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La difesa legittima del domicilio privato

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 “Sono contento di trovarvi tutti qui…”

Saluto ai detenuti di un uomo politico americano in visita ad un carcere

 

L’autodifesa con le armi[2]. Basta sentire che la propria vita, i propri beni, o la vita e i beni altrui sono in pericolo. E’ sufficiente la percezione di un pericolo concreto. In casa, in ufficio, in un negozio, in uno studio: di fronte alla minaccia di un aggressione, dal 17 marzo 2006 (data di entrata in vigore della legge di riforma dell’art.52 del Codice Penale[3]), è legittimo difendersi anche con le armi. Anche a costo di uccidere l’aggressore… Più che una riforma una “rivoluzione”.

Il primo comma dell’articolo in esame, ancora oggi, stabilisce che “Non e punibile chi ha commesso il fatto (una qualunque azione/reazione che in se costituirebbe reato), per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.”

E questa era l’essenziale disciplina della principale causa di giustificazione (o scriminante, o esimente), prevista dal nostro diritto penale, la legittima difesa appunto, ossia quella determinata situazione in presenza della quale un fatto, che in astratto costituirebbe un reato, perde il carattere di antigiuridicità in virtù di un principio di giustizia, desunto dall’intero ordinamento (il diritto di difendersi da un’aggressione ingiusta), che lo impone o lo consente. Il fatto commesso nella prevista condizione, non è dunque reato ed il soggetto che lo ha commesso non è punibile[4].

Ora all’articolo 52 sono stati aggiunti dal Parlamento i comma 2 e 3 che stabiliscono:

“Nei casi previsti dall’articolo 614 (“Violazione di domicilio” N.d.A.), primo e secondo comma[5], sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

Dunque, la riforma cambia radicalmente i connotati della legittima difesa come descritta fino ad ora dal Codice e dalla Giurisprudenza, mandando in archivio il concetto di “eccesso di difesa[6]“, nel senso che viene introdotta una presunzione assoluta (iuris et de iure[7]), di proporzione fra difesa e offesa, nei casi di reazione avvenuta durante la commissione di delitti di violazione di domicilio (all’abitazione privata sono equiparati i luoghi di esercizio di attività economiche).

Infatti, col vecchio art.52 C.P., la congruità della risposta rispetto all’offesa era affidata alla valutazione dell’Autorità Giudiziaria caso per caso. La quale, e a far testo esistono numerose pronunce della Cassazione, aveva raggiunto un orientamento ormai condiviso intorno ad alcuni concetti chiave.

Ad esempio, in tema di “necessità di difendere” e di “proporzionalità”, la reazione con l’uso delle armi doveva essere considerata giustificata quando si dimostrava l’unica possibile, in quanto non sostituibile con un’altra meno dannosa ma ugualmente efficace nel tutelare il diritto aggredito.

La stessa “attualità del pericolo” era stata costantemente intesa come il dover effettuare una “valutazione quanto più razionale” da parte del soggetto aggredito (certo assolutamente non facile nella delicatezza del momento), circa le circostanze concrete e contingenti del fatto, sul tipo di danno temuto e sulla sua possibile prevenzione.

Di fatto, tuttavia, le conclusioni raggiunte dall’Autorità Giudiziaria sono state considerate insufficienti da parte della Politica. Si è riconosciuto, cioè, che troppo spesso, solo al termine di un percorso processuale lungo e faticoso, colui che era stato aggredito in casa propria riusciva ad ottenere il riconoscimento di non avere commesso un reato per il solo fatto di essersi difeso.

Questa modifica ha diviso e ancora divide il mondo politico, giuridico e culturale.

