Il compositore partenopeo, dopo il successo della sua collaborazione con Monicelli, torna con un’audace ‘trasfigurazione’ di brani classici, da Bach a Vivaldi passando per Mozart e Orff
Killing The Classics: il nuovo album di Vito Ranucci!
KTC – KILLING THE CLASSICS
CNI Music
13 pezzi, 62.56 minuti
“Guardare la “Musica Classica” come si fa con un quadro impolverato, con qualcosa da osservare con soggezione o filtri vari, uccide la Musica stessa e i principi che l’hanno generata. La Musica è l’unica arte che riesce veramente a sopravvivere ai segni del tempo, in quanto la sua “immagine sonora” è soltanto uno dei suoi aspetti. Io cerco di strapparne l’essenza e farla mia, il suo contenuto più metafisico, attraversando quelle armonie per restituirle agli altri pregne della mia personale esperienza del mondo”. È una dichiarazione programmatica e al tempo stesso un profondo atto d’amore quanto dichiarato da Vito Ranucci nel presentare KTC – Killing The Classics (CNI Music). Un’operazione audace, originale e sfaccettata, nella quale il compositore napoletano rilegge e rielabora – anzi: riscrive – alcuni brani classici, dal Medioevo al ‘900, con una chiave post-contemporanea che raccoglie le numerose suggestioni extra-musicali a lui care.
Presentato in Europa con alcuni concerti in Olanda (Istituto Italiano di Cultura/Pianola Museum), un lungo speciale a cura di Peter Krause trasmesso dal network “Deutschlandfunk” (Germania) e un concerto napoletano (Teatro Mercadante) nel dicembre 2013, KTC – Killing The Classics vede finalmente la luce e aggiunge al ricco curriculum di Vito Ranucci un nuovo accattivante esperimento sonoro. “Ho iniziato a lavorare sul materiale di musica sacrache amo particolarmente (Bach, Vivaldi) contaminandolo liberamente ed espandendolo fino al trip-hop o alla techno. Così ho intrapreso un sound che mi affascinava tantissimo e di getto ho voluto continuare senza pormi limiti reverenziali o precauzionali, e cercando di non perdere quella temperatura iniziale. Ho voluto cambiare il posizionamento delle melodie, invertirle, valorizzarne altre, o utilizzarle come background per ulteriori elementi, ho lavorato ai testi originali, al linguaggio, cambiando le strutture, utilizzando macchine e campionamenti. Tutta questa libertà nel rivivere quelle incredibili composizioni ha aperto una finestra sull’infinito”.
Come dichiara Girolamo De Simone, compositore e agitatore culturale sempre attento alla ‘musica di frontiera’, “La prima parola che viene in mente ascoltando Killing the Classics è trasfigurazione’. Non si tratta di rivisitazione, trascrizione, commemorazione, allitterazione… Ranucci parte dai classici e a conti fatti non li uccide affatto, anzi! Il titolo del disco, provocatorio e stimolante, viaggia a braccetto con quello straordinario statement di Giuseppe Chiari, nato in piena era Fluxus: “Quit classic music”, nella consapevolezza che la musica classica è memoria, arricchimento, purché non diventi repertorio, e, subito dopo, gabbia soffocante o cassetto polveroso”. In questa trasfigurazione, in questa uccisione del maestro per trarre nuova linfa e rinnovata ispirazione, sfilano brani di Mozart, Satie, Vivaldi, Bach, Puccini e altri, tra i quali Ranucci inserisce anche composizioni proprie quali Tempus Fugit (ispirata all’Epistola a Lucilio di seneca) e Lost In The Garden, ispirata al Giardino delle Delizie di Bosch.
Una sequenza di connessioni tra diverse forme d’arte, tra colto e popular, nella quale Ranucci si muove agilmente, con ospiti come Ernesto Vitolo e con la sicurezza del compositore esperto e sempre incuriosito da nuove possibilità espressive. Quella sicurezza che aveva affascinato Mario Monicelli, per il quale Ranucci aveva composto il tema principale della colonna sonora di Le rose del deserto (2006), ultimo film diretto dal maestro.
