New needs need new techniques
Leo records, 2020.
Per il primo album di solo guitar di Andrea Massaria non è opportuno pensare a un modello di riferimento. Massaria si è inventato uno stile alla chitarra elettrica che è espressione di una creatività implementata sulla trasformazione timbrica dello strumento: basterebbero pochi secondi per riconoscere la sua musica, una strana ed avventurosa narrazione che io dico potrebbe benissimo sostituire il linguaggio poco comprensibile dei cartoon di Mickey Mouse. New needs need new techniques è un lavoro che mette in relazione la pittura, vista come anello di congiunzione di tutta l’arte, con la musica ed instaura un ponte immaginario tra le tecniche. Tre espressionisti astratti (Rothko, Rauschenberg e Pollock) filtrati nell’ottica musicale di Massaria, un concetto di trasfigurazione dell’essenza stilistica dei tre pittori tramite l’improvvisazione e una serie di tecniche estensive applicate allo strumento che danno l’idea di un panorama di agenti in successione che brulicano. Massaria usa in maniera calibrata i pedali, gli effetti eco, i riverberi, il circuit bending, gli spezzoni radiofonici, i droni e gli scivolamenti sulla tastiera e per Rauschenberg si inventa persino delle sovrapposizioni vocali. In New needs need new techniques non c’è però solo una trasposizione di umori e di tecniche tra arti differenti e dubito che si possa ascoltare Massaria tenendo solo in mente quanto la nostra memoria aurale custodisce delle essenze dei tre pittori; si può ben dire che pur trovandoci in aree mentali simili, Massaria non fa lo stesso lavoro dei tre pittori americani, ma eccede negli atteggiamenti: se Pollock dipingeva scorrendo nei suoi dipinti, Massaria allora scivola con la sua musica, mentre Rauschenberg riordina in fasi i suoi dipinti, Massaria li appende, se Rothko produce sospensione Massaria provoca il galleggiamento. È un doppio senso quello imposto da New needs need new techniques, che è rimando e negazione dell’azione dei pittori, ma è un modo estremamente intelligente di affrontare l’arte del ventunesimo secolo: qui, in 9 brani (3 per ogni artista) si vive solo un pieno e splendido parcheggio nella musica di Massaria, certamente uno dei chitarristi più originali dell’attuale improvvisazione libera. (Note sul booklet di Ettore Garzia)
Musicista chitarrista e compositore, docente di chitarra jazz al Conservatorio B. Marcello di Venezia ed al Conservatorio A. Buzzolla di Adria. Nato a Trieste il 10/4/65, inizia lo studio della chitarra classica ad undici anni sotto la guida dei Maestri Guido Percacci e Pierluigi Corona. Dopo un’intensa attività come chitarrista classico, dal 1990 si dedica al jazz studiando, tra gli altri, con Joe Pass, Kenny Burrell, Mike Stern, Bruce Forman, Stefano Battaglia, Sandro Gibellini, Nat Adderley Ron Carter, James Williams. Nel 1997 ha vinto a Monteroduni (IS) l’Eddie Lang jazz contest, uno dei più importanti concorsi Europei per chitarristi jazz.
È stato votato molte volte tra i migliori chitarristi jazz italiani nella classifica Top Jazz della rivista Italiana Musica Jazz. Dal 2007 si dedica alla musica improvvisata e all’improvvisazione creativa attingendo da una vasta gamma di influenze che spaziano dal free jazz al soundwork strutturale, dal noise alla musica classica contemporanea. Molto attento all’esplorazione delle naturali possibilità del suo strumento insieme all’uso degli effetti, la sua ricerca è volta a sperimentare ciò di cui la chitarra è capace dal punto di vista del suono e dell’espressione, con e senza preparazione.
Ha un’intensa attività concertistica in Italia e all’estero sia da leader sia da ospite in varie formazioni. Svolge un’intensa attività didattica tenendo seminari in tutt’Italia.
Ha registrato più di venti cd dei quali molti da leader o da co-leader.
Intervista
Davide
Ciao Andrea. Partiamo dal titolo: nuovi bisogni hanno bisogno di nuove tecniche. Quali nuovi bisogni ti hanno dunque indotto a questo lavoro, il tuo primo da solo per sola chitarra; in cerca di quali relative nuove tecniche di esecuzione?
Andrea
Per quanto riguarda il titolo… quali sono i Needs… rifiuto di ciò che è ovvio e stabilito in anticipo, ricerca continua di nuove ipotesi, di nuove soluzioni, sottrarsi alle definizioni e non perdere mai la capacità’ di sorprendersi… e le Techniques… un avvicinamento ad una concezione totale della chitarra, lo strumento utilizzato nella sua interezza compreso l’utilizzo affascinante dei pedali proprio come se fossero essi stessi uno strumento, il non dimenticare nessuna delle immense possibilità sonore e timbriche che lo strumento e gli effetti ci possono dare…
Davide
Pittura e musica nel Novecento si sono incontrate spesso per tentare una contaminazione, per esempio nella nota sinestesia di pittori come Kandinskij e di compositori come Skrjabin. Cosa in particolare ti ha fatto scegliere Rothko, Rauschenberg e Pollock, per quali loro qualità peculiari? Cosa li rende per te più vicini a un mondo sonoro o potenzialmente tale?
