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Breve storia dell’astronomia

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Breve storia dell’astronomia

Astronomia: etimologicamente, scienza che studia gli astri e i fenomeni celesti; la sua nascita si perde nella notte dei tempi, e probabilmente si può considerare la più antica tra le manifestazioni della ricerca umana. Inizialmente, si rivela nell’astrolatria, vale a dire adorazione degli astri concepiti come forme di divinità. Forse già in questo primo periodo si può far risalire anche la divisione di gruppi d’astri in costellazioni. Questo avveniva già trentaquattro secoli fa’ in India, dove si cercava di sostenere tra la Terra, l’Atmosfera e il Cielo. Naturalmente l’India era posta al centro della Terra e al centro dell’India stava il monte Merou, sovrastato dalla divinità Brahma.
Concetto religioso ripreso poi anche dai Greci, che avevano fitti scambi economici coi popoli di quelle regioni.
La vera storia dell’astronomia, è fatta iniziare nel VI secolo A.C., con Telete di Mileto, il quale sosteneva che le stelle erano costituite da fuoco e che la Luna riceveva luce dal Sole. Anassimandro, suo discepolo, affermava che le stelle erano tanti soli rischiaranti altri mondi e l’infinito era causa dell’eterno giro dei mondi e inizio d’ogni cosa. Era concetto, in tutta la filosofia greca, che i cieli consistevano in enormi sfere concentriche aventi lo scopo di trascinare gli astri nel loro moto. Al centro di tutto, stava la Terra. Pitagora, anche lui allievo di Talete, condivide le idee
Relative alla sfericità della Terra, sempre al centro dell’Universo, e gli si attribuisce il merito di avere per primo identificato nella Venere mattutina, la Venere serale, prima considerati due astri diversi.
Più tardi, altri seguaci della scuola pitagorica, ritenevano al centro di questi movimenti non più la Terra, ma il focolare del mondo. In questo momento (IV secolo A.C.), il pensiero filosofico si scinde in due: un ramo eliocentrico, con Eraclide ed Aristarco, anche se solo parzialmente eliocentrico, in quanto la Terra ruotava intorno al proprio asse generando la notte ed il dì, il Sole ruotava intorno alla Terra, ed intorno al Sole ruotavano i pianeti conosciuti; ed il ramo più classico geocentrico.
Un vero guizzo d’ingegno si ebbe con Aristarco (III secolo A.C.) il quale vedeva il Sole immobile, la Terra ruotante intorno all’asse dell’equatore e l’inclinazione dell’asse terrestre che genera le stagioni. Una concezione quasi copernicana, che però ebbe l’unico risultato di vedere dichiarato Aristarco blasfemo perché aveva osato trattare l’incorruttibile Terra come un qualsiasi pianeta.
Con Aristole (340 A.C.), si consolidò l’idea geocentrica; anche se ebbe geniali intuizioni. Intanto portava reali argomentazioni in favore della sfericità della Terra, argomenti tratti dalle osservazioni delle eclissi di Luna: l’ombra proiettata dalla stessa era sempre circolare, quindi era possibile che il nostro pianeta fosse sferico.
Nel II secolo d.C., Tolomeo riprese le teorie aristoteliche, riproponendo la Terra al centro con Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove Saturno e le stelle fisse che le ruotavano attorno nell’ordine.
Questa teoria venne anche ripresa dalla Chiesa, perché la riteneva in accordo con le Sacre Scritture, e lasciava posto, al di la’ delle stelle fisse, al Paradiso
Si dovettero attendere più di mille anni, fino al 1514, per avere teorie, diciamo più moderne, con Copernico, che per paura del rogo le pubblicò anonime. Copernico riteneva immobile il Sole, e altrettanto riteneva che i pianeti descrivessero orbite circolari attorno ad esso. Nel 1609, Galileo diede il colpo fatale alla teoria aristotelica, osservando i satelliti di Giove con un cannocchiale (e solo ora comincia ad apparire la tecnologia a dare una mano al pensiero filosofico). Non tutto giravo intorno al nostro pianeta e, forse, quelle prime osservazioni diedero coscienza all’uomo rinascimentale, naturalmente non senza resistenze soprattutto da parte della Chiesa, piuttosto che dal pensiero antico. Infatti, oltre che dagli accademici, suoi stimati detrattori, ricevette anche l’ingiunzione dalla Chiesa di non difendere e sostenere mai più la sua teoria, cosa che egli fece abiurando.
Più tardi fu’ eletto Papa un vecchio amico di Galileo. Egli tentò di far revocare, senza successo, il decreto del pontefice precedente; però riuscì ad ottenere l’autorizzazione a scrivere un libro che metteva a confronto le idee aristoteliche con quelle copernicane. Tuttavia il Papa mise due condizioni precise: sarebbe dovuto rimanere neutrale ed avrebbe dovuto concludere affermando l’impotenza dell’uomo a capire il funzionamento dell’Universo, in quanto solo DIO provoca gli stessi effetti con sistemi umanamente inimmaginabili.
Questo trattato è il famoso "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo", e fu’ riconosciuto subito come un capolavoro letterario filosofico.
Da buon cattolico, Galileo rimase vincolato ai voleri papali, ma quattro anni prima della sua morte, fu pubblicata in Olanda la sua seconda maggiore opera, Due nuove scienze, che rappresentava l’origine della fisica moderna.
Nel 1687, Newton pubblicava i suoi famosi "Principia", un’opera che segnò i tempi e che esponeva la sua celebre teoria che spiegava il movimento dei corpi nello spazio e nel tempo; naturalmente, è sviluppato il complesso apparato matematico occorrente all’analisi di tali movimenti. Inoltre Newton, nei Principia elabora anche la legge di gravitazione universale.
Newton aveva compreso, secondo la sua teoria, che anche le stelle dovevano attirarsi fra loro e non potevano rimanere in uno stato di quiete. Forse, dovevano finire per cadere tutte in un unico punto dello spazio? Newton affermò che è ciò che dovrebbe accadere se ci fosse un numero finito di stelle in una regione finita di spazio. Allo stesso tempo, obietta che se le stelle sono in numero infinito distribuite in modo più o meno uniforme in uno spazio infinito, ciò non accadrebbe, perché non esiste un punto centrale verso il quale possano cadere. In un universo infinito, ogni punto può essere considerato come un centro, perché circondato da un numero infinito di stelle.
All’epoca non si cercò di affermare che fosse in espansione. Anzi, anche le migliori menti cercarono di modificare la teoria e trasformare la forza gravitazionale in repulsiva a gran distanza. Oggi sappiamo che è impossibile avere un modello statico di universo infinito nel quale la gravità sia sempre attrattiva.