Per alcuni Avvocati e Magistrati con questa legge si rischierebbe più aggressività da parte dei criminali. C’è chi ha paventato scenari inquietanti e dalle conseguenze drammatiche, per cui questa scelta legislativa non si limiterebbe a restaurare la contrapposizione fra “possidenti” e “classi pericolose”, “buoni borghesi” e “pericolosi clandestini”, ma porterebbe a livelli insostenibili quello “spirito di frontiera” (stile Far West nordamericano), mai presente nel nostro DNA, insieme al tasso reale di insicurezza collettiva, con un aumento dei casi di omicidio (che viceversa, nel nostro Paese, sono, dalla fine del 1800, in costante diminuzione), “siano…le vittime sprovveduti zingarelli colti in fragrante dal ben armato proprietario, ovvero pacifici proprietari fulminati, in prevenzione, da ben organizzati professionisti dell’incursione domestica, ora ben avvertiti dal legislatore del 2006, dell’opportunità di neutralizzare anzitutto, per la buona riuscita dell’impresa, una vittima fornita di licenza di uccidere.[8]

Spetterà come al solito alla Giurisprudenza dei Magistrati di ogni ordine e grado dare concretezza a questa norma nel prossimo futuro; applicazione che dovrà tenere conto dell’intenzione fondamentale del legislatore, per cui essa dovrebbe tendenzialmente prevenire tutte quelle condotte che aggrediscono la persona o il patrimonio.

Per quest’ultimo aspetto, a smentire la tesi di chi vede sotteso a questa modifica un maggiore valore attribuito al patrimonio rispetto alla vita umana, i “partigiani” della riforma tengono a sottolineare che l’uso delle armi è legittimo solo in determinate condizioni. Innanzitutto non deve esserci stata “desistenza”, e ciò evita che possa essere considerato legittimo il comportamento di chi reagisce verso un aggressore in fuga. Inoltre ci deve essere il “pericolo” dell’aggressione; questa non deve essere già in atto, ma basta che ve ne sia anche solo la possibilità, perché la reazione del soggetto impaurito sia giustificata. Disposizione che intende costringere l’aggressore (e non solo il difensore), a valutare meglio le conseguenze del proprio comportamento.

 

 La calma è il primo dovere del cittadino

Conte Schulenburg Kehnert



[1] Cfr. “In casa e ufficio vale qualsiasi difesa” di Donatella Stasio, Il Sole 24 ore, 25/01/2006 pag.5

 

[2] Cfr. “Legittima difesa sul patrimonio” di Giovanni Negri, Il Sole 24 ore, 26/01/2006 pag.22

 

[3] L. 13 febbraio 2006, n. 59. Modifica all’articolo 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio. (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana Serie gen. – n. 51 del 2 marzo 2006).

 

[4] Le cause di giustificazione sono previste dal codice penale italiano agli artt. 50 e seguenti. Va tuttavia precisato che il codice Rocco non utilizza mai l’espressione tecnica “cause di giustificazione”, di origine dottrinale, e preferisce parlare più genericamente di “circostanze che escludono la pena”, ampia categoria che ha finito per ricomprendere tutte le situazioni in presenza delle quali il codice qualifica un determinato soggetto non punibile: cause di giustificazione, cause di esclusione della colpevolezza, cause di non punibilità in senso stretto.

 

[5] CODICE PENALE LIBRO SECONDO. DEI DELITTI IN PARTICOLARE.

TITOLO XII. DEI DELITTI CONTRO LA PERSONA

CAPO III. DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE.

SEZIONE IV. DEI DELITTI CONTRO LA INVIOLABILITÀ DEL DOMICILIO.

Art.614. (Violazione di domicilio)

 Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni.

Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno.

 

[6] Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Sent.2098/1994 e 9695/1999. In queste (e in moltre altre) sentenze più recenti, la Cassazione ha delineato il concetto di eccesso colposo, che si verifica quando la reazione non è adeguata per eccesso, a patto che questo sia dovuto a errore di valutazione (l’aggredito spara colposamente credendo che l’aggressore sia armato) e non a una scelta consapevole e volontaria (l’aggredito spara per rabbia e per vendetta, in questo caso si tratterebbe di omicidio volontario).

 

[7] Una “presunzione” è la conseguenza che la legge trae da un fatto noto (in questo caso la reazione ad un atto di violenza), per risalire ad un fatto ignoto (c’è stata proporzione tra attacco e difesa?). In particolare una presunzione “assuluta” –iuris et de iure– non ammette possibilità di prova contraria. La reazione, in altre parole, in questo caso è sempre proporzionata.

 

[8] Vedi “Il rischio di effetti peggiori dei mali” di Carlo Enrico Paliero, Il Sole 24 ore, 26/01/2006, pag.22.

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