Andrea
Il disco è ispirato a tre pittori per me molto significativi ed importanti quali Pollock, Rauschenberg e Rothko.
Di ognuno di loro ho preso la gestualità e l’intenzione più profonda e le ho portate in musica secondo la mia sensibilità.
Di Pollock il gesto ampio, veloce, istintivo. Sua è anche la frase che da il titolo al cd, nuovi bisogni hanno bisogno di nuove tecniche ed e’ proprio quello che attuo in questo lavoro, nuove tecniche chitarristiche e musicali che mi fanno andare oltre ai miei abituali schemi.
Di Rauschenberg l’immediatezza dell’opera e la sua non replicabilità oltre all’uso di materiali “poveri” e di uso comune che applicava alle sue tele, materiali che uso anch’io nelle tracce dedicate al suo lavoro, una radiolina, un ventilatore, oggetti vari ed improbabili presi dal quotidiano.
Di Rothko infine la grande profondità e complessità della sua pittura, apparentemente semplice, uno o al massimo due colori per quadro ma che se visti da vicino iniziano a vibrare ed a modificarsi in mille sfumature proprio come fossero un’orchestra che si svela a poco a poco in tutta la sua ricchezza sonora.
Le tracce denominate PO corrispondono ai Pollock, le Ra ai Rauschenberg e le RO ai Rothko.
Davide
La chitarra elettrica è da te elettronicamente manipolata nell’intento di creare qualcosa come un altro e nuovo strumento capace di generare timbri e suoni inediti (o inauditi). Passando dalle prime sperimentazioni di modificazione degli strumenti musicali, che potremmo far risalire al piano preparato con bassa tecnologia di John Cage e alle tecniche non convenzionali di Henry Cowell su fino alla musica spettrale, alla glitch music, alla circuit bending art ecc., quali sono stati – se ci sono stati – i tuoi principali riferimenti teorici e storici, e in che modo li hai ripresi e ricondotti a una tua più personale ricerca?
Andrea
Ho sempre cercato di sottrarmi alla definizione e per questo ed altri motivi ho sempre cercato di non avere modelli di riferimento ai quali ispirarmi ma al massimo Musicisti (quale strumento suonino non è importante) ai quali guardare con curiosità’ e stupore.
Ogni Musicista e’ differente, ha una sua propria storia musicale e personale e si confronta con problemi diversi da quelli degli altri, ogni Musicista ha la sua propria voce. La ricerca di un mio stile, di un mio linguaggio, di una mia voce, questo è quello che ho sempre cercato di fare e che mi ha portato ad esprimermi con un “sound” completamente mio, riconoscibile e non riconducibile a nessun altro Musicista ed a nessun altro chitarrista.
Ascolto comunque tantissimi “generi” musicali e quelli che hai citato tu (in particolare la musica spettrale ed il noise) fanno parte dei miei ascolti piu’ attenti.
Davide
Cos’è esattamente il “soundwork strutturale”?
Andrea
Soundwork strutturale è un termine preso a prestito dall’edilizia, sta ad indicare un edificio strutturalmente sano dove le sue parti strutturali (colonne, travi, lastre ecc.) non mostrano alcuna crepa. Rapportato alla musica e’ un procedimento di costruzione dell’improvvisazione (o di un brano scritto) che si attua sommando gradatamente o figure ritmiche, melodiche, armoniche o timbriche o suoni o altro materiale musicale strato dopo strato proprio come quando si costruisce un edificio.
Davide
“Un’azione sperimentale è quella il cui risultato non è prevedibile”, disse Cage. Qual è la tua metodologia operativa tra il previsto ovvero l’intenzione di partenza e l’imprevedibile, l’esito finale sconosciuto? Quale controllo eserciti nel mezzo o a posteriori di ogni tua azione sperimentale?
Andrea
L’imprecisione, l’estraneo e l’altrove sono concetti per me imprescindibili per una sincera improvvisazione.
Essere imprecisi permette di sottrarsi alla definizione ed esiste una poetica ben definita dell’imprecisione (penso al concetto base dell’estetica giapponese, il wabi-sabi) dove l’imprecisione non e’ considerata errore ma rifiuto del buon gusto convenzionale o di un’idea stereotipata…l’altrove e l’estraneo come introduzione di un elemento inatteso nel flusso improvvisativo che rimescola le carte e pone la musica nella condizione di muoversi e di sottrarsi a ciò che è…
…nel mio flusso improvvisativo introduco sempre elementi altri, diversi, che non solo mi suggeriscono nuove strade ma strade drammaticamente impossibili.
Ricerca dell’ignoto partendo da fatti noti.
