bellissimo. I suoi commenti sono davvero utili perché attirano la mia attenzione su punti critici che magari non avrei notato.

 

Il giudizio altrui, del pubblico o della critica, l’ha mai influenzata a tal punto da farle cambiare direzione?

No. Anche perchè non ho mai ricevuto giudizi o critiche molto negativi. Ultimamente, alla presentazione del mio ultimo libro, Andrea Camilleri ha detto davanti a tutti che i personaggi della storia russa di Amori Crudeli sono così belli che si aspetta che io lasci la saggistica per tornare alla narrativa. Ed  è proprio quello che sto facendo, sto scrivendo un romanzo.

 

Qual è in assoluto la cosa peggiore che può accadere a uno scrittore?

Credo sia molto frustrante perdere l’editore. Fare lo scrittore è un mestiere poco tutelato, anzi per niente. Credo che perdere l’editore  e non trovarne un altro sia molto angosciante e destabilizzante per uno scrittore che ha già pubblicato.

 

Secondo lei è corretto scrivere per sé stessi ignorando i lettori?

No. Ma è quello che fanno moltissimi scrittori. Raccontano il proprio piccolo mondo, indifferenti all’interesse del lettore. Narrano piccole storie private e non storie universali, in cui tutti possano riconoscersi. Purtroppo questo è il difetto di tanti romanzi italiani degli ultimi anni.

 

Quanto incidono i risultati di mercato e le vendite sulla pubblicazione del libro successivo?

Moltissimo. Se l’editore punta su uno scrittore perchè ha venduto bene nel passato, il libro ha un lancio maggiore, più visibilità, più pubblicità ecc.

 

Quanto pesano le pressioni delle case editrici e le loro imposizioni sulle sue scelte, riguardo all’editing, all’immagine editoriale, alla copertina?

Non ci sono mai state imposizioni. Ho sempre scelto i miei titoli e mi sono sempre state sottoposte le copertine da scegliere. Spesso ho collaborato con i grafici nella selezione delle immagini e spesso ho cercato l’aiuto dell’editore nella scelta del titolo. Parlo soprattutto della Mondadori con cui c’è un’ottima collaborazione.

 

Sono veramente utili i corsi di scrittura?

Penso che siano utili per essere stimolati. Per imparare a correggere, per sottoporsi umilmente al giudizio degli altri (insegnanti e compagni), per scoprire libri e autori, per avere stimoli da seguire e scadenze da rispettare. I miei allievi sono costretti a tirar fuori un racconto appassionante in condizioni disagevoli di rumore, movimento, scomodità, poco tempo a disposizione, distrazioni di ogni genere. Ci riescono.  E’ un buon allenamento. Poi però voglio che li correggano a casa e me lo mandino via e-mail. A mia volta li correggo e li porto nella lezione successiva per discutere con loro le correzioni.

Per quanto riguarda la didattica vera e propria la ritengo utile ma non indispensabile. Si può insegnare una tecnica ma non il talento. Si può insegnare il dosaggio delle virgole, l’importanza di un buon inizio, la coerenza del finale, l’utilità di un colpo di scena, come distribuire i dettagli, come emozionare con una descrizione… ma poi le idee e l’abilità narrativa sono tutte personali.

 

Come può uno scrittore esordiente farsi strada oggi nel mondo editoriale e conquistare visibilità?

Scrivendo, partecipando ai tanti piccoli concorsi, cercando di pubblicare un libro anche con un piccolo editore, darsi da fare per avere delle recensioni, farsi leggere da uno scrittore già affermato.

 

Internet rimane uno strumento utile come vetrina per chi è agli inizi?

Ci sono dei siti nei quali pubblicare i propri racconti. Credo sia importante come pubblicarli in una rivista o in una antologia.

 

Qual’è il metodo di lavoro che impiega nella stesura di un romanzo?

Innanzitutto cerco l’idea. Poi scelgo l’ambientazione. Compro tutti i libri che possono essermi utili per approfondire l’argomento di cui voglio parlare, l’ambiente che voglio descrivere ecc. faccio una scaletta con i passaggi fondamentali della storia, una struttura di base. Comincio a scrivere dal primo capitolo. Mi do delle scadenze.

 

Quante ore al giorno in media dedica alla scrittura vera e propria?

Se ho tempo posso scrivere anche dodici ore filate. Dormire sei ore e riprendere per altre dodici ore. Altrimenti, se devo lavorare alle trasmissioni, posso anche scrivere soltanto una frase. Ma preferisco avere molto tempo a disposizione. Il limite di orario mi mette ansia e può bloccarmi.

 

Quanto è importante l’attività di documentazione che precede la stesura?

Per me è fondamentale. Il romanzo che sto scrivendo sarà un noir storico. Parte nella Berlino degli anni quaranta e arriva alla Parigi degli anni sessanta. Alcuni degli argomenti che conterrà sono il controllo del sonno, l’epilessia, la persecuzione nazista degli zingari, la psichiatria a Parigi, gli esperimenti dei medici nazisti, la realtà del serial killer, le indagini di un commissario della Sureté… per ciascuno di questi e di altri argomenti leggo e leggerò una decina di libri. Per un totale di almeno un centinaio…

 

Quali sono le caratteristiche che fanno di un individuo uno scrittore?

Ci vuole sicuramente un talento di base e poi molto molto lavoro. Diffido di chi scrive ma non legge. Credo che lo scrittore debba essere innanzi tutto un lettore. Un lettore anche dei propri libri.

 

Quale consiglio pratico darebbe ad un aspirante scrittore?

Come ho già ripetuto più volte: leggere e rileggere, scrivere e riscrivere. Allenarsi, farsi leggere, correggere, ricominciare. Non accontentarsi mai. Cercare il proprio stile, trovare le proprie muse fra i vari autori, pensare a un proprio percorso, avere delle idee. Mai cominciare a scrivere senza prima avere avuto “un’idea”.

 

Chi deve insistere a scrivere e chi invece è meglio che lasci perdere?

Io capisco immediatamente chi tra i miei alunni ha la possibilità di scrivere un libro e chi non sarà mai in grado di farlo. A volte mi bastano poche  frasi e difficilmente vengo smentita. I primi racconti che mi inviano i corsisti sono già molto significativi. Poi, è chiaro, si può migliorare, arrivare perfino a pubblicare qualcosa. Ma  è facile individuare fin  dall’inizio chi   sa scrivere e ha idee originali ma magari ha solo bisogno di sentirselo dire e di essere stimolato a migliorare.

 

Qualche consiglio per gli scrittori esordienti?

Non accontentarsi per molto, molto tempo. Lavorare sulla scrittura, conoscere la stanchezza. Dimenticare il proprio racconto, riprenderlo in mano e correggerlo e continuare così finché non si è veramente soddisfatti. Leggere i propri scritti ad alta voce, leggerli a qualcuno, considerare le reazioni: ma soprattutto affrontare la scrittura con grande serietà.

 

Sabina Marchesi

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