Da venerdì 18 aprile 2025, disponibile il nuovo album Migration Tales sulle piattaforme digitali e in copia fisica. Sabato 10 maggio, alle 21:00, il disco sarà presentato ufficialmente in concerto alla Casa del Jazz di Roma, mentre lunedì 12 maggio, sempre alle 21:00, Migration Tales dal vivo al Palazzo San Sebastiano di Mantova
Consegnato alle stampe dall’etichetta Endectomorph, in collaborazione con La Reserve, Migration Tales è il nuovo disco della violinista, compositrice e arrangiatrice Ludovica Burtone, presente sulle piattaforme digitali e acquistabile anche in formato fisico da venerdì 18 aprile. Ludovica Burtone è un puro talento, musicista eclettica, di larghe vedute, che sta riscuotendo sempre più consensi soprattutto negli Stati Uniti, Paese in cui vive attualmente. Questa sua nuova opera discografica, anticipata dall’uscita di tre singoli, The Name il 13 dicembre 2024, Água e Vinho il 24 gennaio 2025 e Outside my Window il 7 marzo di quest’anno, è formata da sette brani, di cui cinque figli della fervida immaginazione compositiva dell’autrice del progetto, mentre Água e Vinho (Egberto Gismonti – arrangiamento di Ludovica Burtone) e Our Voices (in collaborazione con Soundscape Artist Cleo Reed) completano la tracklist.
Concepito in pieno solco contemporary jazz, dalle forti tinte free, avant-garde jazz, nonché impreziosito da pennellate assimilabili alla musica eurocolta, Migration Tales è un lavoro da cui emerge un profondo spirito di ricerca dal punto di vista timbrico, melodico, armonico e ritmico, dove l’estro e la sensibilità di Ludovica Burtone e dei suoi cinque brillanti partner sono due elementi caratterizzanti. Ad accompagnarla in questa fatica discografica, figurano appunto cinque musicisti di fulgido talento: Milena Casado (flicorno), Julieta Eugenio (sax tenore), Marta Sánchez (pianoforte), Tyrone Allen II (contrabbasso) e Jongkuk Kim (batteria).
L’autrice di Migration Tales, in questo CD anche in veste di cantante, racconta la gestazione e descrive il mood della sua nuova creatura: «Questa raccolta di storie musicali nasce dalle esperienze di donne immigrate a New York. È un album dedicato a chi si sente sospeso tra due mondi, a chi cerca un luogo dove sentirsi a casa e a chi trova la forza nel proprio percorso. Un omaggio al coraggio e alla resilienza di tutti gli immigrati. Ogni brano racconta un aspetto diverso di questo viaggio, esplorando l’identità, la perdita e il senso di appartenenza. Il 2023, per me, è stato un anno di profonda trasformazione, ricco di sfide, dolori e opportunità. Questo progetto è nato in quei mesi intensi ed emozionanti».
Sabato 10 maggio, alle 21:00, Ludovica Burtone presenterà il disco alla Casa del Jazz (Roma), in quartetto, con una sezione ritmica italiana formata da tre giovani e talentuosi musicisti: Vittorio Solimene (pianoforte), Riccardo Gola (contrabbasso) e Valerio Vantaggio (batteria). Un’ottima occasione per poter vedere dal vivo la presentazione di Migration Tales, un disco meritevole della massima attenzione. Occasione che si (ri)presenterà lunedì 12 maggio, alle 21:00, al Palazzo San Sebastiano di Mantova, dove Ludovica Burtone sarà accompagnata da tre valenti partner: Andrea Goretti (pianoforte), Kaisa Maensivu (contrabbasso) e Davide Bussoleni (batteria).
Stefano Dentice
Biografia Ludovica Burtone
Violinista stilisticamente crossover, compositrice e arrangiatrice ardimentosa, poliedrica e creativa, sensibile e spregiudicata, Ludovica Burtone è una musicista totale. Di Udine, ma di stanza a New York da quasi dieci anni, l’artista friulana spazia con grande disinvoltura dalla musica colta alla Musica Popolare Brasiliana, fino a giungere al jazz in tutte le sue svariate declinazioni stilistiche. Grazie alle sue preziose qualità artistiche condivide il palco con numerosi musicisti di rango mondiale come Ron Carter, Jon Batiste, Melissa Aldana, Arijit Singh, Mary Halvorson, Dream Theater, solo per elencarne alcuni. Dopo il suo album di debutto, Sparks, un’opera profondamente personale che racconta il suo viaggio dall’Italia agli Stati Uniti, scritta per quartetto d’archi e trio con pianoforte, Ludovica Burtone presenta ora il suo secondo album: Migration Tales. Composto per sestetto con flicorno e sax tenore, questo progetto è stato realizzato con il supporto della Café Royal Cultural Foundation e di New Music USA.
