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Intervista con Franco Olivero

11 min read
A dieci anni di distanza dal precedente disco, il nuovo manifesto di ‘ricerca stilistica’ del flautista piemontese: un policromatico lavoro di gruppo tra jazz, world music e improvvisazione. Concerto di presentazione il 15 gennaio a Cuneo
 
Zona Franca: il quinto album di Franco Olivero
 
FRANCO OLIVERO
ZONA FRANCA
Ultra Sound Records
distr. IRD
11 brani, 35.22 minuti
 
“L’essenza di ogni arte risiede nella ricerca di una propria specifica identità creativa ed espressiva”. La frase di Franco Olivero – contenuta nel booklet del nuovo disco Zona Franca – è più di una dichiarazione: è un manifesto programmatico che da anni anima e dirige l’attività musicale del compositore piemontese, curioso, poliedrico, sempre a caccia di nuovi stimoli e attivo al crocevia tra le arti. Pubblicato da Ultra Sound Records e distribuito da IRDZona Franca è il biglietto da visita ideale per capire la musica polimorfica del flautista di Cuneo, che propone un fascinoso album di difficile catalogazione, creato da un organico anomalo, a cavallo tra jazz, world music, musica colta, con inedite collocazioni strumentali, elementi ambient e improvvisativi.
Pubblicato a un decennio di distanza da La sottile funeZona Franca riprende alcuni stralci del passato compositivo di Olivero e li rilancia con un approccio nuovo, aperto più che mai all’interazione con altri musicisti: “Non volevo chiudere in un cassetto una serie di frammenti, appunti, idee sonore che in parte avevano fornito l’impronta di contesti artistici non solo musicali (piece teatrali, reading, danza contemporanea…) o che invece sarebbero rimasti sulla carta o sul mio mac. Da qui l’idea di rifare un disco dopo tanto tempo. La fase di ricomposizione di questo materiale è stata elaborata in questa prospettiva e con la voglia di condividere i miei brani con stimati musicisti”. Olivero ha coinvolto nomi del calibro di Paolo Masia, Francesco Bertone, Marco Allocco, Paolo Franciscone e Chiara Rosso in un’operazione dal respiro collettivo, costruita sulla personalità degli strumentisti: “Zona franca è stato provato e registrato in un “unico respiro” con l’intenzione di creare l’idea di ascoltare un ensemble di musicisti che dialogano e interagiscono in un tempo verosimilmente reale. I musicisti hanno contribuito come singole identità che intervengono con la loro forte personalità: se in Zona Franca non ci fossero stati loro, il disco non suonerebbe così”.   
Flautista versatile e camaleontico, dagli anni ’80 Franco Olivero lavora in diversi contesti – dal teatro alla musicoterapia, dalle colonne sonore alla danza – e questa attitudine multitematica ispira profondamente gli undici brani di Zona Franca. L’album sarà presentato dal vivo in concerto venerdì 15 gennaio 2016 alle ore 21.00, all’Auditorium dell’Annunziata, in via Amedeo Rossi 16 a Cuneo.
 
All compositions by Franco Olivero
Franco Olivero: flauto, sax soprano e tenore, synth
Paolo Masia: piano, tastiere
Francesco Bertone: contrabbasso
Marco Allocco: violoncello
Paolo Franciscone: batteria
Chiara Rosso: voce in Scrooge
 
Info:
Franco Olivero:
Ultra Sound Records:
Synpress44 Ufficio stampa:
 
 
Intervista 

 

Davide
Ciao Franco. Ho ascoltato e riascoltato… davvero un gran bel disco. Cos’è la “Zona Franca” del titolo?
 
