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Le avventure di Banedon I

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Le avventure di Banedon (I)

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– Attento, Flandell! – gridò disperatamente il mago, ma non fece in tempo: la poderosa zampata del drago colpì in pieno il nano e lo scaraventò contro la parete. Il corpo di Flandell si accasciò stancamente al suolo. Banedon si lanciò verso di lui: ma si accorse che l’amico non era più in vita.
"Maledizione! Solo!", pensò.
In una frazione di secondo si guardò intorno. Al centro dell’enorme antro stava il grande drago rosso Vallort, risvegliato dal sonno a causa del gruppo di Banedon; ora però tutti, tranne il giovane di Arendal, giacevano esanimi. A destra, contro le rocce, i due guerrieri Elric e Pinnel; sulla sinistra Renè, il sacerdote; sul fondo dell’antro, orrendamente calpestato, l’elfo Mealanthas; e, ai piedi di Banedon, il nano Flandell.
Banedon aveva cercato di avvertirli del pericolo che abitava quelle caverne, ma aveva ottenuto l’effetto opposto, risvegliando la loro curiosità; quando poi erano giunti all’entrata dell’antro del drago e avevano visto il luccichio di un mare di monete e gioielli, sul quale Vallort se ne stava beatamente accoccolato, avevano perso la testa e si erano lanciati avanti senza nessuna prudenza. Banedon non era riuscito a fermarli, e aveva potuto solo assistere impotente alla morte dei suoi compagni: non aveva praticamente nessuna conoscenza dell’arte del combattimento, e non osava sfidare l’antico e potente drago con la sua poca arte magica.
Mentre ancora stava accanto al corpo di Flandell, vide il drago accanirsi contro alcune rocce lontane da lui: al momento non riuscì a capire il motivo di quella mossa, e quando si accorse che Vallort voleva bloccare l’uscita dalla sua tana, era ormai tardi. Era in trappola. Disperato, fissò l’enorme bestia, in attesa del suo attacco, cercando nel frattempo di riacquistare un poco di calma.
Per Vallort il risveglio era stato un po’ traumatico, e i primi colpi di quegli esseri inferiori erano riusciti a fargli qualche graffio; ma poi era stato un giochetto liberarsi di loro. Ed ora rimaneva solo quel minuscolo maghetto, terrorizzato dalla vista dei compagni morti: un colpo sarebbe bastato per annientarlo. Calò con forza la zampa sulla roccia dietro la quale stava acquattato quel minuscolo essere… ma con sua enorme sorpresa quello fu abbastanza agile da schivare il colpo.
Banedon non si era quasi reso conto del suo movimento: l’adrenalina dovuta all’enorme tensione l’aveva fatto scattare proprio nel momento giusto per evitare la zampata del drago. Ora si accorse dell’atteggiamento stupito di Vallort, e colse al volo l’occasione che gli si presentava grazie all’esitazione dell’avversario. Si concentrò, poi intrecciò le mani e si preparò a lanciare una magia.
Respirò, chiamò a sè il potere della Magia… e arrivò. Fortunatamente aveva pensato subito a un incantesimo che aveva già provato numerose volte, con il quale aveva già una certa confidenza, e quindi non gli ci volle molto tempo. Di colpo allargò le mani, le mise intorno alla figura del drago e scandì ad alta voce la formula dell’incantesimo. Dalle sue mani cominciarono a uscire raggi luminosi di colore azzurro intenso, che si intrecciavano a formare una grande ragnatela. In pochi attimi la ragnatela si allargò, diventò immensa e si stese sul drago, immobilizzandolo. Vallort cominciò a divincolarsi, ringhiando e soffiando fumo; quando poi si rese conto che non sarebbe riuscito a liberarsi, decise solamente di distruggerla: e chiamò a sè il potere della Magia.
Banedon approfittò del tempo a disposizione per osservare l’antro.
"Deve esserci un’altra uscita, maledizione!", pensò. "Deve esserci…"
Dopo qualche secondo la trovò: dalla parte opposta a quella a cui erano entrati. Guardò Vallort, e vide che avrebbe avuto bisogno di ancora un poco di tempo per liberarsi. Distruggere un’altra magia, anche se semplice, non era un’operazione veloce. Allora decise di diventare invisibile agli occhi del drago: l’illusione poteva funzionare perchè l’avversario era momentaneamente distratto.