KTC – Killing The Classics tracklist:
1) AMADEUS (V.Ranucci – F.Mazzocchi)
Arrangiamento tratto da W.A. MOZART Symphonie Nr. 40 in g – Moll KV 550 1. Satz
2) NIGHT TO LOVE (V.Ranucci – F.Mazzocchi)
Arrangiamento ispirato a A. VIVALDI “Concerto in Sol, Alla Rustica” RV 151 II mov –
3) TEMPUS FUGIT (V.Ranucci)
4) LA DANSE (V.Ranucci – F.Mazzocchi)
GNOSSIENNE Nr. 1 (E. SATIE)
5) INNOCENCE (V.Ranucci)
Arrangiamento tratto da M. Ravel “Pavane pour une infante défunte”
6) LOST IN THE GARDEN (V.Ranucci – F.Mazzocchi)
7) LOBET DEN HERRN (V.Ranucci – F.Mazzocchi)
Arrangiamento tratto da L. V. BEETHOVEN Symphonie Nr. 9 in d Moll Op 125 3. Satz
8) CUM DEDERIT (V.Ranucci)
Arrangiamento tratto da A. VIVALDI Nisi Dominus Salmo 126 in G mineur RV 608
9) LA VITA (V.Ranucci)
Arrangiamento ispirato a G. PUCCINI Tosca ” e lucevan le stelle”
10) LE CIEL D’HIVER (V.Ranucci – F.Mazzocchi)
Arrangiamento tratto da F. CHOPIN Prélude in E mineur Op 28 Nr. 4
11) IN A LANDSCAPE (V.Ranucci)
Arrangiamento tratto da A. VIVALDI Concerto in G ” Alla Rustica” RV 151 I mov
12) Flößt, MEIN HEILAND (V.Ranucci)
Arrangiamento ispirato a J. S. BACH Weihnachtsoratorium BWV 248 Teil 4 Nr. 39
13) CANTIO VERNALIS (V.Ranucci)
Arrangiamento ispirato a “Carmina Burana” XVI saec.
Vito Ranucci: synthesizers, sax, vocoder, samplers & sounds
Federica Mazzocchi: vocals
Ernesto Vitolo: piano & synth in 1, 7
Arcangelo Michele Caso: cello, viola, violin in 3
Pasquale Termini: electric cello in 4, 5, 7, vocal in 9
Guido Russo: electric upright bass in 4
Gigi Borgogno: guitars in 6
Gabriele Borrelli: percussions in 7
Mimmo Langella: guitar in 9, 12, 13
Mauro Smith: drums in 12, 13
Francesco Motta & Francesco Villani: percussion efx & sounds efx in 12
Marco Vidino: liuto in 13
Info:
Vito Ranucci
www.vitoranucci.com
Vito Ranucci Facebook:
www.facebook.com/vito.ranucci
Synpress44 Ufficio stampa:
www.synpress44.com
VITO RANUCCI
Biografia e discografia
Importante compositore, arrangiatore, saxofonista napoletano, produce musica basata su una fitta rete di riferimenti extra-musicali, biografici, letterari, pittorici, trattati in modo da elevare la composizione musicale ad un rango poetico-filosofico. È considerato oggi tra i maggiori esponenti della scena “World” italiana, nonchè tra i più eclettici compositori della nuova generazione.
Molto attivo nel mondo delle colonne sonore per il cinema ed il teatro, Ranucci collabora con Mario Monicelli per il quale realizza il tema principale della colonna sonora dell’ultimo film Le rose del deserto,con Michele Placido, Giorgio Pasotti, Alessandro Haber. Il brano Cala ‘a sera, dopo la collaborazione con Monicelli, viene pubblicato in svariate compilation, prodotto come singolo, programmato dai maggiori network italiani, e selezionato per il libro-cd Mario Monicelli (Cinedelic), tributo alla carriera del maestro del cinema, in una selezione di 20 tra le più belle musiche dei suoi circa 100 film, insieme a brani celebri di Nino Rota, Ennio Morricone, Nicola Piovani, etc. Collabora con il regista drammaturgo Renato Giordano in grandi produzioni come il Satyricon, rappresentazione teatrale in musica del testo di Petronio Arbitro, con protagonisti Giorgio Albertazzi, Michele Placido e Maria Letizia Gorga, e in Amore e Psiche, rappresentazione teatrale in musica del testo di Apuleio con Peppe Barra e André DeLaRoche, di cui realizza le colonne sonore, etc.
