“Vita candita” è un libro rilassante e di facile lettura, costituito da una serie di racconti che traggono spunto da un dolce o nei quali il dolce appare. Alcune storie sono minimaliste, di stile veloce e conciso, altre più articolate.
A formare la cornice un negozio, la dolceria “Vita candita” e la sua fantasiosa proprietaria – il suo nome non lo scopriremo mai – alle prese con i suoi clienti e le loro storie, appena delineate attraverso una serie di dialoghi.
Il primo interlocutore è un giornalista, che ritornerà diverse volte a contribuirà a rendere famoso l’ originale negozio. Non vi si servono infatti semplicemente dolci ma, insieme ad ogni dessert, viene regalato un racconto: i testi sono contenuti in eleganti plichi che fanno bella mostra in un cestino di vimini, arrotolati e legati con un nastro di raso di colore sempre diverso.
“Vita candita: il piacere del dolce e il piacere di leggere insieme. E poi il piacere di scambiarsi impressioni. Sembra quasi uno slogan, ma è proprio così”. (p.7)
La dolceria è luogo d’incontro e scambio tra persone molto diverse e i racconti – storie a loro volta – si rivelano adatti ai gusti e ai problemi dell’ascoltatore-avventore, che ha scelto un certo tipo di dolce o di bevanda (troviamo infatti il mandarinetto, il te alla cannella, l’Irish-coffee).
La memoria a questo punto va al delizioso film “Chocolat” oppure a “Il pranzo di Babette” – citato dalla stessa autrice – dove di fronte a una buona pietanza si possono rasserenare gli animi e sciogliere le tensioni.
Notevolissima è la varietà dei dessert presentati: dalla sacher al crumble, al cheese-cake, alle crêpes, alla marmellata di pompelmo, con una sensibilità particolare per i dolci siciliani – i cannoli alla ricotta, il torroncino alle mandorle, la granita con la brioche, la cassata – attraverso i quali l’Autrice vuol rendere omaggio alla sua terra, luogo di miti e di mescolanza d’etnie diverse.
“Quel ragazzo che acchiappa meduse, nato in una terra in cui le etnie si mescolano e nessuno se ne accorge. In cui i discendenti dei normanni con gli occhi azzurri non hanno avuto problemi a sposare le pronipoti dei saraceni, in cui madri scure di occhi, pelle e capelli possono mettere al mondo figli con la zazzera di paglia”. (p.135)
Compaiono qua e là anche altre pietanze, degno anticipo dei dolci, che di fatto risultano essere i veri protagonisti dei racconti, essi accompagnano i momenti della vita, talvolta ne cambiano il decorso, ne segnano le tappe o le svolte principali (ad esempio l’ingresso in convento di una diva) con il loro sapore o il loro carattere.
Vi è tutta una sociologia della cucina e del cibo sottesa a questi semplici racconti, che si snodano leggeri e veloci.
I personaggi sono in genere abbozzati, con poche frasi sintetiche l’Autrice li fissa sulla carta e li fa poi muovere con ironia o con simpatia, non escludendo però drammi esistenziali, magari celati da un’aria di spavalderia.
L’eclettismo domina insieme alla capacità di mutare i punti di vista. Come i dolci, anche i racconti sono per tutti i gusti: noir (“Nebbia”), giallo (“Giallo,ma forse no”), gotico (“La signora dalla gonna a balze”), paranormale (“Tre alzatine sul comò”, “E per merenda voglio fare il crumble”), mitologico (“Caccia alle meduse”).
Alcuni rimangono impressi per la vivacità della trama e per il senso d’ironia.
L’incipit de “La cassata rapita” è un tripudio di colori e un elogio al personaggio principale:
“Una cassata dal faccione luccicante. Bianca ed enorme, istoriata con arabeschi di frutta candita. Il verde della zuccata, il giallo delle arance, il rosso delle ciliegie: un caleidoscopio.
Illumina una stanza. Mette gioia. È già una festa in sé”. (p.47)
Proprio qui l’ironia si scatenerà verso i corsi di scrittura creativa e gli autori dilettanti del web riuniti in un agriturismo, dove all’attività letteraria congiungono succulenti pranzi e amori intrecciati, a ulteriore dimostrazione che la cucina è fattore socializzante.
“Per cena: parmigiana di melanzane, pasta alla norma e polpettine su foglie di limone. A tavola la conversazione riguarda l’incompetenza delle giurie dei premi letterari e la malvagità delle case editrici. Esaurito l’argomento si passa ai pettegolezzi sugli amori nati in rete….” (p.57)
L’Autrice ama i luoghi dove le persone s’incontrano, non solo la dolceria, ma il bar, la spiaggia, la festa scolastica, l’agriturismo costituiscono degli autentici serbatoi di tipi umani, di figure portatrici di storie che lei racconta. Non potevano mancare neppure i luoghi virtuali dell’incontro: la chat e le mail.
Alcuni personaggi risaltano come la figura dell’anziana tata che prepara la bavarese ed ha allevato con amore e sapienza figli non suoi:
“Miss Clarissa ha messo ordine in case prive di punti di riferimento e ha colmato il vuoto lasciato da madri nevrotiche e padri troppo presi dal lavoro”. (p.115)
O il vecchio “Benny” che socializza coi giovani imparando a preparare le crêpes.
Vi è pure il rapporto madre-figlio, nodo cruciale dell’esistenza: in “Come una mandorla nel caramello” la vita in famiglia rischia di divenire una prigione:
“E di libertà avevo bisogno: mi sentivo infatti come una mandorla imprigionata nel caramello.
La mia vita, in apparenza piacevole e priva di problemi, era costretta dentro un blocco di zucchero. Un blocco cui, con colpi ben assestati, mia madre cercava di dare forma”. (p.124)
Invece in “Ma è così che si diventa uomini?” i due diversi punti di vista (madre-ragazzo) s’alternano e poi s’intersecano in una rappacificazione finale.
Nell’insieme si tratta di una raccolta rasserenante e divertente, briosa e sciolta, mai noiosa. L’ideale per un momento di relax nella frenesia quotidiana.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Rosalba Perrotta, vive a Catania e insegna Sociologia all’Università. Il suo primo romanzo è stato “Andante con brio” (Melquiades, Milano 2004).
Rosalba Perrotta, Vita Candita, Roma, Giulio Perrone Editore 2006. Collana Onde.