Anno di Edizione: 2008
Casa Editrice: LibertàEdizioni
Pagine: 138
Il sorriso amaro che inevitabilmente accompagna l’ormai celebre coniata dal compianto Massimo Troisi “pensavo fosse amore, invece era un calesse” torna a manifestarsi al solo leggere il titolo del romanzo di Doriana Di Giovanni, “Fottuti dal Destino“.
Una serie di eventi dolorosi s’intreccia con la storia dell’innamoramento tra Andrea ed Ilaria, dei loro appassionati incontri virtuali, che sembrano oltrepassare i confini dell’invisibile e avvicinare, fino a farle toccare, due vite altrimenti destinate a restare parallele. I due protagonisti finiscono ben presto per isolarsi, “come se il mondo intorno non esistesse più…, in quel nascondiglio segreto del computer”, in una dimensione paradossalmente tanto surreale quanto autentica. Il lettore, travolto “da questa ondata di purezza”, che avvolge i due personaggi, sperimenta insieme a loro, nello stesso tempo, il timore di essere nel mirino di un Destino scritto sin dalla nascita, al quale e a cui nessuno può sfuggire, contrariamente a ciò che sostiene Anaïs Nin: “Quello che chiamiamo il nostro destino è in realtà il nostro carattere, e il carattere si può cambiare“.
“Fottuti dal Destino” mi fa piacevolmente ricordare il Destino folle e supremo che incombe su Misty in Diary di Chuck Palahniuk, scritto con tale forza di suggestione da illudere il lettore di avere tra le mani davvero e di sfogliare, capitolo dopo capitolo, il diario di Misty. L’opera prima di Doriana Di Giovanni, infatti, altro non è che il diario romanzato d’Ilaria: pur restando nell’ambito di una ineccepibile essenzialità narrativa, l’autrice analizza in dettaglio, con grande efficacia che, pur mirando all’essenzialità del narrare, si dilunga con perizia su emozioni, sensazioni dei protagonisti. La scrittura è lineare, chiara, scorrevole, spontanea, come se “dettata dall’impulso del momento”, senza artificiosità linguistiche e intoppi narrativi.
Ciò che mi ha colpito, fin dalle prime pagine, è, senza dubbio, l’acuta sensibilità dei personaggi e della scrittrice, che affonda la penna, con estrema delicatezza, in alcune delle piaghe più profonde della società e del nostro io. Sincerità, altruismo, comprensione reciproca, solidarietà per chi soffre, sono alla base dell’amicizia e dell’amore: il sentimento che lega Andrea e Ilaria, pur se segnato dalle seducenti attrattive dei tempi moderni, è intenso, soffice, idilliaco. Insomma, una non comune, tenera e sublime storia d’amore, che la distanza rinvigorisce invece di indebolire, con l’ebbrezza e la malizia del “tempo delle mele”.
Ilaria, la protagonista, vive con Elena e l’ama, affronta la vita, che anche per lei è un continuo divenire, con uno spirito di adattamento e una forza di carattere che le continue crisi cardiache non annientano, ma alimentano; è sempre pronta a cogliere gli stimoli necessari per ricominciare a vivere, facendo a pugni, di volta in volta, col Destino, nonostante le frustrazioni, la sofferenza e il dolore, quasi in contrasto con la visione piuttosto pessimistica della vita più o meno scopertamente manifestata dalla scrittrice. Marco (cardiologo e amico di Ilaria) e Andrea sono fiaccole di speranza per il suo cuore… anche “in quel posto dimenticato da Dio”, l’ospedale in cui Ilaria è sottoposta a terapia.
In alcuni momenti narrativi, riguardanti soprattutto Andrea e Ilaria, “due persone così diverse con anime completamente affini e compatibili”, su un sano romanticismo prevale il sentimentalismo, affidato spesso alla comunicazione tecnologica (chat, mail e sms) che allontana ogni sogno prometeico, ma che rafforza la tragicità di alcuni eventi, e viceversa. La sfortuna perseguita la protagonista, insomma, il suo fato non le lascia il tempo di un respiro: Ilaria può gioire, quando le è consentito, per un lasso di tempo assai breve. Tra ricordi, speranze, sogni, un’altalena di emozioni a volte incontrollabili, spesso contraddittorie, quasi sempre pure e forti, fino alla fine del romanzo, il lettore non osa dire che il peggio sia passato…
E se, in prima istanza, sembra che per Andrea, deluso dal suo matrimonio, e per Ilaria, si tratti di evasione, di momentanea fuga per il gusto del diverso, una riflessione più profonda suggerisce, almeno per quanto riguarda la protagonista femminile della storia (che considera la sua omosessualità una “diversità scomoda e fastidiosa…”) stia inconsapevolmente cercando se stessa. La perdita d’identità e lo sdoppiamento dell’io richiama “Il compagno segreto”, di Joseph Conrad, in cui il protagonista e il Doppio di sé, che ha commesso un crimine e lo vorrebbe come suo complice, interagiscono, ma sono in un conflitto che avrà fine solo allorché il protagonista avrà completamente interiorizzato l’Altro.
Come i battiti di un orologio a pendolo, Ilaria ripete: “Doveva essere solo un pizzicotto…”, ma, come si sa, “Poca favilla gran fiamma seconda” (Dante).