La sua musica già negli anni ’90 era distribuita in tutto il mondo dalla celebre etichetta francese Harmonia Mundi, con gli album Distanze, Terres du sud Italie, Le tarantelle del Gargano, realizzati con la band Neroitalia di cui è leader e fondatore. Nella sua carriera ha inoltre collaborato con una moltitudine di artisti e frequentato i generi musicali più diversi: Roberto De Simone & Media Aetas Teatro, Osanna, Pino De Vittorio, Banco del Mutuo Soccorso, Renato Carpentieri (Museum), Lina Wertmuller (Ferdinando e Carolina), Museo Nazionale Archeologico di Napoli, Radio Rai International (Notturno Italiano), Radio 3 Suite, Jethro Tull, P.F.M., e tanti altri.
L’album Il giardino delle delizie (CNI/ RaiTrade 2006)rielaborazione in chiave contemporanea/urbana del concetto di “musica a programma“ (ispirato all’opera di Hieronymus Bosch),con cui ottiene immediatamente l’ammirazione della critica e degli addetti ai lavori, è la testimonianza tangibile del suo linguaggio innovativo e visionario. Con Dialects, vincitore del premo nazionale Radici 2011, lavoro che esplora i confini della globalizzazione in musica, continua a riscuotere consensi dal mondo della critica e degli addetti ai lavori.
Nel 2013 realizza la colonna sonora del film Ero un Re di Antonio Longo (vincitore Napoli Film Festival). Attualmente è impegnato nella realizzazione della colonna sonora per l’opera teatrale QUANTUM, spettacolo sulla fisica quantistica di Caravan Teatro, e nella realizzazione di un’installazione in 3Dsound denominata NEAPOLIS MACELLUM, sul tema della Napoli Sotterranea. Il suo ultimo album KTC – Killing The Classics, presentato ufficialmente a Napoli nel dicembre 2013, è pubblicato da CNI nell’autunno del 2014.
Intervista
Davide
Buongiorno Vito. Che bel disco! Partiamo dal titolo e dalle riflessioni che mi ha subito suscitato sulla musica classica quando classica non era. La musica cosiddetta classica è ormai una sorta di rito laico fatto di consuetudini e stereotipi che sono in realtà solamente un prodotto del tardo Ottocento, quando scompare la prassi dell’improvvisazione (molto praticata per esempio durante l’età barocca, ancora viva con Mozart e Beethoven), si afferma l’idea di fedeltà al testo prodotto dal compositore, nasce la figura del direttore d’orchestra, i musicisti si specializzano e “accademizzano” così che decade il dilettantismo musicale pur di alto livello (le sinfonie di Beethoven furono eseguite la prima volta da numerosi musicisti dilettanti…): nasce insomma la nostra idea di musica “classica“, esatta, intoccabile, indisturbabile, seria. Il pubblico di un tempo partecipava vivamente, i musicisti e gli autori e le opere stesse interagivano. Mi sembra in realtà che sia questo nostro attuale atteggiamento troppo serio ad uccidere la musica “classica” (il che è accaduto anche al jazz) o la musica tutta, non solo i classici. E ogni rivisitazione dei classici deve fare i conti con questo pregiudizio. Da quale idea centrale è nato il tuo lavoro Killing The Music?
Vito
Bene. Premesso che viviamo nell’era del post-materialismo, dove tutto è consumo, brand, dove l’acquisto e l’ostentazione diventano via di fuga dalle circostanze della vita quotidiana; dove le informazioni e le idee viaggiano ammucchiate su autostrade satellitari a velocità tali, che la gente si sente sempre più in ritardo rispetto al dover catalogare o schierarsi, o al dovere manifestare un suo posizionamento davanti ai fatti, alle cose. Direi che in un tale scenario, per molti sia impossibile cogliere la sostanza di certa Musica prescindendo dal contesto, o guardando oltre “l’esteriorità” di ciò che ascolta. Ascoltare la Musica Classica utilizzando gli stessi codici cognitivi e comportamentali che si utilizzano al supermercato o davanti alla TV, significa cogliere soltanto l’immagine a cui essa può rimandare, fra l’altro da ricercare faticosamente nei meandri oscuri della cultura personale.
D’altronde si è abituati a guardare all’ apparenza.
Così, trovandosi per caso ad ascoltare Bach, qualcuno potrebbe mettersi a fantasticare su abiti barocchi, o parrucche bianche, invece che lasciarsi attraversare dalla grandezza della sua Musica e godere della sua imprendibile bellezza.
In un certo senso la “conservazione” ha preso il sopravvento sull’interazione tra la Musica Classica e i musicisti, ma la Musica e l’Arte in genere, non sono proprietà intellettuale di una casta, sono un’eredità universale, come il sole, l’acqua, una fonte alla quale ognuno dovrebbe continuamente attingere ed alla quale ciascuno può liberamente offrire il suo contributo.