La tradizione aristotelica era che si potessero determinare tutte le leggi che governano l’universo attraverso la riflessione: l’osservazione non era necessaria. Galileo invece si pose il problema: fece rotolare due tronchi d’albero di peso diverso lungo un pendio inclinato e le misure dimostrarono che ogni corpo aumentava la propria velocità nella stessa proporzione, a prescindere dal peso. Le esperienze di Galileo furono utilizzate de Newton come basi per le leggi del moto. Un corpo che rotola su un piano inclinato è sottoposto sempre alla stessa forza (il suo peso), il cui effetto è quello di accrescerne costantemente la velocità. Ciò dimostra che la vera azione di una forza è quella di modificare la velocità di un corpo, e non semplicemente di metterlo in movimento, come si riteneva sino allora. La prima legge di Newton sostiene che un corpo non sottoposto ad alcuna forza, continua a spostarsi in linea retta alla stessa velocità.
Nella seconda legge, Newton sostiene che un corpo accelera o modifica la propria velocità proporzionalmente all’intensità della forza. Newton scoprì anche una legge che descrive la forza di gravità. Ossia, tutti i corpi nell’universo sono attratti dagli altri secondo una forza tanto più grande quanto più grande è la massa dei corpi e quanto più grande è la loro vicinanza, ossia anche, quanto più due corpi sono distanti, tanto minore è la forza di gravità che li lega. Bisogna fare attenzione anche ad un altro concetto: se l’attrazione gravitazionale di una stella diminuisse in proporzione diretta della distanza, invece che del suo quadrato, le orbite dei pianeti non sarebbero state ellittiche, ma bensì spirali con il proprio centro nel Sole.
La gran differenza tra le idee di Aristole e quelle di Galileo e Newton è che Aristotele credeva in uno stato preferenziale di quiete per ogni corpo, Terra compresa. Risulta invece che non vi è criterio alcuno per definire la nozione di quiete. La luce viaggia ad una velocità finita ma molto elevata. Ciò fu’ dimostrato dall’astronomo danese Roemer nel 1676.
Osservò le eclissi delle lune di Giove e notò che non avvenivano ad intervalli regolari; notò che erano ancora più tardive quanto più erano distanti dal gigante gassoso. Per cui dedusse che ciò era dovuto al fatto che la luce delle lune impiegava più tempo ad arrivare a noi quanto più erano distanti. Per l’epoca, si trattava di una scoperta rivoluzionaria, in quanto si riteneva la velocità della luce infinita. Le ricerche di Roemer, oltre che a stabilire che la luce non aveva velocità infinita, riuscirono anche a portare a stabilirne la velocità, undici anni prima dei "Principia" di Newton. Ma solo più di duecento anni dopo si riuscì ad avere una teoria vera e propria della propagazione della luce, tramite il britannico Maxwell che riuscì ad unificare le teorie parziali delle forze dell’elettricità e del magnetismo. Le equazioni di Maxwell portarono ad una notevole scoperta, utilizzata nei secoli successivi: Maxwell asserì che vi sarebbero potute essere delle perturbazioni, in forma di onde, nel campo combinato elettromagnetico, e che tali perturbazioni si sarebbero propagate a velocità variabile. Se la lunghezza d’onda di tali perturbazioni è pari ad un metro o maggiore, si hanno quelle che chiamiamo onde radio. Le lunghezze d’onda più corte sono note come microonde (alcuni cm), raggi infrarossi (superiori ad un decimillesimo di cm). La luce visibile varia tra i quaranta e gli ottanta milionesimi di cm. Ma esistono lunghezze d’onda ancor più corte, come gli ultravioletti, i raggi X e i raggi gamma. E’ intuitivo a che tipo di scoperte, successivamente, hanno portato le ricerche di Maxwell.
La teoria di Maxwell prediceva che le onde radio o luminose dovevano propagarsi ad una velocità determinata. Ma siccome Newton aveva sbarazzato dal campo la teoria di quiete assoluta, si doveva precisare rispetto a cosa misurare tale velocità. Per cui si ricorse ad un artificio: s’immaginò la presenza di un "etere" che permeava lo spazio vuoto; le onde luminose vi si propagavano come le onde sonore attraverso l’aria, quindi, diversi osservatori in movimento rispetto all’etere, avrebbero visto la luce arrivare a loro a velocità diverse, ma costante rispetto a questo etere. Nel 1887, Michelson e Morley eseguirono accurati esperimenti in America. Confrontarono la velocità della luce in direzione del moto terrestre e perpendicolarmente ad esso, e con grande sorpresa, rilevarono due valori identici. Nei dieci anni successivi, svariati teorici si cimentarono nel tentativo di spiegare le osservazioni dei due scienziati americani, ma nel 1905, un oscuro impiegato dell’ufficio brevetti, Albert Einstein pubblicò la famosa teoria della Relatività. Il riassunto finale era che, secondo Einstein, le leggi della fisica dovrebbero essere le stesse per tutti gli osservatori che si muovono liberamente, quale che sia la loro velocità. Da ciò si ricavarono conseguenze degne di nota. Tra le più conosciute, la celebre equazione di Einstein E=mc2, dove E= energia, m=massa, c=velocità, da cui si evince che nulla può viaggiare più veloce della luce. La teoria della relatività ristretta era in contraddizione con la teoria gravitazionale di Newton. Ma nel 1915, Einstein lanciò un’ipotesi rivoluzionaria: la gravitazione non è una forza come le altre, ma una conseguenza del fatto che lo spazio-tempo non è piatto, ma incurvato dalla distribuzione di energia in esso contenuto.
Gli oggetti tendono a muoversi in linea retta nello spazio tempo, ma non essendo questo piatto, essi seguono traiettorie incurvate chiamate "geodetiche", che sarebbe ciò che più si avvicina alla linea retta nello spazio curvo. La Teoria della Relatività Generale dice che i corpi seguono sempre linee rette in uno spazio-tempo a quattro dimensioni, mentre nel nostro spazio-tempo a tre dimensioni sembra che si spostino lungo traiettorie curve (si pensi ad un aereo che circumnaviga la Terra: per un osservatore posto sull’aereo sembra di seguire una linea retta, ma in realtà segue una linea curva, come curva è la Terra.
I raggi luminosi seguono le linee geodetiche dello spazio-tempo. Ricordando che lo spazio è curvo, significa che la luce non può essere vista come se viaggiasse in linea retta. La relatività generale ci dice che essa dovrebbe essere incurvata dai campi gravitazionali. Questo effetto è possibile notarlo durante un’eclissi di Sole, quando la luce del Sole è per l’appunto coperta dalla Luna. L’eclisse ci permette di vedere una stella di riferimento, però in una posizione diversa da quella che dovrebbe occupare.