Davide
Suoni e tecniche non convenzionali, ma anche una musica assolutamente non convenzionale per l’orecchio, quanto meno quello comune: “New needs…” è tutto improvvisato, casuale? Se per improvvisare la musica, cioè, specialmente tra più musicisti, è richiesta una condivisione delle convenzioni musicali, di una schema, come è decisa di volta in volta la tua improvvisazione, attraverso quali non-convenzioni e quali tue personali regole strutturali?
Andrea
Si, è tutto improvvisato e senza nessun tipo di sovraincisione ed il caso gioca un ruolo importante ma ci tengo a sottolineare che l’improvvisazione non si improvvisa,
l’improvvisazione è un’attività tutt’altro che casuale, è frutto di anni di studio e di duro lavoro.
È necessario un lavoro disciplinato, che parta dal riconoscimento dei parametri musicali fondamentali (suono, ritmo, melodia, armonia) e utilizzi successivamente le qualità dello strumento (registri, tecniche, possibilità timbriche) e le espressioni (velocità e articolazione, dinamiche, gesti), affinchè l’improvvisazione abbia un suo percorso fatto di inizio, racconto, sviluppo, conclusione.
Più che di casualità quindi parlerei di perdita del controllo cosciente, si agisce senza pensarci ed il pensiero interviene solo dopo, quando le cose sono avviate, per aiutarle a completare il loro corso.
L’arte dell’improvvisare poi e’ un modo d’essere e di vivere non solo musicale ma che comprende molti o tutti gli aspetti del quotidiano, parlare, pensare, lavorare, amare, giocare, camminare e via dicendo.
È un continuo spingersi al di là dei propri limiti, rifuggire la propria banalità’ quotidiana, sorprendersi e stupirsi.
Davide
Per certa musica e per certi suoni è richiesta anche una notazione specifica, talvolta inventata dallo stesso compositore. Penso a Bussotti, Xenakis e molti altri. Tu ti sei mai misurato con questo ulteriore eventuale bisogno di una notazione musicale alternativa?
Andrea
Si molte volte anche perché la notazione tradizionale non riesce e non può minimamente essere sufficiente per esprimere e descrivere l’enorme complessità di significati che stanno alla base di improvvisazioni, io uso delle partiture scritte con un misto di note, di notazioni evocative, di segnali e di parti grafiche spiegate con una serie di didascalie…
Queste sono modalità di scrittura impiegate, oltre che dai compositori classici contemporanei, anche da molti compositori che si muovono all’interno del linguaggio più strettamente jazzistico, come Anthony Braxton o Elliot Sharp.
Per fare un esempio dal mio linguaggio, io posso chiedere ai musicisti ad un certo punto di suonare l’evocazione “spigoli” e questo sarà ben diverso dal caso in cui chieda di suonare l’evocazione “bolle”…
Il musicista è libero di interpretare l’idea “spigoli” come vuole, ma avendo il limite della parola e del concetto non puoi fare tutto tutto quel che vuole e questo gli lascia una libertà estrema, perché lo costringe sì a suonare in modo molto limitante, ma al tempo stesso lo obbliga a usare entro quel limite tutta la creatività possibile per venirne fuori, con l’ulteriore stimolo di dover interagire con gli altri. Una cosa molto, molto difficile, ma enormemente stimolante.
Davide
Qual è invece la tua ricerca più personale legata al suono, alla musica in generale? Cosa rappresenta per te la sensazione del suono a cui dedichi e hai dedicato molto della tua vita?
Andrea
È una ricerca che porto avanti da tempo. Ho sempre avuto la necessità di avere un suono riconoscibile, personale, un suono ed un tocco che mi identifichino (e lo sviluppo di una personalità’ musicale autonoma è quello poi che cerco di insegnare anche ai miei studenti al Conservatorio di Venezia e di Adria, dove insegno).
È da anni quindi che ho intrapreso uno studio meticoloso del suono, naturale e con gli effetti, che posso produrre sulla chitarra per poter sviluppare al meglio la mia creatività espressiva. Questo perché la chitarra ha la possibilità, grazie all’elettronica, di utilizzare effetti che, se impiegati opportunamente, come se fossero loro stessi degli strumenti, ti permettono di cambiare notevolmente la tua tavolozza sonora ed espressiva e gli effetti che uso mi aiutano in questo tipo di ricerca.
Il mio approccio all’effetto non è convenzionale, cerco sempre di forzare l’effetto a produrre suoni non previsti con i quali poi sono costretto a interagire in maniera nuova e inconsueta. Suonando poi con le dita e non con il plettro, ho la possibilità di esplorare vari tipi di sonorità a seconda del dito o delle dita che uso, di come colpisco la corda, dove, con che intensità. La somma del tocco, dell’uso degli effetti e del linguaggio jazz misto al fraseggio classico contemporaneo che ho, creano il mio personale suono finale.
Davide
Cosa seguirà?
Andrea
Tanti concerti in primis e tanti slanci verso l’ignoto…
Davide
Grazie e à suivre…