Il carrozzone della Formula 1 fa tappa a Monza in un momento che più infelice non potrebbe essere. Il martedì precedente le prove passa alla storia come il giorno dell’attentato al WTC di New York ed al Pentagono, e già ci sarebbero ragioni più che sufficienti per annullare o almeno rinviare la gara; come se non bastasse, mentre a Monza si disputano le qualifiche, in Germania Alex Zanardi è coinvolto in un incidente gravissimo e perde entrambe le gambe. Quali decisioni vengono quindi prese?
Facciamo un passo indietro, ricordando che questo Gran Premio è già di suo privo di qualunque significato: entrambi i mondiali sono già stati assegnati e si corre ormai solo per gli sponsor, i tifosi ed il divertimento. I primi non è nemmeno il caso di interpellarli, non potranno che spingere perché la gara prenda il via comunque; i secondi hanno prenotato e profumatamente pagato da mesi la possibilità di osannare le Rosse sul circuito di casa; il terzo invece dovrebbe per decenza essere bandito, almeno lui, da questo evento. Trovare una soluzione di compromesso appare fin dall’inizio utopico, tanto più che il burattinaio Ecclestone non fa mistero (ne’ mai lo ha fatto) di avere una profonda sensibilità solo nei confronti del proprio portafoglio: nell’ambiente peraltro non è certamente una mosca bianca ed inoltre funge anche probabilmente da parafulmine, giacché una volta che è il boss a decidere a tutti i sottoposti vengono risparmiati i problemi di coscienza che li avrebbero afflitti invece qualora l’ultima parola fosse toccata a loro.
Essendo quindi chiaro da subito che si correrà, qualcuno si avventura in pudibondi gesti di circostanza: la Ferrari evita di tappezzare le proprie vetture con la solita marea di etichette pubblicitarie e le veste invece a lutto, dotandole di musetti neri, mentre Eddie Jordan fa applicare una vistosa bandiera a stelle e strisce sul lato dell’airscope delle sue monoposto. Scelte che lasciano il tempo che trovano, si dirà: ma the show must go on, e gli stessi americani dal canto loro sono stati capaci di dare allo stesso tempo sia il buono (i volontari indefessi che a New York lavorano esausti sulle macerie per estrarre sopravvissuti e cadaveri) che il cattivo esempio (il massimo campionato automobilistico yankee, guarda un po’, che non si sogna neppure di rinviare l’appuntamento europeo della serie: appuntamento durante il quale Zanardi va incontro al suo triste destino).
E lo spettacolo in effetti prosegue, almeno fino a quando nella mattinata di domenica i suoi protagonisti sembrano improvvisamente avere un rigurgito di buona coscienza. Schumacher, nell’invidiabile posizione di chi per questa stagione ha già vinto quanto doveva ed è quindi comprensibilmente privo di motivazioni nel disputare la gara, guida un raffazzonato ma ampio fronte di piloti scettici di fronte all’opportunità di fare come se niente fosse successo. L’idea è buona ma arriva fuori tempo massimo, e soprattutto cozza contro la realtà di un mondo ostinatamente impermeabile a quella che può definirsi come una delle tragedie più immani mai conosciute dall’intera civiltà occidentale. Opinione che, tanto per non far nomi, il noto gentleman Briatore mostra di non condividere affatto, arrivando con l’estrema signorilità che contraddistingue il personaggio a minacciare i suoi piloti di licenziamento nel caso decidano di non prendere il via: giustificandosi con una difesa d’ufficio perfino comprensibile (se ci si doveva fermare, allora la decisione andava presa prima delle prove e non a due ore dal via della gara) ma chiaramente solo di facciata, una facciata dietro la quale si nascondono i soliti e preponderanti interessi economici. Al che posso ben immaginare i poveri Fisichella e Button pensare alla precarietà della propria situazione patrimoniale e contemporaneamente a tutte quelle bocche a casa da sfamare, e quindi ridursi senza fiatare a più miti consigli… Gli unici piloti dotati di una qualche personalità sono divisi: Schumacher ancora sulla griglia di partenza verrà riportato incitare i colleghi a partire al rallentatore in segno di lutto, mentre Alesi sbraita contro il team manager della Benetton; all’estremo opposto Villeneuve propende invece per la linea dura e invita tutti a svolgere il proprio mestiere come è sempre avvenuto. Hakkinen, dal canto suo, è già proiettato verso le gioie della vita familiare che gusterà il prossimo anno e quindi del tutto inadatto a fornire qualsiasi contributo alla discussione; e Trulli pare accettare supinamente i diktat provenienti dall’alto. In quanto a Coulthard, per quanti sforzi faccia non riesco proprio a considerarlo un pilota di forte personalità…
Gli ultimi estremi sforzi del campione del mondo non sortiscono comunque alcun effetto. La partenza al contrario ci regala perfino il patetico e sconfortante spettacolo di un Button che parte schumacherianamente di traverso, quasi che dall’esito di questo suo scatto dovesse dipendere la sua stessa vita. Una sorta di giustizia divina lo castiga però già alla prima chicane, frenando la sua delirante foga per tramite di un contatto con lo sventurato Trulli: fuori entrambi. Ora speriamo solo che la stessa giustizia divina rivolga il suo sguardo anche chi si è macchiato di colpe ben più gravi di una partenza ai limiti del regolamento…
Di parlare della gara non mi sembra francamente il caso. La prima vittoria di Montoya avrebbe meritato ben altra accoglienza, ma senza ombra di dubbio al colombiano in futuro non mancheranno le occasioni di stappare champagne sul gradino più alto del podio.
Una sola cosa mi permetto di far notare, ovvero che una semplice soluzione per salvare capra e cavoli sarebbe stata a portata di mano. Visto che partire si era dovuto, si sarebbe almeno potuto evitare di arrivare: ossia correre regolarmente ma rientrare tutti e volontariamente ai box un paio di giri prima del termine della gara. E lasciare poi ai burocrati la decisione se convalidare o meno il risultato, rifacendosi alla classifica dell’ultimo giro percorso: a quel punto poco sarebbe importato. Gli sponsor avrebbero avuto la loro esposizione mediatica, i tifosi si sarebbero potuti gustare la loro gara ed il mondo della Formula 1 avrebbe dato un piccolo ma importante esempio di rispetto e buon senso nei riguardi di un avvenimento che da solo travalica per importanza e gravità tutte le gare che si siano mai corse nella storia di questo sport. Ma dite, qualcuno fra voi ha pensato anche per un solo istante che le cose sarebbero andate in questo modo? Correre qui è stato inutile ed offensivo, ma nonostante tutto perfettamente in linea con le leggi del moderno sport professionistico. Arrivederci ad Indianapolis, allora…
Inutile ed offensivo
Fabrizio Claudio Marcon