Franco Tioli

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L’universo In Espansione

Se si osserva il cielo in una notte limpida, possibilmente senza luna, gli oggetti più luminosi che vedremo sono Giove, Marte, Venere e Saturno. Si vedrà anche un numero grandissimo di stelle, che altro non sono che soli come il nostro. Alcune di tali stelle fisse sembrano mutare posizione impercettibilmente una rispetto all’altra, perché in realtà di realmente fisso non c’è nulla, ma noi vediamo muoversi ciò che è relativamente vicino a noi. La stella più vicina a noi è Proxima Centaury, che si trova a circa quattro anni luce da noi. La maggior parte delle stelle visibili sembrano occupare l’intero cielo notturno, ma sono concentrate in modo particolare nella Via Lattea, la nostra galassia. Essa è circa centomila anni luce di diametro e ruota lentamente su se stessa; il nostro Sole non è altro che una stella ordinaria, gialla e di dimensioni medie situata in uno dei bordi dei bracci della spirale della Via Lattea.
Prima del 1800, l’astronomo sir Herschel catalogò con cura le posizioni e le distanze di un gran numero di stelle. La nostra rappresentazione moderna dell’universo risale al 1924, quando l’astronomo americano Edwin Hubble dimostrò che la nostra galassia non era unica nel suo genere, ma che ne esistono molte altre, separate da immense zone di spazio vuoto. Per dimostrarlo, egli dovette misurare le distanze che ci separano dalle altre galassie, che essendo così lontane, a differenza delle stelle vicine, ci appaiono realmente fisse. Hubble fu dunque costretto a ricorrere a metodi indiretti. La luminosità di una stella dipende dalla quantità di luce che irraggia (luminosità assoluta) e dalla distanza da noi. Il concetto che cercò di sviluppare Hubble fu quello che, come siamo in grado di calcolare la luminosità assoluta delle stelle vicine attraverso la loro luminosità apparente e la distanza, all’inverso, se conoscessimo la luminosità assoluta di stelle di altre galassie, potremmo misurare la loro distanza misurando la luminosità apparente. Hubble osservò che alcuni tipi di stelle avevano tutte la stessa luminosità assoluta, a condizione che siano abbastanza vicine da poter misurare la propria distanza.
Egli affermò dunque, che se trovassimo delle stelle dello stesso tipo in un’altra galassia, potremmo supporre che esse abbiano la stessa luminosità assoluta, per cui diventa possibile calcolare anche la loro distanza. Se ciò accadesse, potremmo ritenere di avere una stima della lontananza di questa galassia. Per ottenere questo, ci viene di grande aiuto la vecchia scoperta di Newton, ossia quella della scomposizione della luce (attraverso un prisma di vetro) nei suoi colori (spettro). Questo può avvenire sia per quanto riguarda una stella che per quanto riguarda una galassia. Ogni stella ha il suo spettro, ossia una caratteristica peculiare come le impronte digitali in un uomo. I colori rilevati su uno spettro di una stella sono quelli che determinano la composizione dell’atmosfera di quella stella medesima.
Quando negli anni venti si cominciò ad osservare gli spettri di stelle di altre galassie, si notò che erano molto simili agli spettri delle stelle della nostra galassia, ma tutti spostati di una medesima quantità verso il rosso. Non sto a dilungarmi su ciò che sia l’effetto Doppler, cosa ormai assunta alla quotidianità. Dirò solo che una stella o galassia che si avvicina a noi avrà lo spettro spostato verso il blu, al contrario sarà spostato verso il rosso se si allontana da noi. Negli anni successivi alla scoperta delle galassie, Hubble catalogò la loro distanza e osservò il loro spettro. Fu’ notevole la scoperta che la maggioranza delle galassie si allontanasse da noi e che lo spostamento verso il rosso non era casuale, ma governato da una relazione. In altri termini, quanto più una galassia si allontana da noi, tanto più si allontana velocemente. Questo era un grosso colpo alla teoria dell’universo statico, in quanto dimostrava che era in costante espansione. Ma la teoria andava oltre: se questa espansione fosse relativamente lenta, la forza di gravità finirebbe per fermarla, per cui si avrebbe una successiva contrazione (Big Crunch); al contrario, se la velocità di espansione fosse superiore ad una certa soglia, non ci sarebbe stato ritorno, per cui sarebbe eterno.
Nel 1965, Penzias e Wilson, fisici dei laboratori della Bell Telephone del New Jersey, provarono un rivelatore di microonde ultrasensibile. Questo rivelatore notava un rumore di fondo che non sembrava provenire da alcuna direzione particolare. In qualsiasi modo veniva girato, lo strumento faceva sempre le stesse rilevazioni, per cui il fenomeno doveva essere di origine diverso dalla nostra atmosfera. Ciò dimostrò come l’universo fosse identico, su grande scala, in tutte le direzioni venisse osservato. Friedman, un teorico russo, scoprì tutto ciò nel momento che Einstein formulò la teoria della relatività, ma andando anche oltre, in quanto Einstein considerava l’universo statico e all’uopo ideò una costante cosmologica per avvalorare la sua teoria. Per Friedman, la velocità alla quale le galassie si allontanano è proporzionale alla distanza che le separano.
Qui si pone un problema, non del tutto risolto nemmeno ai giorni nostri; quello della materia oscura , cosa che non possiamo vedere direttamente ma che deve il suo effetto all’attrazione gravitazionale delle stelle all’interno delle galassie. Una specie di etere di vecchia memoria, ma con molte più possibilità di veridicità. Inoltre la gran parte delle galassie si presenta sotto forma di ammassi, eppure anche così ragionando, si arriva ad un decimo della materia oscura mancante. Per cui, deve esistere materia in forma non rivelata fino al punto di portare l’espansione dell’universo al valore di non ritorno. Questa idea è stata accettata anche dal modello espansionistico inflazionario che vedremo successivamente.

