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Il mare non bagna Napoli – Anna Maria Ortese

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FULMINANTI RITRATTI

 

Una romanziera magnifica, di tutto rispetto, ma negletta, colpevolmente negletta, dai moduli d’insegnamento letterario delle scuole italiche.

Una narratrice lucidissima, vivida nella resa dei personaggi, degli scenari narrativi, della denuncia sociale; eppure sobria, elegante, a tratti finanche elegiaca.

 

Questi che vi si propongono sono sei racconti su Napoli; uno dei quali – emblematicamente intitolato “Il silenzio della ragione” – è in realtà un romanzo breve, con tanto di scansione in paragrafi. Un romanzetto che parla di personaggi reali, di scrittori quali Raffaele La Capria e Domenico Rea. Scrittori in quegli anni à la page, ma che via via stemperarono nei vichi di Napoli, dove la natura infuria, e tutta la ragione dell’uomo è nel sesso, la coscienza della fame (pag. 118) la propria battaglia sociale.

Probabilmente, l’io narrante è la Ortese stessa: lo stile documentaristico qui è talmente ben riuscito che si stenta a sceverarlo dagli elementi di fantasia.

 

Ognuno degli altri racconti è anch’esso incentrato su uno o più personaggi da ritrarre; talvolta invece è un io narrante a descriverli, sovente interagendo con loro. (come accade ne “La città involontaria”)

E questi personaggi sono dei vinti, o meglio, degli avvinti tra le spire di un mondo, come l’Italia meridionale, morto al tempo che avanza […] (pag.75).

Un mondo sensuale e putrescente. Ossimoro, questo, che si risolve e dissolve in una radice arcana, efficiente come le più inesorabili burocrazie: Esiste, nelle estreme e più lucenti terre del Sud, un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione; un genio materno, d’illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in cui dormono quelle popolazioni. (pag. 117)

Una natura madre e matrigna insieme, pronta a soffocare il dormiente se esso mostri di muoversi, e accenni sguardi e parole che non siano precisamente quelle di un sonnambulo (ibidem).

 

Se il Sud Italia è il genus, Napoli è la species maggiormente esemplificatrice di questo spietato agire dell’invitta Gran Madre Cibele, che non solo tiene nel sonno i suoi sciagurati figli, ma anche nella miseria, provocata da questa inerzia spiraliforme. Un’inettitudine che si fa impedimento dirimente di qualsiasi etica del lavoro: l’homo faber qui non c’è; e se c’è, tace e si putrefà.

Solo una compagine umana profondamente malata potrebbe tollerare, come Napoli tollera, senza turbarsi, la putrefazione di un suo membro (pag. 75)

Ed Il disastro economico non ha altra causa. Il moltiplicarsi dei re, dei viceré, la muraglia interminabile dei preti, l’infittirsi delle chiese come dei parchi di divertimento, e poi degli squallidi ospedali, delle inerti prigioni, non ha un diverso motivo (pag. 118): il sonno della ragione.

Che la religione fosse l’oppio dei popoli lo diceva già Marx; la Ortese qui coniuga la polemica sociale con suggestioni di eterni ritorni nicciani fino a creare una sintassi mitologica dell’Oblio, foriero di Morte: La città si copriva di rumori, a un tratto, per non riflettere più, come un infelice si ubriaca. Ma non era lieto, non era limpido, non era buono quel rumore fatto di chiacchierii, di richiami, di risate, o solo di suoni meccanici; latente e orribile vi si avvertiva il silenzio, l’irrigidirsi della memoria, l’andirivieni impazzito della speranza (pag.134).

 

Nei bassifondi, negli edifici fatiscenti, nell’Ade in terra Una miseria senza forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regina. Straordinario era pensare come, in luogo di diminuire o arrestarsi, la popolazione cresceva, ed estendendosi, sempre più esangue, confondeva terribilmente le idee all’Amministrazione pubblica, mentre gonfiava di strano orgoglio e di più strane speranze il cuore degli ecclesiastici (pag. 67)

Rimarchevole la garbata ironia con la quale l’autrice evidenzia certe, inossidabili e sempiterne, “battaglie” condotte da ogni pulpito – anche i più “elevati in grado”, aggiunge la recensora – che ogni giorno o quasi battono sulla grancassa del Crescete e moltiplicatevi, in nome di una sorta di diritto alla riproduzione dell’umana specie, quali che siano le condizioni socioeconomiche che i nuclei familiari debbano affrontare.

 

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Anna Maria Ortese (Roma, 1914/Rapallo, 1998) romanziera italiana.

Il suo esordio letterario reca i segni del “realismo magico” di Massimo Bontempelli, ma successivamente il suo narrare si evolve in maniera del tutto originale, permettendole di creare opere che innestano invenzioni favolistiche in squarci documentari di estrema lucidità, donde l’inconfondibile stilema dell’autrice: polemica morale e fantasia trasfiguratrice s’intrecciano inestricabilmente.

 

Anna Maria Ortese “Il mare non bagna Napoli”, Adelphi Edizioni, Milano, 2003.

La presente edizione è corredata da una nota dell’autrice, intitolata “Il «Mare» come spaesamento”, stilata nell’aprile del 1994 (a pochi anni dalla sua morte, quindi), in cui ella tende la mano ai suoi detrattori con pacatezza, rendendo ad un tempo edotto ogni lettore sulle antiche motivazioni che la spinsero a scrivere questo bellissimo testo.

Prima edizione: 1953; vincitrice del premio Viareggio nel medesimo anno.

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