L’idea quindi è quella di strappare l’essenza dei Classici, ed usarli come metafora attraverso cui rappresentare la mia visione, manifestare la mia identità e raccontare la mia esperienza.
Davide
Perché in particolare hai deciso di rivedere alcuni temi classici in chiave affine al trip hop, all’ambient/chillout per le sonorità rievocative, raffinate, distese o all’etno-beat e dintorni?
Vito
Il lavoro è iniziato lavorando ai temi di Musica Sacra che preferisco, Vivaldi in particolare, Musica che è già molto trascendentale nel suo aspetto originale, un potenziamento oggettivo della capacità di contemplare la verità eterna, di manifestare il pentimento e la volontà di conversione, di elevare l’orazione implorante, ma contemplando un mondo ormai decaduto, dove ogni valore autentico, pur restando valore, può risolversi in un’insidia.
Su questi presupposti la musica ha iniziato a produrre il sound che tu descrvi come trip-hop, ambient, etc.
Davide
Satie avrebbe sicuramente apprezzato la tua rilettura elettronica della Gnossiene n. 1, e quel sussurar-cantando di Federica Mazzucchi, molto Montmartre… Bello anche ne “le ciel d’hiver” ispirato al preludio in mi minore op. 28 n. 4 di Chopin.
La parola gnossienne descrive i sette pezzi composti per il piano da Erik Satie che però l’autore non riusciva a catalogare in un esistente stile di musica classica. Satie risolse facilmente il dilemma semplicemente intitolando i pezzi con una parola che coniò appositamente: gnossienne. Che parola-chiave conieresti tu allo stesso modo per i pezzi di KTC per sfuggire anzitempo alle altrui catalogazioni?
Vito
La scelta delle sonorità e delle voci, compreso il loro atteggiamento in generale nell’ambito del disco, sono frutto di studio e ricerca.
Cercavo per questo lavoro una voce quanto più umana possibile, senza sovrastrutture o riferimenti stilistici precisi, lontana dal jazz, dal pop, etc.
Non ci può essere lo spazio per retaggi personali, o esercizi di stile, in un lavoro del genere, dove si cerca un sound complessivo, una visione unica. Ciascuna scena doveva essere rappresentata dagli interpreti giusti, i testi nati per l’occasione dovevano attraversare le melodie centrandone la temperatura, si vuole espandere, secondo la propria visione, l’essenza di un’opera d’arte. Non c’è nessun livello di casualità, ma un grande lavoro di squadra in fase di scrittura e di concepimento dei brani.
Non credo sia il caso di coniare una parola-chiave per l’occasione. La parola è Musica, ma è anche Libertà.
Davide
Da Wendy Carlos, Isao Tomita ai Nice e Uri Caine, molta musica classica è stata rivisitata e riattualizzata. Quali autori contemporanei, approcci o progetti di rilettura di questo tipo hai più apprezzato?
Vito
Ho apprezzato innanzitutto il gesto di questi ed altri, cioè il fatto di affrontare la musica classica partendo dal proprio contesto musicale, cercare di entrare in simbiosi con essa senza dover cambiare o contenere se stessi e le proprie idee.
Mi ha sempre affascinato andare oltre la partitura.
Al conservatorio, anche le dinamiche dovevano essere uguali per tutti, anche l’espressività di una esecuzione veniva misurata secondo logiche più da ispettori del fisco che da artisti.
Forse questa è solo una banale reazione postuma alla mia esperienza accademica?
Comunque da ragazzo ascoltavo spesso un gruppo chiamato Sky, con John Williams, loro facevano delle rielaborazioni che amavo, ma parliamo di molti anni fa.
Le cose che ho più apprezzato di recente invece sono “Four Season Recomposed” di Max Richter, e “Wagner Transformed” di Peter Shwalm, con quest’ultimo abbiamo avuto il piacere di collaborare lo scorso anno in un doppio concerto al Teatro Mercadante di Napoli.
Davide
A proposito di «musique de tapisserie»… Che tipo di approccio o aspettativa hai con la tua musica dal vivo e il pubblico?
Vito
Dal vivo avviene un’espansione dei brani ed il sound è molto profondo e dinamico, ricco di improvvisazioni e atmosfere lunari. Il pubblico sogna ad occhi aperti, l’elettronica disegna visioni sonore. Il risultato è stato entusiasmante, in Italia come nelle parti di Europa che abbiamo toccato finora.