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Il Principio Di Indeterminazione

Il successo delle teorie scientifiche, in modo particolare quella di Newton, portò lo scienziato Laplace (XIX secolo) ad affermare che l’universo era deterministico. Dovevano esistere leggi scientifiche che ci avrebbero consentito di predire tutto quello che accadeva nell’universo, avendo conoscenza del suo stato in un dato momento. Tutto ciò venne presto messo in discussione in quanto si dimostrò che un oggetto caldo, in base a questi principi, avrebbe dovuto emettere energia ad un ritmo infinito. Per superare questa assurda idea di quantità infinita di radiazioni predette dalla teoria determinista, lo scienziato tedesco Max Plank suggerì che l a luce, i raggi x e le altre onde potevano essere emesse sotto forma di pacchetti, che egli chiamò quanti. Quanto più la frequenza è elevata, tanto più l’emissione di ciascun quanto necessità di quantità notevole di energia.
Nel 1926 un altro scienziato tedesco, Heisenberg, formulò il suo celebre principio di "indeterminazione". Heisenberg ha dimostrato che l’ipotesi quantistica di Plank implicava un’indeterminazione nelle traiettorie seguite dalle particelle. Per predire la situazione futura e la velocità di una particella (il quark, ad esempio), è necessario poter misurare con esattezza la sua situazione presente e la sua velocità. Per fare questo non vi è che un modo: "illuminarla". Alcune onde di queste particelle saranno riflesse dalle particelle in questione, indicandoci così la sua posizione. Tuttavia non si sarà in grado di determinare questa posizione con una precisione maggiore della distanza tra due creste d’onda della luce utilizzata. Quindi, per ottenere una misura precisa, sarà necessario utilizzare una luce con una lunghezza d’onda il più corto possibile.
Ma secondo l’ipotesi quantistica di Plank, non è possibile utilizzare una quantità arbitraria di luce: ne serve almeno un quanto. Questo perturberà la particella e ne modificherà la velocità in modo imprevedibile. In altri termini, quanto più si cercherà di misurare con precisione la posizione di una particella, tanto meno otterremo un valore preciso relativamente alla sua velocità e viceversa. Heisenberg dimostrò così che l’indeterminazione della posizione della particella moltiplicata per l’indeterminazione della sua velocità, moltiplicata per la massa della particella, non potrà mai essere inferiore ad una certa quantità, chiamata la "costante di Plank". Il principio di indeterminazione di Heisenberg è una proprietà fondamentale ed ineliminabile del mondo.
Questa è la fine dell’universo determinato e deterministico. In generale, per un’osservazione data, la meccanica quantistica non predice uno stato unico. Essa predice, al contrario, diversi risultati possibili e ci propone, per ognuno di essi, il suo grado di probabilità.