Si concentrò e chiamò nuovamente a sè il potere della magia, che fece più fatica a raggiungerlo perchè già il drago lo stava usando; poi riuscì. Si sentì infinitamente leggero, ed infinitamente solo; queste sensazioni erano normali, erano la conseguenza naturale di un incantesimo che lo rendeva invisibile agli occhi di altri esseri. Cominciò a correre più silenziosamente che poteva verso l’altra uscita dalla caverna; sentì l’esplosione della ragnatela magica, ma riuscì a non distrarsi e a continuare a procedere verso l’uscita.
Vallort si guardò intorno e non vide il mago: gli ci vollero pochi secondi per capire l’incantesimo che il mago aveva lanciato, e adoperò il suo potere per annullarlo.
Una magìa che ne annulla un’altra agisce come un’improvvisa e rapida folata di vento, la cui potenza porta via ogni rimasuglio dei piccoli incantesimi, come un forte vento autunnale che spoglia un albero di tutte le sue foglie cadenti. In questo caso, poi, la potenza della magìa venne aumentata dall’ira (quello stupido maghetto lo stava facendo dannare più del previsto, l’aveva addirittura IMPRIGIONATO!). "La magìa è condizionata dalle nostre emozioni", aveva insegnato a Banedon il suo maestro, Klenar. "Usarle è assai difficile: chi le soffoca non riuscirà ad ottenere la massima potenza dai nostri incantesimi, mentre chi si lascia trascinare da esse rischia di non indirizzare la propria magìa al giusto fine. Solo chi possiede una grande forza interiore riuscirà ad usare correttamente le emozioni."
L’incantesimo anti-magìa di Vallort risultò molto potente: non solo il giovane mago ricomparve immediatamente, ma venne sollevato e scaraventato contro alcune rocce, dove finiva il pavimento dell’antro. Udì chiaramente il ringhio di trionfo del drago, e si appoggiò faticosamente con la schiena alle rocce, per poter vedere la bestia. Il drago inspirò profondamente, una volta, due, tre… i sibili sembravano quelli di una creatura morente… ma Banedon capì subito cosa significava quel respiro affannoso: Vallort si preparava a usare il suo soffio. Il mago ebbe un pensiero fugace, un lampo d’orgoglio per aver costretto il drago a usare il suo soffio, la sua arma più potente; poi pensò a difendersi.
Muovendosi non avrebbe potuto evitare il suo soffio: era troppo distruttivo e l’avrebbe comunque bruciato, soprattutto ora che, dopo la botta ricevuta, il giovane sentiva un forte dolore alla schiena e alle gambe, tanto da rallentargli probabilmente ogni movimento. Così estrasse il suo pugnale magico, "LookTrue", e si concentrò per qualche istante sul turchese incastonato tra lama e gemma, stringendo saldamente l’arma, poi cominciò a pronunciare il rituale.
– Per il grande potere. Per il potere che è in me, e nei miei maestri. Proteggimi, ora.
Proseguì sussurrando la formula magica dell’incantesimo che stava per lanciare; e, dopo pochi attimi, dalla lama del pugnale nacque un puntino di luce azzurra, che rapidamente si allargò, divenne un cerchietto, uno scudo, una piattaforma, coprì interamente il corpo del mago dalla vista di Vallort. E fu appena in tempo.
Un attimo dopo Vallort soffiò. Il getto di fuoco si scagliò contro lo scudo con immensa violenza, e Banedon sobbalzò per lo sforzo: era il potere della magìa a creare lo scudo del magico, ma era la forza del mago a mantenerlo. Banedon serrò la presa su LookTrue e cercò di resistere al soffio, ma era debole e le sue energie non potevano permettergli di resistere ancora a lungo: lo scudo magico cominciò a perdere luminosità. Il getto stava per trapassare la barriera, e allora sarebbe stato carbonizzato. Il mago fece appello al suo cuore, che rischiava di scoppiare… poi il soffio si interruppe bruscamente, e ci fu un ruggito di dolore di Vallort.
Debole, confuso, febbricitante, il giovane di Arendal si scosse e cercò di capire cos’era successo. Con gli occhi annebbiati guardò la bestia e intravide un raggio di luce viola, di mezzo metro di diametro, che puntava sulla fronte del drago. Seguì con lo sguardo il raggio, e notò, proprio all’entrata dell’antro, una figura umana. Aveva la vista troppo annebbiata per riuscire a distinguere chi o che cosa fosse, riuscì solo a intravedere che teneva in mano un bastone dalla cui estremità partiva il raggio di luce viola.
– Adesso… – sussurrò debolmente, come se l’altro potesse sentirlo – Uccidilo adesso… è debole…
Poi, esausto, perse i sensi.

