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Mira – Oliviero La Stella

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Siamo a Roma e Oliviero La Stella, alle prese con il suo secondo romanzo (come il primo edito per la Fazi Editore), mette sul piatto tre personaggi tra loro diversissimi, tre vite in cammino su sentieri irti di difficoltà.
Il commendator Auro Baciocchi, self-made man nostrano sulla settantina, partendo da un piccolo negozio di ferramenta aveva messo in piedi un grande ipermercato del mobile con migliaia di metri quadrati di esposizione e svariati dipendenti. Eppure il “Re del Mobil Land” era ormai un sovrano decaduto che da mesi non si recava in azienda; non aveva più le trovate brillanti di un tempo e gli affari andavano male: il suo impero si stava sgretolando di fronte alle nuove logiche di mercato e alle grandi imprese del Nord.
Gianni Azzolini invece, divenuto giornalista grazie ai sacrifici economici dei genitori, aveva poi imboccato la strada della televisione, accettando l’incarico di direttore dei programmi di TeleRossa, una piccola emittente locale costantemente a corto di fondi, un puro contenitore di spazi mediatici per chiunque fosse disposto a pagare: sensitive e cartomanti, chat erotiche e preti spretati. Il funerale del suo migliore amico morto suicida è l’occasione per tracciare un bilancio, decisamente amaro, della propria vita. Dominato dall’impazienza di fare carriera, aveva lasciato un buon impiego presso un giornale, compiendo una scelta che si era rivelata fallimentare. Ora voleva tirarsi fuori dalla mediocrità professionale in cui era precipitato, rimettere insieme i cocci delle sue aspirazioni giovanili infrante: Gianni era in cerca di idee.
Infine ecco Mira, l’elemento più a fuoco, il vertice alto di questo trittico narrativo. Una ragazzetta magra e dal volto espressivo su cui spiccano due occhi grigio-verdi, una prostituta albanese giunta in Italia al seguito di Artan, un uomo che da “fidanzato” si era trasformato in protettore. Costretta a concedere la bocca e l’amore per 30 euro, Mira – che sulla strada risponde al nome di Jenny – sognava di concepire la propria esistenza slegata dalla vendita del proprio corpo e, sulle note delle canzoni di Laura Pausini, a volte si sentiva un “angelo”, nonostante gli innumerevoli clienti che riempivano le sue notti.
Portata a termine questa parte interlocutoria, l’autore avvia finalmente la sua macchina narrativa, plasmando l’espediente che permetterà a questi tre filoni di incontrarsi: durante un periodo di vacanza Artan perde la vita precipitando con la propria auto da un molo e Mira ottiene all’improvviso la libertà, qualcosa che non aveva mai avuto.
Nel frattempo, visionando alcuni ritagli di giornale, Gianni ha un’illuminazione, una proposta da sottoporre a Baciocchi, storico finanziatore di TeleRossa: si tratta di un concorso per eleggere una specie di figlia adottiva per Auro, qualcosa in grado di appagare i “buoni sentimenti” della gente, una trovata che avrebbe generato una pubblicità ed un riscontro mediatico enormi.
Il navigato imprenditore, nonostante l’accesa ostilità della moglie Gina, decide di riporre le sue speranze di rilancio in questo strampalato progetto e insieme con Gianni ne cura la realizzazione.
La giovane ragazza albanese, coadiuvata da due compagne di sventura, Fabiola e Jasmine, viene a sapere del concorso e si presenta alle selezioni: per l’anziano Auro lo sguardo di Mira, lo sguardo di una persona che ha conosciuto le difficoltà della vita, è come uno schiaffo che lo risveglia dal torpore ed un sorriso si fa strada tra le sue rughe profonde.
La protagonista sembra essere sulla rampa di lancio dell’emancipazione, sulla soglia del luccicante mondo della televisione, miraggio supremo di tante ragazze albanesi, eppure qualcosa andrà storto e il treno della celebrità (e del conseguente riscatto sociale) verrà fermato a pochi metri dall’arrivo.
Servendosi di un registro asciutto, semplice e aderente al parlato, l’autore ci descrive un dramma corale, un’attualità fortemente problematica; l’orizzonte in cui veniamo proiettati è quello del docudrama, di una realtà che ha in filigrana la pregnanza emozionale di una fiaba moderna.
In un montaggio narrativo fatto di inquadrature rapide e alternate, il punto di vista sguscia da un personaggio all’altro, palesandoci pensieri ed emozioni di ognuno; nel contempo la fluidità del dettato è comunque assicurata da brillanti espedienti di raccordo tra le vicende.
 
Il romanzo, evitando buonismi di maniera, scandaglia tematiche scottanti e decisive per la nostra società, mettendone a nudo, per quanto è possibile, logiche e meccanismi: i pregiudizi nei confronti degli immigrati, il loro disagio verso una società che tende a ghettizzarli (almeno idealmente), il timore di esibire la propria nazionalità, un’integrazione mancata che diventa senso di estraneità al mondo, e ancora l’universo della prostituzione, gli automatismi che regolano una professione tanto degradante, il senso di sconfitta e la rabbia verso se stessi.
Il quadro complessivo, decisamente negativo e in fin dei conti pessimistico, è ben sintetizzato dalle parole di un personaggio il quale, riferendosi all’Italia, parla di un paese che non crede più in nulla, non ha più niente in cui credere.
Da notare, infine, la dimensione “collettiva” e collaborativa dell’opera che, come apprendiamo dai ringraziamenti in appendice, nasce dai contributi di diversi scrittori albanesi e da un lavoro che lo stesso autore ha svolto “sul campo”, con lo scopo di conoscere in presa diretta le realtà descritte,

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