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I Quark

Aristotele credeva che la materia fosse continua, vale a dire che fosse possibile dividerla in parti sempre più piccole, all’infinito. Altri greci, meno numerosi, sostenevano che la materia fosse di natura granulosa, ossia che tutto ciò che esiste è costituito da un gran numero di atomi di tipo diverso (atomo significa indivisibile). Oggi sappiamo che gli atomi non sono indivisibili, ma sono costituiti di elettroni orbitanti attorno ad un nucleo di protoni e neutroni. Sino ad una ventina di anni fa’ si pensava che protoni e neutroni fossero indivisibili, ma anche questo concetto dovette essere rivisto; esercitando collisioni tra due protoni, o protone-elettrone nei grandi acceleratori, si rilevarono particelle ancora più piccole. Queste particelle vennero chiamate quark, da un gioco di parole di Joice.
Di quark se ne conoscono diversi, caratterizzati da alcuni "sapori", cioè up, down, strange, charmed, bottom e top. Ciascun sapore può presentarsi in tre colori: rosso, verde e blu. Naturalmente, i sapori e i colori sono solo nomi fantastici, convenzioni tra gli scienziati, essendo i quark più piccoli delle lunghezze d’onda della luce visibile. Un protone è costituito di tre quark di ciascun colore, di cui due up e un down, un neutrone ha due down e un up. Grazie alla dualità onda-particella, è possibile descrivere di tutto, nell’universo, compreso luce e gravità in termini di particelle. Le particelle sono dotate di una peculiarità chiamata "spin". Lo spin spiega il suo aspetto secondo il punto di vista di come viene guardata la particella. Una particella con spin 0 è considerata come un punto, identica sotto tutti i punti di vista; con spin1 appare diversa sotto ogni aspetto, e solo una rotazione di 360° la riporterà allo stesso aspetto; una particella con spin 2 tornerà ad essere identica dopo una semi rivoluzione di 180°. Le particelle con spin superiore ritroveranno lo stesso aspetto dopo frazioni minori di una rivoluzione completa.
Ci sono anche particelle che non assumono lo stesso aspetto dopo una rivoluzione completa, me ne occorrono due: queste particelle hanno spin ½. Tutte le particelle note possono essere suddivise in due gruppi: quelle con spin1/2 che costituiscono la materia dell’universo, e quelle con spin 0,1,2,che danno origine alle forze che interagiscono tra le particelle di materia. Le particelle di materia obbediscono al "principio di esclusione", scoperto da Pauli. Ossia, due particelle simili non possono esistere allo stesso stato, cioè, non possono avere la medesima posizione e la medesima velocità in base ai limiti imposti dal principio di indeterminazione. Se non ci fosse stato il principio di esclusione, i quark non avrebbero potuto formare protoni e neutroni separati e definiti, e nemmeno questi si sarebbero organizzati in atomi distinti con gli elettroni.
Nel 1928 Paul Dirac elaborò la teoria dell’elettrone e delle altre particelle con spin ½.Questa teoria combinava la meccanica quantistica con la relatività generale. Dirac spiegò la ragione per cui l’elettrone ha spin ½ e predisse che doveva esisterne un partner: l’antielettrone o positrone. Ora sappiamo che tutte le particelle hanno un’anti particella con cui annullarsi. La proprietà delle particelle portatrici di forza è che non obbediscono al principio di esclusione, per cui possono dare origine ad una forza intensa. Ma se hanno una massa elevata, saranno difficili da produrre e scambiare a grande distanza. Se al contrario, le particelle portatrici di forza hanno massa zero, la forza che portano avrà un raggio d’azione esteso. Queste particelle si chiamano "virtuali", in quanto a differenza delle reali non possono venire viste in un rivelatore di particelle, ma si conoscono i loro effetti. Le particelle portatrici di forza possono essere raggruppate in quattro categorie in base alla forza che veicolano.
Queste quattro forze sono: la forza elettromagnetica, la forza debole, la forza forte e la forza gravitazionale. Ciò a cui la teoria tende è la grande unificazione delle forze, successivamente spiegheremo il perché. La forza gravitazionale è la più debole delle quattro, ed è stata rilevata solo dai suoi effetti: è in grado di agire a grande distanza ed è sempre attrattiva. Viene veicolata da una particella a spin 2, il gravitone, che dal momento che non ha massa, possiede un grande campo d’azione. La forza gravitazionale tra Sole-Terra viene spiegata da uno scambio di gravitoni che costituiscono i due corpi: le particelle sono virtuali, ma osserviamo chiaramente che permettono alla Terra di girare intorno al Sole. I gravitoni reali sono all’origine delle onde gravitazionali, deboli e difficili da rilevare, infatti non sono mai state osservate.
