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Intervista con Mauro Mercatanti Band

7 min read

La Mauro Mercatanti Band si forma a metà degli anni ’90 con il nome di “Giovedì Non Posso”. Inizialmente suonano musica pop-rock poi, seguendo il talento loquace e teatrale del loro front-man, Mauro Mercatanti appunto, che durante i concerti infila monologhi, siparietti e ragionamenti varii tra un brano e l’altro, decidono di cambiare genere, dedicandosi al teatro-canzone. Gli spettacoli proposti funzionano e dai club passano ai teatri. Nel 2003 incidono un disco con l’etichetta Novunque (“La fretta di Noè”). Il loro secondo album esce nel 2005 si intitola “Infedele alla linea”. Del 2008 è invece il loro terzo e ultimo lavoro dal titolo “Sano come un sushi”  e lo si può scaricare liberamente dal sito della Anomolo Records (www.anomolo.com) .

La loro musica gratuitamente scaricabile su www.merca.it http://www.anomolo.com/media/mauro_mercatanti/sano_come_un_sushi

 

Davide

Grazie per il contributo che state dando per ricolmare il grande vuoto lasciato da Gaber. Ma quanto ci manca Giorgio?

Mauro

Assai. Ma sinceramente non credo che Gaber abbia lasciato un vuoto. Semmai ha lasciato un pieno. Nel senso che con l’opera di Gaber-Luporini ci fai andata e ritorno per almeno altre tre generazioni. Non so se mi spiego.

Davide

Non esistono più la destra e la sinistra: sono categorie sorpassate, che non hanno più attinenza con il presente. Oggi c’è il sopra e c’è il sotto, tutta un’altra storia… Ma poi, in fondo, non è sempre stato così, una questione di chi sta sopra e di chi sta sotto? Rivolgo a te la domanda: e tu (voi) da che parte stai (state)? Ma in fondo, non lo diceva Trismegisto nella Tavola di Smeraldo, « È vero senza menzogna, certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una…?
 
Mauro
 
Infatti quel “tutto un’altra storia” era pesantemente ironico. E’ esattamente sempre la stessa vecchia storia, caro Davide. E’ cambiato solo l’ordine di lettura: prima la realtà si leggeva da destra a sinistra e ora da sopra a sotto. Ma quello che ci trovi scritto sopra è “Accomodarsi sotto”. Meglio così, dico io. Tanto a star sopra, soffrirei di vertigini.
 
Davide
 
Ho letto da un vostro autoironico profilo che un vostro riadattamento di “Dune Buggy” degli Oliver Onions, con il titolo de “I soldi di Inzaghi”, finiva tempo fa in heavy rotation per oltre un anno nelle radio italiane e in tv, ma che non riusciste  a farci nemmeno un soldo perché non iscritti alla SIAE. Ancora oggi mettete in free download i vostri dischi (e ve ne siamo grati). E’ per un fatto di sfiducia nel mercato discografico italiano di oggi o c’è qualche altra idea contro ciò che è o è diventata la Società Italiana Autori ed Editori?
 
Mauro
 
La seconda che hai detto. La SIAE, come molte cose da queste parti del mappamondo, nasce da un’esigenza legittima e poi si allarga (come un eritema) fino a diventare una specie di pizzo da pagare per chiunque si accosti (per quanto timidamente) alla musica, finendo con il rappresentare una barriera d’ingresso a un luogo che viceversa – per come la vedo io – dovrebbe essere libero e accessibile a chiunque. La SIAE esiste (e resiste) sulla base di un unico, inscalfibile dogma: LA MUSICA SI DEVE PAGARE. Sia che l’ascolti, sia che la fai, sia che la usi, sia che la diffondi, sia che la scrivi, sia che la pensi. Fosse per loro ti farebbero pagare anche quella che canti sotto la doccia. Io dico: l’erba “si deve” non dovrebbe crescere neanche nel giardino del re. Figuriamoci in quello della musica.
 
Davide
 
Giochiamo… Quando ci sono le condizioni, non ci sono le intenzioni; quando ci sono le intenzioni, non ci sono le condizioni… Insomma, la vecchia storia del pane e dei denti. A che punto sono le coincidenze tra le vostre intenzioni e condizioni?
 
Mauro
 
Diciamo che stiamo rimodellando le intenzioni sulle base delle condizioni attuali. Quindi in scala 1:10. E guarda che noi non avevamo mica l’intenzione di salvare il mondo o di scalare le classifiche di vendita. Semplicemente portare in giro un po’ della nostra musica. Eppure di questi tempi anche girare col gruppo è più facile a dirsi che a suonarsi… tanto è vero che ultimamente vado in giro da solo, con le basi. Pensa che tristezza sconfinata.
 