Official Site: https://www.ludovicaburtone.com/
Official Page Facebook: https://www.facebook.com/burtonemusic
Instagram: https://www.instagram.com/ludovicaburtone/
Intervista precedente:
https://kultunderground.org/art/41477/
Intervista
Davide
Buongiorno Ludovica e ben ritrovata su queste pagine. “Migration Tales” è il tuo secondo album dopo l’esordio con “Sparks”, album che conteneva un viaggio esplorativo delle tue radici dopo la tua esperienza personale come emigrante negli Stati Uniti. Ora hai riaffrontato in musica il tema dell’emigrazione, ma questa volta attraverso le storie di donne immigrate a New York. Com’è nato questo viaggio, da quale tuo bisogno di esplorare ancora l’identità dell’emigrante e la sua perdita per ritrovare un nuovo senso di appartenenza? E come la musica può essere un aiuto in tal senso?
Ludovica
Buongiorno Davide e grazie nuovamente per l’accoglienza.
Migration Tales è nato in maniera molto naturale, quasi come una prosecuzione di Sparks, e soprattutto grazie all’aiuto economico di due sovvenzioni (La Cafè Royal Cultural Foundation grant, e la New Music USA grant). Dopo aver riflettuto sul mio vissuto personale come emigrante, sentivo il bisogno di ampliare la prospettiva e ascoltare altre voci, in particolare quelle di donne che, come me, hanno lasciato, per diverse motivazioni, il loro paese d’origine, per iniziare una nuova vita a New York City.
Era la pandemia e ho iniziato a sentire in modo ancora più concreto quanto il passaporto che possiedi possa determinare la tua libertà di movimento, i tuoi diritti, persino la tua sicurezza. Ho messo in musica storie in cui spero si possano identificare migranti di ieri, oggi, qua a NYC, e ovunque nel mondo.
Davide
Il mio primo pensiero è andato ai miei nonni paterni, lui sbarcato a NYC nel 1910; lei, sposata per procura, che lo raggiunse nel 1916. E agli umilianti test a cui mio nonno e la “tonnellata umana” vennero sottoposti a Ellis Island. Il secondo pensiero ad Annie Moore, la prima donna emigrante che giunse a Ellis Island quando il centro immigrazione era stato appena inaugurato, aprendole le porte del sogno americano. Una statua in bronzo all’interno del Museo nazionale dell’immigrazione di Ellis Island. Dopo di lei sarebbero sbarcati altri dodici milioni di uomini, donne e bambini in gran parte europei, tantissimi dei quali italiani. Ma Annie trascorse il resto della sua vita in povertà in un sobborgo di New York e morì giovane dopo aver seppellito cinque dei suoi undici figli, sfiniti dalle malattie e dalla denutrizione. Ecco, tu ti sei ispirata a storie di emigranti in particolare e quali?
Ludovica
Io ho fatto delle interviste, fatto quattro chiacchiere di fronte ad un caffè, scambiate storie, opinioni, esperienze e sogni, con amiche, conoscenti, e persone immigrate incontrate per caso. C’è chi emigra per inseguire un sogno, chi è costretto da situazioni economiche o politiche, c’è chi non ha scelta, c’è chi spera di tornare al paese d’origine, chi non potrà mai… Le storie di ieri e di oggi possono essere simili e così diverse, eppure legate da un filo invisibile che attraversa il tempo e lo spazio: il desiderio di una vita migliore. Le storie di emigrazione, che siano quelle dei nostri nonni o quelle dei nostri vicini di casa di oggi, hanno un cuore comune fatto di speranza, sacrifici, nostalgia e resilienza.
Davide
L’ordine delle tracce in un disco è sempre importante e segue una precisa volontà progettuale dell’artista. Importanza che si sta perdendo con l’ascolto digitale sulle piattaforme di streaming. Come si snoda il tuo racconto sonoro e musicale da “Sono parole” al brano di chiusura “Our voices”. Come hai messi in successione i brani di “Migration Tales” e verso quale epilogo?
Ludovica
Sinceramente la scelta è stata dettata in particolare dalla musica scritta, ma può delineare una sorta di percorso emotivo, che parte dall’intimità e dall’identità (“Sono parole”) e si apre via via a un orizzonte collettivo, fino a giungere a una coralità che dà voce a tanti (“Our voices”).
Davide
Milena Casado (flicorno), Julieta Eugenio (sax tenore), Marta Sánchez (pianoforte), Tyrone Allen II (contrabbasso) e Jongkuk Kim (batteria): come si è formato questo preciso ensemble e come avete condiviso questo lavoro?
Ludovica
Oltre ad aver avuto un appoggio economico dalle sovvenzioni che ho menzionato, aiuto fondamentale che mi hanno permesso di organizzare prove in largo anticipo, ho la fortuna di far parte di una comunità di musicisti, amici e persone incredibili.
Ho suonato con ciascuno dei musicisti coinvolti in altri contesti e nel momento in cui ho iniziato a pensare concretamente al progetto, ho parlato con ciascuno di loro individualmente. Molti dei musicisti coinvolti in Migration Tales suonano insieme anche in altri progetti, e credo si possa notare una “facilitá” nel suonare e creare insieme.