La forza elettromagnetica interagisce con particelle cariche elettricamente come elettroni e quark, ma non quelle scariche come i gravitoni. Questa forza è estremamente più potente della gravitazionale: permette agli elettroni di ruotare intorno al nucleo come la Terra intorno al Sole. L’attrazione elettromagnetica viene attribuita allo scambio di un gran numero di particelle virtuali senza massa con spin 1: i fotoni. Ma se un elettrone salta da un orbita ad un’altra permessa, libera energia ed emette un fotone reale, che può essere rilevato dagli strumenti. La forza nucleare debole è responsabile della radioattività, agisce sulle particelle a spin ½, ma non su quelle a spin 0,1,2, come fotoni e gravitoni. Nel 1967, Salam e Weinberg proposero una teoria che unificava la forza nucleare debole con l’elettromagnetismo, proprio come Maxwell aveva unificato elettricità e magnetismo un secolo prima.
Essi avevano notato che, oltre al fotone, esistevano altre tre particelle per l’interazione debole. Queste furono chiamate W+ , W- e Z°. La forza nucleare forte tiene assieme i quark nei protoni e nei neutroni. Si ritiene che questa forza venga veicolata da una particella, il gluone , con spin 1. La forza nucleare forte gode della proprietà di "confinamento" , ossia, tre quark, rosso, verde, blu, vengono sempre legati da una catena di gluoni in modo tale da avere sempre una combinazione incolore (rosso+verde+blu=bianco).

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Big Bang

Fino al ventesimo secolo, veniva generalmente accettato che l’universo fosse stato creato in un preciso istante del passato. In ogni caso, era sempre stato simile a quello che osserviamo. La teoria della relatività generale di Einstein predice che lo spazio-tempo è iniziato con una singolarità come il Big Bang e che finirà, se l’universo collasserà su se stesso con una singolarità inversa, una grande compressione chiamata Big Crunch, ovvero in una singolarità locale come un buco nero.
All’inizio, l’universo era caldissimo, quindi si è esteso. Ogni volta che raddoppiava le sue dimensioni, dimezzava la temperatura. Al momento del Big Bang, l’universo doveva avere avuto dimensioni nulle e temperatura infinita. Dieci milioni di anni dopo il Big Bang, le unità di gas formatesi nei primi momenti, si sono contratte, si sono messe a ruotare per effetto della gravità formando le galassie.
Questa descrizione dell’universo caldissimo che si raffredda concorda con tutte le informazioni che abbiamo. Ma alcuni punti interrogativi restano: perché era così caldo? Perché sembra identico in tutte le direzioni? Perché la radiazione di fondo è così costante in qualsiasi punto venga misurata? Una risposta è che lo stadio iniziale dell’universo abbia avuto la stessa temperatura ovunque: Allo stesso modo, il ritmo di espansione iniziale doveva essere tale da non permettere un nuovo collassamento. Un’altra domanda è: perché, malgrado la sua uniformità su grande scala, l’universo contiene irregolarità come le stelle e le galassie? Il principio antropico prevede che un Dio abbia scelto tutti questi parametri per creare esseri come noi.
Un tentativo scientifico fu’ intrapreso da Alan Guth e poi ripreso da altri. Il loro modello "inflazionario" mostra che l’ipotesi di un iniziale stato limite, caldo e caotico, seguito da un primo periodo di espansione molto rapida, potrebbe spiegare bene lo stato attuale dell’universo. Ma i modelli inflazionari sono ancora insufficienti, in quanto dipendono dalla Relatività Generale classica, che come abbiamo visto, ponendo una singolarità all’inizio del tempo, predice anche il suo collasso. Per comprendere la nascita dell’universo ci occorrono leggi fisiche che rimangano vere anche all’inizio del tempo.
Occorre usare una teoria quantistica della relatività. Ancora non si è un possesso di tale teoria, ma si sa verso che strada muoversi, quali sono i requisiti di questa teoria. Addirittura si deve ricorrere ai numeri immaginari per necessità di calcolo, per cui si vede come il lavoro sia ancora lungo, e sicuramente irto di difficoltà, ma non certo per questo, studiosi al livello di Hawking ed altri, per non far torto ad alcuno, non alzano bandiera bianca. Questo e l’unificazione delle quattro forze in una sola unica forza sono gli obiettivi degli anni a venire.