Davide
 
Mi sono sentito uno stupido pentito sul bilico del bacchettone quando ho ascoltato il vostro siparietto “Sslunga” e avevo appena visto e pianto su “Il bambino con il pigiama a righe”… Era un problema che già mi ponevo quando da ragazzino guardavo le Sturmtruppen a Supergulp! eppure leggevo “Se questo è un uomo”. Rido (amaro) allo sfottò di tanta follia, eppoi mi chiedo ancora come si riesca a ridere ridicolizzando tanto orrore quanto il Nazismo. Ma in fondo è così… Senza orrori ed errori, non ci sarebbe ironia o sarcasmo, risata (amara o meno)… Dovremmo esserne grati come il Bene verso il Male, senza il quale di che si glorierebbero i Giusti?
 
Mauro
 
Un antico detto anarchico recitava: “Una risata vi seppellirà”. La prevaricazione dell’uomo sull’uomo si fonda sempre sulla paura. Penso che la capacità che abbiamo di ridere in faccia alla follìa umana sia uno dei migliori anticorpi alla follìa umana. E uno dei migliori antidoti alla paura. È una cosa istintiva, animale: chi non ha provato almeno una volta nella vita (a scuola, per esempio) lo sconvolgente conflitto che si vive quando non devi ridere assolutamente e nonostante questo (o forse proprio per questo) non riesci a trattenerti. Probabilmente succede perché la pretesa umana di proibire, regolare, punire e prevaricare (io essere più forte di te: buh!) ha qualcosa di profondamente ridicolo in sé. Non credi?
 
Davide
 
Musicalmente ho apprezzato molto il sound Seventies di “A Frisco prima del Big One” e di “Monocorde”. Io sì, voi vorreste tornare indietro con me agli anni Settanta? O quale altra decade preferireste tornare a vivere, potendo, e perché (purché non sia quest’ultima)?
 
Mauro
 
Io nei seventies ero parecchio imberbe (sono nato nel ‘70). Eppure ricordo chiaramente la cappa opprimente degli anni cosìdetti di piombo. Forse, dovendo scegliere, mi piacerebbe di più assaggiare un po’ di anni cinquanta, immediato dopoguerra. Quando c’era ancora tutto da fare. E da sbagliare (come direbbe il buon vecchio Guccini).
 
Davide
 
Questo è il testo che ho apprezzato di più… I giovani non sanno cosa vogliono dalla vita, sti poveri coglioni, vaglielo a spiegare che la vita non prende ordinazioni… Eppure tu pure che dicevi che volevi un mondo differente, deficiente… Il mondo se ne fotte allegramente delle tue preferenze, io invece come vedi sono un uomo adulto e responsabile e faccio colazione, pranzo e cena con il male minore… perché il male minore guarisce, sancisce la fine delle ostilità… Ma i giovani non sanno un accidente, cosa sia il male maggiore, beata ingenuità, a volte non ne sanno neanche quelli della mia età… occorre, occorrerebbe nella vita un poco di memoria storica, di immaginazione, e allora sì che ci faremo scudo con il male minore, perché il male maggiore ritorna, aggredisce, rapisce, ti inghiotte, ti fotte, legittima, giustifica, santifica…
Qual è il testo che hai scritto e che ritieni il tuo migliore? Puoi scrivercelo?
 
Mauro
 
Due versi, se me lo concedi:
1) Io non uccido nessuno / e se qualcuno mi uccide, muoio / Questo è quello che ho deciso / ecco quello che so fare io.
 
2) Poi succede che si smette di crescere /e si comincia a invecchiare / Con la boria che c’ha solo chi invecchia / e l’orgoglio di un bambino che / che le scarpe se le allaccia da sé / che la frutta se la sbuccia da sé/ ma capisce quanto è debole / di salute cagionevole / innocente e colpevole.
 
Per quanto anche “Sono umile. E me ne vanto” è un interessante punto di vista da tramandare ai posteri… 😉
 
Davide
 
Memorie da Shining… “La gente è mattiniera sempre, c’è il giorno che l’attende, è bello un bel po’”… O la gente è matta sempre con le ore del mattino che hanno  l’oro in bocca?
 
Mauro
 
La gente è mattiniera solo se il mondo che l’attende è bello un bel po’.
Sennò chi ce lo fa fare? A quel punto meglio le braccia di Morfeo. Infatti mi pare sia un bel pezzo che dormiamo. O no?
 

 

Un grazie a Paola Conforti
Ufficio Stampa

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