Franco 
Un tempo si parlava di “ musica di frontiera “. La zona franca è un territorio, seppur limitato più ampio del limite lineare che determina una linea di frontiera. Un territorio libero. In questo luogo immaginario ho voluto collocare la necessità di sentirmi appunto libero nella mia ricerca espressiva, una zona di respiro, seppur di passaggio; laddove questo termine ( passaggio ) identifica appunto una zona di transito tra i confini di linguaggio caratteristici dei diversi generi ( jazz, world, ambient ecc. ) dei quali la mia musica  si nutre.
 
Davide
Com’è nata questa formazione, in cui è presente anche la brava cantante autrice e raffinata vocalist Chiara Rosso   (http://www.kultunderground.org/art/17917)?
 
Franco
Sostanzialmente ( a parte il pianista ) è la stessa formazione che ha lavorato per il disco di Chiara “Elemento H2o” nel quale ho avuto il ruolo di arrangiatore.
Con essi ( Paolo Franciscone, Francesco Bertone, Paolo Masia, Marco Allocco e la stessa Chiara che ha partecipato come special guest in un brano ) sapevo di poter andare sul sicuro dal momento in cui mi ero prefissato la necessità di avere dei musicisti che cogliessero la mia intenzione progettuale e al contempo si identificassero per la loro peculiare impronta creativa. Se l’album ha questo sound è anche o in buona parte grazie a loro: grandi musicisti, grande vocalist!
 
Davide
Qual è il tema, la ricerca o la suggestione comune che ha guidato la composizione dei brani di “Zona Franca”?
 
Franco
Sotto forma di appunti, idee, frammenti tematici alcuni brani esistevano già in quanto avevano fornito l’impronta sonora di contesti artistici non prettamente musicali ( piece teatrali, reading, danza contemporanea…). Altri brani sono nati ad hoc per questo progetto discografico.
Credo che una delle principali caratteristiche della mia musica, oltre quella stilistica di cui abbiamo detto sopra, sia una evidente carica evocativa: non a caso spesso i miei brani vengono utilizzati in documentari o colonne sonore teatrali.
Ciò che però mi interessava maggiormente in questo progetto era di dare risalto all’interazione, ( interplay, dialogo, chiamalo come credi ) tra i musicisti che partecipano al progetto: un prodotto con tutte le cure e attenzioni che si possono mettere in atto in studio di registrazione d’accordo ma, al contempo, volevo che si mantenesse idealmente l’idea di un ascolto quasi live dove i musicisti si “sentono” e talvolta, per estremo, si “ vedono “, nel senso che te li immagini mentre suonano.
 
Davide
Il jazz non è né un repertorio specifico, né esercizio accademico… ma uno stile di vita, ha affermato Lester Bowie. Cos’è per te?
 
Franco
Vi è un aspetto del jazz tra i tanti, che io prediligo: quello relazionale. Questo è, come ho già avuto modo di affermare, quell’aspetto che io definisco “ sano “. In un progetto jazzistico vi è una comunanza progettuale ( tema, progressione armonica, mood ecc. ) ed un momento dedicato all’appropriazione ed identificazione personale all’interno del progetto stesso ( improvvisazione ). Un progetto riuscito secondo me è quando tutti i musicisti collaborano e compartecipano all’intenzione espressiva e  comunicativa di chi sta facendo il solo.  L’aspetto insano sopraggiunge quando subentra il mero esibizionismo tecnico. Vivo come insopportabile il vizio autoreferenziale, narcisistico e talvolta agonistico che talvolta si crea in certi ambienti jazzistici. Non saprei dirti se il mio stile di vita sia jazzistico, non so… Ritengo di avere una personalità “poco ideologica” e ancor meno ortodossa. Sono, o forse ho la pretesa di essere un libero pensatore che umilmente esprime con i mezzi che ha e  con i quali si sente portato  un’istanza espressiva e comunicativa attraverso la propria creatività e le sue capacità tecniche. Ciò di cui sono certo è che la musica fornisce molte risposte ai miei bisogni intimi, personali ma anche sociali: suonare insieme può davvero diventare un occasione di potente scambio comunicazionale, una autentica forma di condivisione di vissuti ed emozioni.
 
