Ci siamo …. è giunta l’ora di ritirarsi nel letargo cinematografico estivo. E allora quale miglior occasione per andare a teatro? No, non sono impazzito.
In realtà una curiosa coincidenza mi ha portato ad assistere a due spettacoli, uno cinematografico ed uno appunto teatrale, quasi contemporanei. Il che mi ha portato ad alcune riflessioni.
Il film che ho visionato è l’ultimo lavoro di Kenneth Branagh "Pene d’amor perdute". Da sempre, quando si parla del ragazzo irlandese, l’associazione con Shakespeare sorge spontanea. È lui ad aver portato negli ultimi anni in maniera massiccia lo scrittore inglese sul grande schermo, creando una vera e propria moda in questo senso. Una moda che ha portato all’Oscar (Shakespeare in Love); sfortunatamente per il buon Kenneth, altri e non lui, beffandolo proprio sul suo campo.
La massiccia invasione del teatro shakespeariano al cinema ha ovviamente costretto la ricerca di nuovi mezzi di rappresentazione e con "Pene d’amor perdute" siamo arrivati, o meglio, ritornati al musical, utilizzando una pièce teatrale meno conosciuta, una commedia romantica e leggera.
La storia, trasposta nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale è piuttosto semplice: il re di Navarra decide insieme ai suoi tre compagni, di rinunciare ai piaceri ed alle donne per tre anni, per dedicarsi ad un periodo di studi, "nutrendo la mente" piuttosto che il proprio corpo. Ma le caste intenzioni sono immediatamente poste in pericolo dall’arrivo della Principessa di Francia e dal suo seguito femminile.
Inutile dire che l’amore travolgerà i quattro aristocratici amici. Il resto è tutto equivoci, balli, musica e canzoni di Irving Berlin, George Gershwin, Cole Porter. Insomma un musical coi fiocchi, come nella migliore tradizione di Fred Astaire e Ginger Rogers. E allora? Tutto qua. Troppo di genere per esprimere un giudizio. Piace o non piace, se vi piace o non vi piace il musical. Non c’è la ricerca di qualche cosa di nuovo. È semplicemente Shakespeare a Broadway.
Evidentemente si sente il masochistico bisogno di tornare a cantare e a ballare come nei film Disney, visto che anche uno come Mike Leight, il regista di commedie agrodolci come "Ragazze" e "Segreti e Bugie", nel suo ultimo Topsy-Turvy (visto a Venezia) ha scelto questo tipo di rappresentazione. E per fortuna che, fra gli altri interpreti, ad accomunare le due pellicole c’è l’attore inglese Timoty Spall, proprio lo straordinario interprete di "Segreti e Bugie". Il che mi ha fatto riflettere che per fare un film di questo tipo bisogna anche averne la capacità, il fisico e la faccia. Nella pellicola di Branagh era giustappunto anche presente la nostra attrice Stefania Rocca, alla sua seconda consecutiva, in ordine di uscita, pellicola internazionale, dopo il film di Anthony Minghella "Il talento di Mister Ripley". Devo dire che, nonostante abbia una particolare infatuazione cinematografica per lei, non sono mai riuscito a "vederla" in questo film, sicuramente non a proprio agio con il canto ed i passi di danza. Il che ha contribuito ulteriormente al mio giudizio negativo su questa pellicola, ed in generale al "genere musical".
Ed è proprio attraverso Stefania Rocca che arriviamo al secondo momento. È stato rappresentato al teatro Herberia di Rubiera lo spettacolo teatrale "Polygraphe", del regista canadese Robert Lepage1. Nel cast figuravano appunto Stefania Rocca, e Giorgio Pasotti il giovane protagonista del primo film di Gabriele Muccino "Ecco Fatto". Opera molto suggestiva, giocata in maniera molto "cinematografica", storia di un omicidio impunito di una giovane ragazza canadese la cui morte lega e segna in maniera diretta i tre protagonisti della storia. (per avere informazioni sullo spettacolo vi consiglio il sito www.segnaliproductions.com ). Ed è stato un vero piacere rivedere la protagonista di "Viol@" in tutta la sua nuda bellezza2 ed ascoltarla recitare il monologo classico di Amleto "Essere o non essere", apprezzando le sue espressioni drammatiche così in contrasto con le contraddittorie movenze di "Pene d’amor perdute".
Tutto questo che significato ha?
Bisogna forse cercare a teatro quel filo che spesso il cinema perde nel tentativo di sostituirlo o scimmiottarlo?
È giusto sempre rifugiarsi e riciclarsi, se non si riesce più a proporre qualcosa di nuovo o comunque non di particolarmente banale, nelle classiche rivisitazioni teatrali (ma lo stesso discorso vale anche per i remake cinematografici), quando al limite sarebbe sufficiente citarle (si veda l’ottimo film, sempre di Branagh "Nel bel mezzo di un gelido inverno")?
Perché i nostri attori, che spesso non sono proprio malvagi, sono costretti a mettersi in gioco pur di apparire, in pellicole a dir poco discutibili (o addirittura nelle fiction televisive), oppure, optando per una scelta di qualità a finire nel limbo della scelta teatrale, praticamente sul baratro del dimenticatoio?
Vi lascio con questi quesiti da "sotto l’ombrellone", anche se anticipo un po’ i tempi …… ma dal punto di vista cinematografico siamo proprio in piena vacanza.
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Essere o non essere… Cinema?
Andrea Leonardi
Dove per regista si intende anche cinematografico ("Il confessionale" ed altro ancora).
Leo… leo… leo…