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Torre Strozzi

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Torre Strozzi

All’insegna dell’animalismo che piacerebbe a Giorgio Celli le mostre che si aprono in sincronia: in varie tecniche artistiche alla Torre
Strozzi e in fotografie al Punto Arte un bestiario, venato di iroania sorridente, è allogiato alla Torre Strozzi una piacevole sorpresa è costituita dal repertorio di Franca Gualmini, che ci fa ammirare un grosso cane, nell’esercizio delle sue funzioni di guardia e un orso dall’aria mansueta, forse “l’orsetto in peluche Teddy Bear”? Il segno
è fluido e sicuro, che valorizza una tavolozza dai toni caldi.
Ludoteche di taglio scenografico di Cristina Palandri, in strutture, scalfite da eteree libellule cangianti; un’altra sua opera assume per insegne araldiche due ochine smagate.
Isa Gorini presenta curiosi animali, che sembrano congegni meccanici, ma lo sguardo sbarrato, l’atteggiamento aggressivo del muso, intaccato dal sorriso digrignante, sembra risentire dell’influsso di certe divinità delle culture Maya e Azteca.
Gibertoni ci offre un sintetico tema celeste nel segno zodiacale dello scorpione.
Una gatteria delinea B. Campana, mettendo in risalto esemplari felini, dalle movenze aggraziate ed accattivanti, lo sguardo sornionamente in tralice, che ci tiene sotto controllo, anche quando apparentemente
‘stacca’, per per schiacciare un pisolino o fa languidamente le fusa, per poi balzare all’improvviso all’inseguimento di un oggetto in movimento o di qualche animaletto.
Rita Begnozzi opta per cavalli in corsa, le criniere al vento, sotto una pioggia battente.
Walter Boni ci fa immergere in un habitat sottomarino esotico, dai colori variegati.
D. Pacchioni ci riporta di graffiti di animali di Altamira, in cui si ravvisano bisonti; in un’altra opera, è raffigurato un sonecchiante gatto acciambellato.
Avvincente, l’installazione dell’ottimo Sergio Mara, che ha sapientemente impaginato un polittico, in cui ha incasellato vari esemplari di struzzi, che non vanno disgiunti dall’idea di velocità e sono assurti a simboli culturali, come ne “il fantasma della libertà” di L. Bunuel.
Il bestiario in terracotta è di F. Bergamaschi, raffigurante una rana, un simpatico ippopotamo, un gatto, un’anitra, salvo errore di omissione di qualche altro esemplare. Non pago del repertorio fittile,
Bergamaschi ha delineato pittoricamente un gatto ironicamente simulato, in una sorta di patchwork, i cui motivi si estendono mimeticamente allo sfondo, in ambientazioni i cui dettagli sono curati con acribia, come nelle tele di Matisse e Bonnard.

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Safari, per fortuna solo fotografico, al Punto Arte. I bersagli dei suoi obiettivi sono gli animali selvaggi delle Wildlife, appunto, protagonisti di remoti scenari esotici, in punti sperduti del pianeta, dove Carlo Cecchi si è spinto, per immortalare quelle specie, dissennatamente decimate ed ora sotto rigorosa tutela. E tornano ad affacciarsi alle soglie della memoria “La Mia Africa” di Karen Blixen o “Nata Libera” diffusi in fortunate edizioni cinematografiche, praticando il Verbo del Vangelo ecologista. Cecchi coglie ‘trenches de vie’, istantanee di vita animale, in contesti lussureggianti, in luoghi inaccessibili o deserti, dove il bipede comune della specie umana è visto come un intruso. Ora che gli zoo sono drasticamente ridotti o chiusi, e che rigorose campagne del WWF vogliono impedire l’uso e l’abuso di animali nei circhi, come dimostrano i terribili sceneggiati della realtà circense inglese, con relativo maltrattamento e torture, per l'”addestramento” delle ‘belve’, queste foto diventano un “com’eravamo” e anche un appello alla coscienza,

Giuliana Galli

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