Davide
A proposito di uccidere la musica, classici o meno… Peter Gabriel ha detto, al tempo di una conferenza per presentare Ovo, che Internet può uccidere la musica: «I brani rubati in Rete minacciano soprattutto i giovani artisti, chiudete i siti pirata»… Senza contare il file sharing, YouTube e tanto altro. Cosa pensi di questa situazione che, paradossalmente, aumenta le possibilità di divulgazione e di acquisizione spesso gratuita di tutta la musica, ma si ripercuote sui musicisti e sull’idea sempre più diffusa che la musica riproducibile non debba più costituire un diritto di guadagno per l’artista?
Vito
Penso sia del tutto evidente che l’avvento di internet abbia distrutto il mercato della musica, inteso come vendita di dischi, ma è altrettanto vero che il progresso tecnologico avanza in maniera tale da rendere vetusto ormai l’utilizzo di un supporto fisico come il cd, solo per trasportare 70 minuti di musica, quando on-line appunto si può disporre gratuitamente dell’ascolto/visione di qualsiasi cosa, e quando migliaia di brani posso essere contenuti da un hard-disk microscopico.
Non è certo il gap di qualità che intercorre tra i formati mp3 e cd, a poter fare la differenza, tantomeno il booklet, visto che esistono i siti per le foto, i testi, etc.
A questo si aggiunge un altro problema, cioè l’attegiamento naturale di sconforto che viene davanti ad una tanto sconfinata disponibilità di musica, immagini, etc., da collocarci in una posizione critica, di non-ricerca.
Una pioggia incontenibile di informazioni da noi non richieste, ci pervade in ogni angolo del web, sottraendo molta energia e scopo al nostro viaggio.
D’altro canto la Musica accompagna l’umanità da sempre, ma il suo percorso naturale non può essere tracciato da altri che non dall’evolversi del tempo e della società. Non possiamo parlare di Musica in maniera scollegata dalla realtà senza ricadere nei soliti vecchi errori.
Poi ci sono gli accordi, ma quelli economici, tra le multinazionali, le compagnie telefoniche, gli store on-line, le etichette, che si sono aggiudicati il diritto di guadagno che un tempo era dell’artista.
Davide
Nelle scuole superiori, si studiano storia dell’arte e della letteratura ma non storia della musica. Perché, secondo te, la musica ancora fatica a penetrare nella cultura “ufficiale” e scolastica italiana?
Vito
Il modo più interessante e stimolante di imparare la storia, è farlo attraverso la storia dell’arte e della musica. Ma in Italia si fanno molte chiacchiere e filosofia, poi in fondo la mentalità è sempre più utilitaristica: ciò che fa fare soldi merita attenzione, il resto è fuffa.
Il valore filsofico o psicologico di una disciplina come la musica, da svolgere nelle scuole, ha valore fino a quando ci si confronta nei contesti pseudo-intellettuali, dove è utile ostentare apertura e lungimiranza, ma in realtà le persone statisticamente tornano in massa a casa per sdraiarsi sul divano a guardare la televisione, più che nteressarsi di arte.
Davide
Perché c’è un dipinto intitolato a San Gennaro (di Marco Mazzocchi) all’interno della copertina? Qual è il tuo rapporto con Napoli, città ricca di una grande raffinata cultura e di grandi raffinati talenti sommersi sotto la superficie di ben altri luoghi comuni?
Vito
Come tutti i napoletani amo la mia città, ma ho sempre avuto la necessità di espirimermi al di fuori dello stereotipo di musica “souvenir” di Napoli.
Napoli, oltre ai suoi tesori e luoghi comuni, è una città del presente e qualche volta del futuro, che riesce a dialogare con il mondo anche utilizzando altri linguaggi e tematiche. Così la presenza del San Gennaro vuole essere l’unica testimonianza, e solo iconografica, della nostra provenienza, ma nel disco non vi è traccia di Napoli, se non nel fatto che la musica stessa è una dalle conseguenze dell’essere nati e vissuti in questa città.
Davide
La vera musica, che sa far ridere e all’improvviso ti aiuta a piangere… (Paolo Conte) Cos’è per te la vera musica?
Vito
Quella che ci accompagna, tenendoci per mano, nel labirinto della nostra coscienza, che ci svela aspetti inediti del nostro sentire, della nostra sensibilità, quella è la musica, il resto è intrattenimento.
Davide
Cosa seguirà?
Vito
Tanto altro… A presto!
Davide
Grazie e… à suivre.