KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista con Claudio Sottocornola

16 min read
Working Class!
Approda in rete il nuovo progetto di Claudio Sottocornola
 Dal territorio al web, le lezioni-concerto del filosofo del pop arrivano on line: a partire da sabato 31 marzo, ogni ultimo giorno del mese il professore-performer rende disponibile il suo imponente archivio video dal nuovo sito www.claudiosottocornola-claude.com
Si comincia con 'Teen-agers di ieri e di oggi'
 
 
CLD-Claude Productions
 
Presenta
 
WORKING CLASS
Lezioni-concerto sul territorio
(archivio)
 
 
A partire da sabato 31 marzo 2012, con una scansione mensile che durerà fino a martedì 31 luglioClaudio Sottocornola ha inaugurato il nuovo progetto web Working Class, rendendo disponibili in rete cinque percorsi scelti fra le famose lezioni-concerto tenute sul territorio fra Scuole, Terza Università, Centri Culturali e svariati luoghi del quotidiano. Working Class è la nuova iniziativa del popolare intellettuale lombardo: un "laboratorio" che sfrutta le potenzialità della rete, ribadisce l'eclettismo creativo dell'artefice e certifica un itinerario di animazione culturale del territorio girato in presa diretta,“on the road”, da amici e spettatori che hanno assistito alle performance artistico-musicali, ma anche storico-filosofiche di Sottocornola. La prima tranche ha previsto cinque live antologici che spaziano fra canzoni e dissertazione storica dall’analisi della condizione giovanile (il primo) all’evoluzione dell’immagine femminile (l’ultimo), passando per i cantautori, gli anni ’60, l’evoluzione sociale e del costume nei decenni del Secondo Novecento.
 
A differenza di altri “filosofi del pop”, Sottocornola accetta di contaminarsi con i generi e gli ambiti espressivi come la musica leggera, diventandone egli stesso maschera e icona, come testimoniano i live che ora regala al web. Non senza una punta di ironia, il filosofo-performer ha voluto intitolare l’intero progetto di archiviazione dei suoi incontri  con il pubblico Working Class, a rappresentare la condizione di chi – come lui – si muove sul territorio fra musica, didattica, divulgazione ed espressione globale, a contatto con il pubblico vero e vario che affolla i luoghi del quotidiano. La polemica – anche se velata – contro la dimensione pseudo-istituzionale, e in realtà consumistico-commerciale del fare musica e cultura oggi prevalenti, è evidente tanto che, con moto di orgoglio etico-identitario, il cantante-filosofo dichiara appassionatamente l’utilizzo di tecnologie essenziali come inerenti a un approccio estetico-performativo più “popular”, e perciò autentico e coraggioso, sottolineando il maggior impegno richiesto, per esempio, nell’utilizzo di basi standard, quasi “fogli bianchi su cui scrivere con la propria voce”, senza mimetismi o complicità estetizzanti.
 
Da Mina a Ben E. King, da Battiato alla Pavone, da Battisti a Vasco, il repertorio dell’interprete-filosofo è vasto e riletto con una voce dalle timbriche personalissime, a volte dissonanti e antinaturalistiche, altre più struggenti e intimistiche, ma sempre capaci di toccare le corde delle emozioni. Sottocornola si appropria di canzoni-simbolo del repertorio italiano (e qualche volta anglosassone) fornendone una nuova interpretazione, non alla maniera un po’ intellettualistica degli interpreti decostruttivi ma con una partecipazione emotiva e viscerale, che cerca di scavare a fondo nell’esprimibile,  e in genere corrisponde a una forte, intensa interiorizzazione del brano. L’iniziativa è supportata da Synpress 44, Terza Università, Scuole in Rete, CDpM, Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (Sezione Bergamo), la rivista della scuola Ecole e Moltimedia Fattoria Digitale. Working Class è l'occasione per rilanciare l'architettura del nuovo sito www.claudiosottocornola-claude.com, che propone sintesi e miscellanee delle varie ricerche fra musica, filosofia, immagini e poesia di Claudio Sottocornola.
 
Synpress44 
 
Working Class: il programma
 
Sabato 31 marzo 2012: Teen-agers di ieri e di oggi
Lunedì 30 aprile 2012: Decenni
Giovedì 31 maggio 2012: Anni ’60
Sabato 30 giugno 2012: Cantautori
Martedì 31 luglio 2012: Immagine della donna e canzone
  
Informazioni:
 
Claudio Sottocornola:
 
 
Ufficio stampa Synpress44:
 
 
Claudio Sottocornola e i cantautori
 
 
 
Intervista
 
Davide
Ciao Claudio. Ci racconti com’è nata l’idea delle tue lezioni-concerto e quale obiettivo ti proponi con esse? Qual è più in generale il tuo obiettivo in qualità di filosofo del Pop?
 