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Buchi Neri

Quando una stella si contrae, la sua gravità diventa così forte che perfino la sua stessa luce non può più sfuggire da essa. Una tale regione si chiama "Buco Nero" e la sua frontiera "Orizzonte degli Eventi". I buchi neri sono delle realtà scientifiche. Se ne sono rilevati un gran numero nella nostra galassia, ed ancora di più nelle altre. L’idea avanzata più di frequente è che cadendo in un buco nero, si potrebbe riuscire da un’altra parte della galassia, o di altre galassie, per cui un bel balzo in avanti per i viaggi interstellari!
Naturalmente, non possiamo osservare un buco nero, perché il suo gigantesco campo gravitazionale impedisce alla luce di fuoriuscirne. Tuttavia possiamo individuarli tramite gli effetti di questo campo gravitazionale verso un oggetto vicino. Una stella con massa superiore a quella del Sole, brucia le sue riserve di energia più rapidamente, quindi si raffredda e collassa. Quando la massa diventa inferiore a una volta e mezza quella del Sole, si stabilizza in "nana bianca" o "stella di neutroni". Alcune di esse furono notate quando due studiosi di Cambridge scoprirono degli oggetti in seguito definiti "pulsar". Una stella di neutroni è appena un po’ più grande di un buco nero, per cui, perché oltre non poteva collassare ancora un po’, trasformandosi in un buco nero?
In Cygnus X-1, un sistema binario, una stella ruota intorno ad un massiccio ed invisibile compagno. La materia della stella normale sembra confluire nel compagno invisibile in un movimento a spirale. La materia assorbita emette raggi X che riusciamo a captare. L’oggetto che provoca questo fenomeno deve essere molto piccolo, ma con una massa pari ad almeno sei volte quella del Sole. Un po’ troppo grande per una nana bianca o per una stella di neutroni, per cui deve trattarsi di un buco nero. L’orizzonte degli eventi di un buco nero è formato dalle traiettorie nello spazio-tempo di raggi di luce che non riescono più ad uscire, errando per sempre nei bordi interni del fenomeno, questo sempre dovuto al forte campo gravitazionale del fenomeno stesso. La superficie dell’orizzonte non può che aumentare quando della materia o della radiazione cade in un buco nero.
Questo comportamento della superficie di un buco nero evoca il comportamento di una quantità fisica chiamata "entropia", che misura il grado di disordine di un sistema ed è regolata dalla seconda legge della termodinamica. Venne suggerito in seguito, che l’entropia di un buco nero fosse costituita dall’area del suo orizzonte degli eventi. Ma sorse un ostacolo: se un buco nero fosse dotato di entropia, dovrebbe avere anche una temperatura ed emettere radiazioni. Vent’anni fa’ si riconosceva che un buco nero era completamente nero.
Questo paradosso fu risolto da Stephen Hawking nel 1974 quando scoprì che il principio di indeterminazione della teoria quantistica poteva spiegare che i buchi neri emettono una radiazione esattamente simile a quella di un corpo caldo. La teoria quantistica spiega questo fenomeno mediante il fatto che le particelle osservate non provengono dall’interno del buco nero, ma dallo spazio "vuoto" situato appena al di fuori dell’orizzonte degli eventi. La spiegazione può apparire difficile, ma così non è. Seguiamo il ragionamento. Il principio di indeterminazione implica che lo spazio sia pieno di coppie di particelle e di anti particelle, che appaiono insieme in un punto dello spazio-tempo, si separano, e quindi ritornano una all’altra per annichilarsi.
Ora, se un buco nero si trova abbastanza vicino ad una di queste coppie, uno dei suoi elementi può cadervi dentro, e l’altro può allo stesso modo cadervi dentro, ma potrebbe anche allontanarsi, così si potrebbe credere che venga dallo stesso buco nero. Lo spettro della particella sarebbe esattamente uguale a quello che emetterebbe un corpo caldo, coerentemente al principio della termodinamica. A questo punto, come disse Hawking, i buchi neri non sono poi così neri!

