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Il Gatto Di Schrödinger

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Il Gatto Di Schrödinger

Le grandi rivoluzioni cui si è assistito nel mondo della fisica dei primi decenni del Novecento, ovvero l’affermazione del principio di relatività e l’introduzione della meccanica quantistica, hanno contribuito ad abbattere completamente le certezze su cui si fondava non solo l’intera fisica classica ma anche il senso comune.
Da una parte Einstein ci spiegava che l’immagine di un tempo e di uno spazio assoluti, tanto cara a Newton, non corrispondeva affatto alla realtà e costituiva invece l’approssimativa premessa ad una costruzione (la fisica newtoniana, appunto) valida solo in casi particolari e limitati: dall’altra il lavoro di Schrödinger, Bohr e altri apriva problemi ancora più fondamentali, concernenti il senso ultimo delle nostre conoscenze del mondo fisico e la possibilità di ottenere veramente una visione della realtà che ci circonda.
Probabilmente perché più ‘immediata’ (pur nella sua indubbia complessità matematica) e più affascinante per il grande pubblico, pur non scevra da fraintendimenti e mistificazioni la relatività einsteniana è penetrata maggiormente nell’immaginazione della gente comune. La meccanica dei quanti invece resta ancora oggi un ‘terreno di caccia’ per i soli specialisti, gli unici a poter padroneggiare efficacemente il suo formalismo matematico e a riuscire a visualizzare correttamente i suoi scenari apparentemente astrusi, in cui la sicurezza del concreto sembra lasciare spazio all’incertezza della probabilità. Nemmeno la meccanica quantistica però può dirsi priva di aspetti che possano affascinare e sconcertare anche il profano, ed alcuni di essi sono stati efficacemente sintetizzati in aneddoti di grande presa: è il caso del famoso ‘gatto di Schrödinger’. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta.
Schrödinger immagina che un gatto venga posto in una scatola ermeticamente chiusa insieme ad un marchingegno composto di una fiala di veleno e un martelletto, azionato a sua volta dal decadimento di un atomo radioattivo. Ora, il decadimento di un atomo radioattivo è un fenomeno sul quale siamo in grado di fornire previsioni esclusivamente probabilistiche, come il ‘tempo medio di decadimento’: all’atto pratico, ci è impossibile determinare a priori se e quando un certo atomo decadrà. Nel caso proposto, il fatto che il veleno si sprigioni (uccidendo il gatto) a causa dell’azionamento del martelletto è quindi legato ad un evento che noi, dall’esterno, non possiamo prevedere: quello su cui il senso comune ci rende ragionevolmente certi è che, qualunque cosa sia successa all’interno della scatola, il gatto dopo un certo tempo T sarà o vivo come lo abbiamo lasciato o morto per avvelenamento.
Ed è proprio su questa asserzione così banale e apparentemente inconfutabile che la logica quantistica ci sconfessa. Perché?
In meccanica quantistica ad ogni oggetto, sia esso un elettrone o un gatto, è legata una ‘funzione d’onda’. Quest’equazione, la cui complessità è proporzionale alla complessità dell’oggetto considerato e la rende virtualmente irrisolvibile per corpi discreti quali appunto un gatto, descrive interamente lo stato del sistema preso in esame (il fatto che si chiami ‘funzione d’onda’ è spiegato con il dualismo caratteristico della meccanica quantistica, che può considerare gli oggetti allo stesso tempo quali corpi o quali onde). La funzione d’onda si presta a più soluzioni, una delle quali deve rispondere a quanto noi osserviamo: all’atto dell’osservazione, quindi, assistiamo al cosiddetto ‘collasso della funzione d’onda’, ovvero scartiamo tutte le soluzioni possibili fino a conservarne solo una, quella che descrive lo stato del sistema così come lo abbiamo osservato. Nell’esempio del gatto, la funzione d’onda ad esso legata collassa nel momento in cui apriamo la scatola e prendiamo atto del fatto che l’animale sia o meno ancora in vita.
Fino a questo punto potrebbe sembrare che in realtà l’interpretazione quantistica della situazione non sia poi così distante da quella classica, limitandosi in fondo a descriverla in termini diversi ma sostanzialmente equivalenti. Il problema arriva quando cerchiamo di formulare delle ipotesi sullo stato del gatto prima di aprire la scatola: in questo frangente infatti la singolare conclusione a cui ci porta la meccanica quantistica è che il gatto è sia vivo sia morto!
Per capire come si può giungere ad una simile conclusione è opportuno ricordare che lo stato del gatto in meccanica quantistica è descritto solo dalla sua funzione d’onda, quindi da un’espressione matematica in cui non hanno peso considerazioni legate all’esperienza che noi facciamo del mondo reale e che ci consente di ritenere i due stati come autoescludentisi (morto o vivo): su questa base quindi la funzione d’onda semplicemente non contempla il proprio collasso prima dell’atto osservativo, e quindi fino a quel momento persiste una sovrapposizione completa tra gli stati possibili (morto e vivo).
L’esempio del gatto, pur utile in senso didattico, è evidentemente piuttosto difficile da accettare in toto, visto come sovverte radicalmente la nostra (presunta?) certezza di conoscere la realtà che ci circonda: per di più, l’utilizzo della funzione d’onda per descrivere un corpo discreto è poco utile ai fini pratici e difficilmente conciliabile con l’osservazione diretta. Ben diversa è però la situazione che si trovano ad affrontare quotidianamente i fisici delle alte energie, alle prese con particelle infinitesimali sulle quali il senso comune non ha potestà alcuna e le cui proprietà possono perciò essere studiate senza i suoi pesanti condizionamenti: è in questi casi che le soluzioni della meccanica quantistica emergono in tutta la loro eleganza e credibilità.
Il gatto può quindi rimanere (relativamente…) tranquillo, al pari della nostra fiducia nel senso comune per affrontare le situazioni della vita quotidiana. Nei territori più aspri della fisica sperimentale però le cose cambiano, delineando scenari ben più curiosi ed esotici, con i quali forse un giorno dovremo nostro malgrado venire a patti, per scoprire forse che tutte le nostre certezze sul mondo ‘reale’ altro non erano che banali inganni…

Fabrizio Claudio Marcon

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