Davide
Torino e il Piemonte hanno una importante tradizione jazzistica. Il jazz italiano si può dire che è nato cioè da queste parti: qui arrivavano i primi dischi americani, qui nascevano i primi locali, i primi collezionisti, qui si facevano i primi dischi, si formavano i primi jazzisti… Qual è, secondo te, lo stato dell’arte del jazz in Italia? E che legame hai con il tuo territorio e la sua storia?
 
Franco
Sono stato allievo di Riccardo Zegna e Gianni Negro, entrambi di origine torinese ed entrambi jazzisti della prima ora.
Considera però che io abito a Cuneo che geograficamente e anche strategicamente è più vicino alla Francia che non alla capitale della regione alla quale appartiene.
Nonostante la nicchia geografica in cui siamo, abbiamo alcuni festival e rassegne di jazz abbastanza importanti ( Monforte, Alba ecc. ).
Mah… stringatamente ti posso rispondere cosi: mi piacerebbe ascoltare più jazz d’autore e, ovviamente portando acqua al mio mulino, avere modo di ascoltare più “contemporaneità“ e contaminazione ma… questo è cio che ricerco io e non so se possa essere estendibile ad un discorso di evoluzione dello stile.
 
Davide
Hai iniziato a studiare il pianoforte per passare poi allo studio del flauto traveerso al Conservatorio Ghedini di Cuneo. E poi altri fiati come i sassofoni. C’è una ragione che ti ha portato a privilegiare strumenti musicali cosiddetti monodici?
 
Franco
A 13 anni passai brillantemente l’esame di ammissione all’allora nascente istituto musicale della mia città ( abitavo in provincia ) per lo studio del pianoforte ma le classi erano già, (un po’ mafiosamente )  formate in precedenza dall’insegnate che si era portata appresso i suoi allievi; mi toccò, se volevo rimanere, scegliere tra violino o flauto e optai per quest’ultimo. Il mio percorso di studi con il flauto non fu mai lineare, entrai ed uscii dall’istituzione scolastica continuando comunque sempre a praticarlo per conto mio anche quando non avevo un maestro che mi affiancava. Continuai ostinatamente gli studi classici con diversi maestri e parallelamente in maniera un po’ carbonara per la mentalità dei tempi, intrapresi un percorso non ortodosso da autodidatta. Di qui se vuoi il mio “ flautismo “ che reca in sé un impronta classica da un lato, ma anche un approccio espressivo molto personale.
Poi gli studi jazzistici, in età più avanzata.
Suonando il flauto sovente in ambienti non classici ho sentito ad un certo punto il bisogno di avere una voce con più “mordente” ed ecco che sono subentrati i sassofoni.
Il pianoforte e i tasti in generale rimangono però i miei primi amori, anche perchè sono abituato a pensare e a sentire la musica più armonicamente che melodicamente dunque, a casa e in contesti non concertistici, spesso mi ritrovo con le mani su dei tasti.
 
Davide
Cosa ricordi più di tutto della tua collaborazione con il grande Gian Maria Testa?
 
Franco
Fu assieme a lui che con i miei 17 anni di allora mi esibii la prima volta di fronte ad un pubblico: aprimmo un concerto di Lucio Dalla nel periodo di “Com’è profondo il mare“ in una situazione di totale disagio di fronte ad una moltitudine di persone.
Dopo questa prima “prova di forza“ ebbi modo di continuare a suonare con lui: avevamo un gruppo formato da due autori di canzoni, uno più politico ( eravamo negli anni del cosiddetto movimento del ’77 ) e l’altro cha affrontava tematiche più ampie, meno ideologiche, più romantico esistenziali se vogliamo: questi era Gian Maria allora.
Ricordo con piacere episodi tipo quando abbandonava il lavoro in un agenzia dove lavorava e veniva a trovarmi (percorrendo 40 chilometri in macchina) per farmi ascoltare l’idea di un brano: canzone che poi riascoltai molti anni dopo in un suo disco di successo.
Le nostre strade si divesero quando cominciai ad appassionarmi di musica etnica, mentre lui continuò linearmente e ostinantamente nel suo percorso cantautoriale.
 