Davide
Tuttavia leggo che non sarà lo stesso ensemble che ti accompagnerà in tournée, quanto meno in Italia, dove invece suonerai con Vittorio Solimene (pianoforte), Riccardo Gola (contrabbasso) e Valerio Vantaggio (batteria). Dunque non vi sarà la presenza dei fiati. Come stai lavorando a questi riarrangiamenti?
Ludovica
La maggior parte dei concerti live li presento in quartetto da anni, e principalmente perché non c’è mai abbastanza budget per poter pagare in maniera dignitosa i musicisti (qua si potrebbe aprire una gran parentesi in cui meglio non entrare, ma possiamo dire che tutto il mondo è paese ahah).
Comunque credo che la musica non dovrebbe essere un monolito intoccabile: è qualcosa di vivo, che respira con le persone che la suonano e con i contesti in cui prende forma. È naturale, e direi anche bello, adattarla alle situazioni. Quando manca una sezione come quella dei fiati, non si tratta solo di “togliere” qualcosa, ma di trovare un nuovo equilibrio, magari far emergere dettagli che prima erano più nascosti, dare più spazio all’interplay tra gli strumenti rimasti. Per me è anche uno stimolo: ogni formazione porta con sé una nuova prospettiva anche perché ogni musicista mette un po’ di sè, e ogni concerto diventa un’occasione per riscoprire i brani sotto una luce diversa.
Davide
Oltre alle tue composizioni è presente una tua rielaborazione di Água e Vinho di Egberto Gismonti, grande nome della musica brasiliana per altro figlio di una siciliana e di un libanese, quindi anch’essi emigranti, anche se verso un’altra America, quella del sud? Perché hai scelto in particolare questo brano? Qual è stata la tua chiave reinterpretativa e di riarrangiamento?
Ludovica
Ho scelto questo brano perché è uno dei miei preferiti di Gismonti. Crea un’atmosfera di angoscia e isolamento, per poi però aprirsi a una di speranza. È una reinterpretazione, un arrangiamento abbastanza semplice e lineare, in cui i fiati si mettono un po’ in disparte, oppure contribuiscono con colori di supporto, mentre la voce e il violino “cantano”. Anche nell’introduzione per violino solo ho cercato di mantenere un carattere di incertezza e sofferenza, che si risolve solo nelle ultime parole: “haveria de chegar o amor”, che si traduce con “l’amore sarebbe arrivato” ed esprime un senso di speranza e resilienza. La frase suggerisce che, sebbene l’amore possa essere ritardato o incerto, è un’inevitabilità futura.
Davide
“Our Voices” è stata invece composta e realizzata con la soundscape artist Cleo Reed, nota tra l’altro per le sue performance con Bina48, il robot umanoide alimentato da intelligenza artificiale creato e programmato con i file mentali di una donna afroamericana. Com’è avvenuto questo incontro e come si è articolata la vostra collaborazione in questo brano?
Ludovica
Ho conosciuto Cleo nel 2022 durante le prove e il lavoro su American Symphony di Jon Batiste, in occasione del concerto alla Carnegie Hall, da cui è nato anche il documentario uscito su Netflix. Lei stava lavorando allo sviluppo di una base elettronica per l’opera, e mi ha colpito il suo approccio creativo, sensibile, e fresco. Scoprimmo poi di aver entrambe studiato a Berklee. Per il brano Our Voices volevo trovare un modo diverso di integrare le voci di alcune delle donne che avevo intervistato. Ho sentito che la chiave fosse proprio una collaborazione con una giovane artista newyorkese capace di portare una visione tecnologica. Cleo è riuscita a creare un paesaggio sonoro elettronico utilizzando frammenti di quelle interviste. Insieme li abbiamo uniti a delle registrazioni del mio violino, sulle quali poi ho improvvisato. Il risultato è stato un dialogo aperto tra lingue, storie, identità e suoni del mondo.
Davide
Nella precedente intervista eri impegnata nella scrittura di un libro di arrangiamenti per archi di musica brasiliana e di una raccolta pedagogica di duetti per due violini di canzoni popolari provenienti da svariate regioni italiane. A che punto sono questi lavori? Ne hai intrapresi altri di questo tipo?
Ludovica
Gli arrangiamenti ci sono, i libri no. Pubblicare non è una priorità al momento e sono acque che non ho ancora mai navigato (chissà quante regole eheh)
Davide
Wim Wenders ha detto che “non si parte per andare da nessuna parte senza aver prima di tutto sognato un posto. E viceversa, senza viaggiare prima o poi finiscono tutti i sogni, o si resta bloccati sempre nello stesso sogno”. Qual’è il tuo prossimo sogno?
Ludovica
Credo molto nella forza dei sogni ma li tengo per me, almeno finché non iniziano a camminare da soli. Forse per scaramanzia, o forse perché a volte i sogni hanno bisogno di silenzio per crescere. Ma di certo posso dire che spero di poter portare queste storie musicali lontano…
Davide
Cosa seguirà, oltre alle tue prossime date italiane?
Ludovica
Altre date New Yorkine e spero Europee. Un po’ di tour e concerti live. Nuove collaborazioni in vista ma senza fretta.
Davide
Grazie e à suivre…