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Essere e avere

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Essere e avere

Per Eric Fromm essere o avere sono due atteggiamenti che ci pongono di fronte ad un dilemma; per altri rappresentano elementi inscindibili nella crescita di un individuo. La pensa così anche Nicolas Philibert, che con il suo ultimo film, Essere e avere, appunto, ha vinto l’edizione 2002 del festival del cinema francese di Firenze e ha ottenuto un grande successo di pubblico in patria, nonostante abbia realizzato un docu-film semplice, rigoroso ed essenziale (alla Piavoli de Il pianeta azzurro, per intenderci) che all’apparenza manca di tutti gli elementi di facile consenso.
Documentarista anomale, Philibert lascia sempre aperta la porta alla narrazione che nasce dalla vita. Dopo Il paese dei sordi, del 1992, in cui aveva reso in maniera sincera e non pietistica il mondo delle persone sordomute, con quest’ultimo film costruisce un appassionante diario di un maestro elementare.
L’idea di partenza è quella di un’opera sulla scuola di un villaggio di montagna, una scuola a classe unica, comunità eterogenea, tra i 4 e i 12 anni, affidata ad un solo maestro, per seguire l’evoluzione del lavoro dei bambini, i loro momenti di scoraggiamento e i loro progressi. Gli alunni, dopo aver scoperto la macchina da presa, sembrano essersi abituati presto alla sua presenza e non si accorgono più che vengono
ripresi continuamente, sono sempre spontanei, ingenui, cattivi, naturali: neutralità benevola del cinema nei loro confronti, che non vuole imporre una messa in scena ma osservare ed ascoltare attento e curioso.
Il maestro è il personaggio più consapevole di tutta la vicenda, il cui distacco è naturalmente più costruito: ma questo non intacca la sua passione e il suo impegno: un uomo dai metodi antichi, un padre deciso e gentile, che all’insegnamento ha dedicato tutta la sua vita. L’occhio della macchina indaga su come riesce a far lavorare simultaneamente alunni di età e livelli diversi. Dall’altra parte ci sono loro, i bambini, il loro imparare a crescere e a vivere insieme; il film riesce a cogliere il lampo, l’illuminazione della scoperta, della conoscenza, dell’incontro; la classe è piccola, ognuno dei bambini è riconoscibile, diventa un personaggio, nell’arco delle dieci settimane di riprese, dall’inverno rigido all’estate calda. E fuori della scuola c’è la piccola comunità del paese, con le sue differenze di ceto e classe, che si riflettono anche dentro l’aula.
Emerge dal film un’idea di scuola "repubblicana", come dicono i francesi, che garantisce uguaglianza delle opportunità, rispetto della dignità, incoraggiamento dei meritevoli: l’utopia della comunità, efficace soprattutto in quanto di dimensioni ridotte.
Consigliato caldamente, quando il film uscirà nelle nostre sale (febbraio 2003), a chi vuole ritrovare i ricordi d’infanzia e a chi con l’infanzia si confronta quotidianamente. Visione obbligatoria per Letizia Moratti.

Paolo Baldi

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