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L’unificazione Della Fisica

Sarebbe molto difficile costruire di getto una teoria unificata, applicabile a tutto quello che esiste nell’universo. Per questo si è, per il momento, fatto ricorso a teorie parziali. Le forze fisiche, come già detto, sono state divise in quattro teorie parziali. Dalla più debole alla più forte sono: gravità, elettromagnetismo, nucleare debole e nucleare forte. La ricerca di una teoria completa e coerente è conosciuta oggi come "unificazione della fisica".
Purtroppo siamo ancora indietro per potere avere una teoria unica. La forza elettromagnetica e le teorie che regolano le interazioni nucleari forte e debole, possono essere combinate in ciò che viene chiamata teoria della grande unificazione, o G.U.T. Ripeto, queste teorie non sono sufficienti in quanto non includono la gravità e certe quantità non sono predette, ma solo inserite per quadrare le osservazioni. E’ importante notare che le teorie parziali che governano la forza elettromagnetica e le forze nucleari debole e forte, incorporano il principio di indeterminazione di Heisenberg. Mentre la relatività generale e le teorie parziali della gravità sono teorie classiche, ossia non prendono in considerazione il principio di indeterminazione. Il primo passo sarà quello di combinare la relatività generale con il principio di indeterminazione.
Il principio di indeterminazione significa che se anche "vuoto", lo spazio è pieno di particelle ed antiparticelle virtuali. Queste coppie devono contenere una quantità infinita di energia, per cui, per la legge di Einstein E=mc2, devono avere masse infinite. La loro attrazione gravitazionale dovrebbe incurvare l’universo fino ad una dimensione infinitamente piccola. Troviamo in queste relazioni troppi infiniti, cosa che gli scienziati odiano, ma li si possono "rinormalizzare" introducendo altri infiniti(!?!).
Anche se non troppo decoroso, questo procedimento ha reso possibile fare predizioni corrispondenti alle osservazioni. Questo procedimento pone diversi problemi, ma sembra che tutti gli infiniti incontrati si possono annullare se il teorema "unificatore" possiede una proprietà chiamata "supersimmetria", che significa che le particelle con spin diversi saranno considerate come aspetti diversi di una "superparticella".
Una delle teorie unificate ed universali possibili è quella chiamata "teoria delle corde". Gli oggetti di base non sono particelle che occupano un punto nello spazio, ma entità con una lunghezza e nessun altra dimensione. Queste onde possono avere dei capi (corde aperte) o richiudersi su se stesse (corde chiuse). Nella teoria delle corde, cio’ che in precedenza si pensava in termini di particelle, viene ora rappresentato come onde che viaggiano lungo una corda vibrante. Tuttavia la teoria delle corde incontra un grosso problema: sembra che sia valida solo se lo spazio-tempo ha dieci o venti dimensioni, al posto delle nostre solite quattro.
Una tale teoria è la sola possibile? Non stiamo inseguendo un miraggio? Sembra che vi siano tre possibilità:
1 – Esiste almeno una teoria unificata. Dobbiamo essere così bravi da scoprirla.
2 – Non esiste alcuna teoria definitiva dell’universo, ma solamente una successione infinita di teorie che descrivono l’universo con precisione sempre maggiore.
3 – Teorizzare l’universo è impossibile.
Alcuni possono sostenere la terza ipotesi basandosi sul fatto che se esistesse un insieme completo di leggi, questo limiterebbe la libertà di Dio di mutare parere e di intervenire nel mondo. La seconda possibilità è ciò che è avvenuto fino ad oggi. Cosa significherebbe se scoprissimo la teoria ultima dell’universo? Intanto non potremmo esserne certi, in quanto le teorie non possono essere provate. Tuttavia, se questa teoria fosse matematicamente coerente e fornisse predizioni a tutte le osservazioni, potremmo avere fiducia in essa. E comunque, ci sarebbero sempre due tipi di difficoltà difficilmente superabili: il principio di indeterminazione e la complessità delle equazioni.
Una teoria completa, logica ed unificata non è che il primo passo: è il nostro scopo è una comprensione totale degli eventi intorno a noi….e della nostra esistenza. Tuttavia, se scoprissimo una teoria completa dovrà essere comprensibile a tutti, e non solo ad un pugno di scienziati. E allora noi tutti potremmo riflettere insieme sulla questione di sapere perché l’universo, e noi, esistiamo.
E se troveremo la risposta a questa domanda, sarà il trionfo ultimo della ragione umana, perchè in quel momento conosceremo il pensiero di Dio.

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