Davide
Negli anni ’80 nasce il tuo interesse per la musicoterapia, diplomandoti presso il C.E.P. di Assisi e frequentando i quattro livelli della formazione secondo il Benenzon Model. Svolgi da anni l’attività di consulente in musicoterapia presso alcune strutture residenziali e diurne per portatori di handicap. Conduci laboratori sull’espressione sonoro-musicale in ambito scolastico e nella formazione socio-educativa. Insegni presso ambiti formativi ed accademici e tieni diversi seminari tematici. C’è in particolare un’esperienza tua personale che possa darci un esempio di come e quanto la musica possa avere un potere curativo?
 
Franco
La musica non funziona come un farmaco il quale, in linea di massima, produce medesimi effetti su ogni persona. La musica agisce su tutte le parti del cervello, sull’anima, sul soma ed ognuno di noi vive la musica in maniera in parte personale ed in parte condizionata da dati sociali e culturali.
Questo per dirti che quando mi relaziono con i miei cosiddetti pazienti ( non mi piace questo termine ma lo utilizzo per una sorta di coerenza di termini professionali ) sono tenuto a sospendere giudizi di tipo selettivo estetico ed occuparmi semplicemente del senso e del significato che una musica o un semplice suono ha per quella persona.
Un espisodio significativo: una canzone ritenuta da me sciocca e musicalmente insignificantete è riuscita a mettermi in contatto diretto con le emozioni represse ed inespresse di un ragazzo down con grandi difficoltà comunicative: ci siamo commossi insieme.
 
Davide
Hai lavorato a lungo anche in altri ambiti artistici come il teatro, il cinema, la danza contemporanea e le arti visive. Cosa ti ha insegnato sopra tutto questa contaminazione tra le più diverse arti? 

Franco
Che i linguaggi artistici recano in sé un grandissimo potere dialogico ed offrono una libertà ed un ampliamento espressivo svincolato da problematiche legate al genere o alle etichette. Come ho già avuto rispondere in una precedente intervista io penso che se fai un lavoro solamente musicale prima o poi devi porti il problema di farlo stare in uno stile riconosciuto ed etichettabile. Se invece, supponiamo, lavoro con un attore l’attenzione è rivolta ad altre componenti: il testo, il modo di esprimerlo di quell’attore la trama emozionale che si vuol creare… Dunque: non mi pongo più il problema se ho o non ho un fraseggio jazz, se faccio  un richiamo melodico che assomiglia ad una ninna nanna di tradizione orale o classica ecc… Ecco da dove arriva il mio eclettismo, dalla necessità ( piacevole ) di creare dei quadri emozionali, delle immagini, delle suggestioni veicolate da quell’immenso universo comunicativo che è la  musica. 

Davide
Se non si costruirà un nuovo umanesimo, il mondo sarà mangiato dalla modernità, disse Einstein. Quali visione e mentalità nuove della vita possono secondo te insegnarci o indicarci la musica e le arti? 

Franco
A non farci accantonare, peggio ancora a dimenticare  la capacità ed il potere creativo dell’animo umano e a farlo riscattare da ogni condizionamento che pregiudichi la sua libertà. 

Davide
Cosa seguirà? 

Franco
In termini pratici un lavoro di organizzazione e promozione di questo lavoro dal vivo, con tutte le difficoltà legate al proporre una musica originale che non passi negli abituali contesti dell’intrattenimento. In termini progettuali un nuovo lavoro di composizione, non so ancora se per orchestra o in piccolo ensemble. 

Davide
Grazie e à suivre… 

Franco
Grazie a te Davide! 

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