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Zio Vanja, scene di vita in campagna – Anton Checov

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regia Cesar Brie, Isadora Angelici

con Isadora Angelici, Andrea Battaglio, Veronica Cannella, Salvo Lo Presti, Veronica Mulotti, Luca Serrani

rappresentato a Bologna al Teatro Testoni il 9 e 10 gennaio 2007

 

Eccolo, il nuovo, tanto atteso, spettacolo di Cesar Brie: Zio Vanja.

Almeno per me, dopo essere stata così positivamente sorpresa dal precedente lavoro realizzato da Cesar e dal suo gruppo di allievi: Il cielo degli altri.

La compagnia del Teatro Randagio, ancor più che in precedenza, non delude. I ragazzi, che ora vediamo dimunuiti di numero, hanno dimostrato grandi capacità di interpretazione: il testo è sicuramente un po’ ostico…riuscire a rendere attuale e soprattutto sincero, vero, un capolavoro che  oggi potrebbe apparire un po’ ammuffito, datato, proprio per la sua stessa pubblicazione e messa in scena,  non è cosa da poco, anche perché la scelta è quella di riproporlo integralmente.

Anche se giovane questa compagnia dà l’impressione di poter andare lontano. Traspare un grande lavoro fisico, intellettuale, etico e di gruppo. Tutto è studiato nei minimi particolari: la parola, la presenza scenica, l’equilibrio spaziale, le motivazioni intrinseche che fanno muovere e danno vita ad ogni personaggio. Probabilmente la storia la conosciamo tutti ma vale davvero la pena di andare a vedere questo spettacolo perché forse potrete cogliere cose di Checov che non avreste immaginato. Con grande umanità e introspezione la compagnia è riuscita, sicuramente chiedendosi molto, a parlare di noi uomini e della nostra natura così incoerente, prepotente e bisognosa di affetti. Checov, maestro del naturalismo, ci appare un po’ più vicino…

 E’ strano, un testo così pieno di parole che parla proprio dell’impossibilità del dire, del dire davvero qualcosa a qualcuno, a qualcuno che amiamo, a qualcuno che odiamo. E si scopre che, in fondo, questo (non) dialogo, questa confessione-liberazione, non sono altro che un nostro egoistico bisogno. Tutto avviene ma non succede nulla, tutti parlano ma non si dicono nulla. Tutto risulta, nella sua frenesia, in un’altalenante andamento, stranamente immobile.   

 E’ una grande barca la scenografia, semplice, precisa e soprattutto funzionale, ricca di oggetti di scena che, usati anche in modo inconsueto, non convenzionale, pur nella loro semplicità, si fondono, scompaiono e ricompaiono con essa a seconda delle situazioni. Una grande barca che, credo, in fondo, rappresenti la vita, la nostra situazione, sempre in balia di mari e tempeste che fanno ciò che vogliono delle nostre emozioni e ci scaraventano, non senza dolore, contro gli scogli. Ma, anche se i venti non sono propizi, noi remiamo, remiamo speranzosi di avvistare terra, tentando disperatamente di poter giungere ad una spiaggia e riposare, anche solo per un momento.

Se devo essere sincera non mi è stato sempre semplice rimanere seduta, nella mia scomoda poltrona, per due ore…a volte risulta un po’ pesante, forse noioso, ma non manca la volontà di avvicinarsi, anche concretamente, al pubblico, di stupirlo, farlo sorride e a volte, perché no, anche ridere, magari solo con semplici acrobazie fisiche o sottili ironie ricavate dal testo.

Non so se alla fine sono rimaste forti emozioni, se il cuore si sia un po’ addolcito, se questi attori siano riusciti ad insinuare un po’ di dubbi in quella sala, se siano davvero stati in grado di mostrarsi come uomini spudoratamente onesti, come forse era nei loro intenti… io sicuramente andrò a rivedere con piacere questo lavoro: lascio a voi l’ultima parola

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