traduzione di Valentina Parlato, Bollati Boringhieri (Torino, 2009), pag. 74, euro 8.00.
La bici, come spiega Marc Augé, è mito, epica e può essere utopia. L’antropologo francese Augé, con il breve saggio’ , entrato a far parte della collana “incipit” della Bollati Boringhieri, “Il bello della bicicletta”, c’apre nuovamente gli occhi s’una delle possibilità d’uscita da diversi problemi dell’attualità: l’utilizzo del velocipede più noto. L’autore, già directeur d’études presso l’EHESS di Parigi e che da anni ormai cerca di costruire una vera e propria antropologia dei mondi contemporanei’, ci spiega e parla, ricorda delle potenzialità della bicicletta; la bicicletta che è allo stesso tempo “mitica, epica e utopica”. Augé argomenta le sue tesi servendosi d’un percorso suddiviso in tre momenti decisivi. Dove fa esplorare i tempi del “mito vissuto”, il progredire della “crisi”, la voglia della “utopia”. Marc Augé, prendendo molto da Barthes e non solo, cala il suo sguardo – per farlo incontrare con quello di lettrice e lettore – nell’esempio a lui evidentemente più vicino, ovvero l’invenzione partorita direttamente dal Comune di Parigi del Vélib’ (Vélos en libre-service) – programma pubblico di noleggio delle due ruote rese soggetto salvifico e in pratica cura. La città, in sostanza e servendoci d’esemplificazione banalissima, deve accendere una scommessa epocale con la bicicletta. Le ragioni sono molteplici, e nella maggior parte dei casi dare torto all’antropologo parigino è impossibile ad analizzare per logica. Il discorso donato, che grazie a una gradevolissima scorrevolezza di linguaggio e più che comprensibile, è in contemporanea un guardare alla storia. Andando alle origini, infatti, si deve per forza scoprire come si starebbe molto meglio se si concepisse la vita anche quale spazio mangiabile con bici. Nel senso che, togliendo tempi e centimetri, parecchi, tanto per cominciare alle automobili, e rimpiazzandole con i velocipedi disegnati presi in considerazione dallo studioso, si riuscirebbe finalmente a raggiungere l’obiettivo della maggiore serenità di tutte e tutti. A un certo punto, M. Augé addirittura prova a immaginare città trasformate fra una trentina d’anni. E, con gioco che guarda fortemente all’utopia, di nuovo, ci s’accorge che sarebbe veramente bellissimo. L’unica perplessità, forse, sta nell’ottimismo con il quale Marc Augé immagina infine una certa arrendevolezza dei produttori d’automobili che non dovrebbero ingaggiare battaglie contro il vero progresso pensato dallo stesso antropologo. Ma, comunque, leggendo “Il bello della bicicletta” si trova nuovamente modi di ragionare per quel mondo migliore’.