Venne risvegliato da una voce che lo chiamava. Aprì gli occhi e attese qualche istante che gli si schiarisse la vista, rimanendo poi molto sorpreso da ciò che vide. China su di lui c’era una donna, una donna bellissima: aveva capelli neri e lisci che le arrivavano fino alla base del collo; sulla fronte erano trattenuti da una fascetta dorata. Due orecchini con un piccolo ciondolo di cristallo pendevano dai suoi lobi. Gli occhi erano verdi brillanti, e le labbra rosse come il fuoco spiccavano su quel viso dalla pelle chiara, lattea. Indossava un leggero vestito blu con bordi dorati, e un mantello dello stesso colore del vestito.
– Come ti senti? – gli chiese la donna.
Banedon si alzò faticosamente a sedere, e vide il drago steso a terra, immobile.
– E’ morto? – chiese subito.
– No, è solo privo di sensi. L’ho attaccato sui centri del dolore mentre era distratto. Ma ora dobbiamo andarcene al più presto, prima che si riprenda. – Così dicendo, gli prese un braccio e lo aiutò ad alzarsi.
– Tu chi sei?
– Mi chiamo Iruben De Loessian, e vengo da Rhodendal. E tu, giovane incosciente?
Banedon venne colpito dalla frecciatina, e abbassò lo sguardo.
– Sono Banedon Hansmitt, di Arendal. Sono…
– Ah, tu sei Banedon? – lo interruppe Iruben. – Sono contenta di averti trovato in tempo.
Il giovane la guardò stupito. – Come fai a conoscermi?
– Ora andiamo – lo esortò lei. – Te lo spiegherò mentre usciamo di qua.
Uscirono dall’antro, mentre il drago giaceva ancora immobile alle loro spalle. Senza parlare, percorsero l’intera caverna a ritroso. Banedon dovette trattenere spesso i lamenti per il dolore alle gambe e alla schiena. Alla fine, raggiunsero l’uscita della caverna, montarono sul cavallo di Iruben e si avviarono verso la città.
– Conosco il tuo maestro, Klenar – cominciò Iruben mentre camminavano. – Anch’io, come te, pratico l’Arte Magica, e i miei maestri di Rhodendal mi hanno mandato da lui. Ieri sono giunta ad Arendal, e oggi lui mi ha parlato della tua impresa. Mi ha parlato bene di te, e mi ha spinto a venirti subito a cercare. Ed è stata una fortuna, a quanto pare.
– Ti devo la vita – affermò Banedon.
– Lascia perdere. Capita a tutti di essere avventati, all’inizio. Cerca solo di stare più attento, in futuro. D’accordo?
Lo guardò sorridendo. Banedon, per un momento, dimenticò ciò che era appena accaduto e ammirò quell’adorabile sorriso, sentendosi come percorso da un incantesimo… un fulmineo e grandioso sentimento di ammirazione che sovrastava tutti gli altri. "Che mi abbia fatto un incantesimo di charme?" pensò appena si riprese. Ma la magìa non c’entrava.

Alessandro Zanardi (segue)

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