Claudio
Credo di aver amato la musica da sempre e, quando ero bambino, ascoltavo la colonna sonora degli anni ’60 provenire dai 45 giri in vinile sul “giradischi” che papà aveva acquistato, con un senso di stupore e meraviglia tutto infantile: da Paul Anka alla Pavone, da Joan Baez ai Beatles,  da  Gene Pitney  a Wilson Pickett… Più tardi, da studente liceale e poi universitario, formato al rigore del post ’68, mi avvicinai al cinema dei grandi autori italiani – Visconti, Pasolini, Antonioni, Fellini, Pasolini, la Cavani – lasciando la musica più in sottofondo. In età adulta però ho avuto una seconda chance e prima, come giornalista, ho incontrato e intervistato i grandi personaggi storici della canzone italiana, da Morandi a Fossati, da Lauzi a Jannacci, da Ruggeri alla Nannini, poi, negli anni ’90, ho deciso di passare io stesso dall’altra parte del vetro a studiare, rileggere e interpretare i brani simbolo della canzone italiana realizzando oltre una trentina di cover pubblicate come “studi” nella trilogia in cd e dvd “L’appuntamento”. Alla fine del percorso era diventato inevitabile, conseguente e logico condividere con il pubblico anche il momento espressivo oltre che quello critico, così le mie lezioni multimediali sulla Storia della canzone, che tenevo prevalentemente per gli studenti, sono diventate lezioni-concerto aperte al più vasto pubblico e mi hanno regalato energia, leggerezza e interattività, aspetti che ulteriormente alimentano la mia ispirazione. Credo che come altre epoche sono state identificate con l’etichetta di Barocco, Romanticismo o Decadentismo, la nostra a partire da una parte del ‘900, sarà designata come “l’età del pop”, ove la  contrazione di popular designa in realtà tutta l’arte e la cultura contemporanea, che ha a che fare con la committenza di massa, la produzione industriale e la comunicazione mediatica. Sviluppare una riflessione, alimentare la consapevolezza critica, suscitare entro questo orizzonte storico e di gusto anche altre modalità di fruizione della musica e dell’arte in genere, è quello che mi propongo con le mie lezioni-concerto e con la mia attività.
 
Davide
Perché questo tuo ultimo progetto si chiama “Working Class” (che significa storicamente anche “lower class” e, talvolta, “proletariat”?
 
Claudio
È una provocazione non priva di ironia quella che ho voluto esprimere nel titolo che contrassegna l’intero archivio delle mie lezioni-concerto, miscelate e riassunte in cinque percorsi-tipo, dai “Cantautori” agli “Anni ’60”, dai “Decenni” ai “Teen-agers di ieri e di oggi”, fino all’ultimo, in Rete a partire dal 31 luglio, su “Immagine della donna e canzone”. Avverto infatti che, di solito, il pubblico ma anche la stampa “ufficiale” vive una sorta di “distorsione” nella percezione e fruizione   di musica, pesantemente condizionato dalle leggi del mercato e dalla logica del consumo, da un atteggiamento economicistico che obbedisce a leggi diverse da quelle della qualità artistica, della libera espressione e ricerca. Gli espedienti per adescare il pubblico sono insomma predominanti e coartanti rispetto al discorso artistico e musicale. Mi sono d’altro canto reso conto che il territorio è invece ricco di gente che fa musica, arte e cultura in modo gratuito, appassionato, spregiudicato e libero da vincoli commerciali, spesso pagando un prezzo altissimo in termini personali, e immodestamente mi sono collocato fra i secondi, la “Working Class” che non usa effetti speciali, che non si vende e lavora sodo, che magari rischia il dileggio perché il purista di turno o il critico docile verso le multinazionali si scandalizzano per l’uso di una base, per un rumore di fondo, per una scenografia essenziale… Cose che io invece ritengo sigillo e marchio di autenticità, garanzia di non-contraffazione: le riprese delle mie lezioni-concerto negli anni, per esempio, sono state realizzate da amici, colleghi, fonici, e quindi presentano un carattere “on the road”, un po’ grezzo e casuale, che tuttavia restituisce tutto il sapore e il gusto della musica sul territorio, a contatto con il pubblico vario e  vasto, delle scuole, dei teatri, di centri culturali e Terza Università… Come le donne indiane che tessevano splendidi scialli lasciando qualche nodo o grezzatura nella trama, credo che l’imperfezione e l’incompiuto, se vitali e autentici, sono parte del processo e del prodotto artistico.
 
Davide
Il Pop, questo sempre più indecifrabile termine… Beethoven è molto popolare… e alcune sue composizioni hanno le “qualities of mass appeal” (penso a Per Elisa o all’Inno alla Gioia)… Infine, oggi più che mai, ha incontrato anche la cultura dei massmedia. Dunque, Beethoven è “Pop”? Il pop è qualcosa di estremamente variabile ed eclettico… Dipende dalla popolarità che segue o ci sono qualità intrinseche che rendono pop il pop? È ancora “Pop” quel che viene intellettualizzato ed elitarizzato, com’è accaduto malgrado tutto con la Pop Art e il Neo-Pop? Cos’è veramente pop?
 
Claudio
Il termine pop fa attualmente parte di un ambito linguistico, fra musica e cultura contemporanea, ancora in formazione, e quindi soggetto a un uso estremamente diversificato e discrezionale, talvolta ai limiti dell’arbitrio. Così c’è chi lo contrappone a rock e lo riferisce ad un contesto esclusivamente musicale, chi, pur applicandolo a fenomeni musicali, lo vede come una grande categoria, inclusiva, per esempio, anche del rock, chi, come me, lo utilizza invece in senso estensivo, a designare tutta la produzione artistica e musicale contemporanea, che si qualifica virtualmente per il suo rapporto con la produzione industriale e la sua committenza di massa e, di conseguenza, contrapponendolo a fenomeni culturali elitari o formalistici, lo vede applicabile, proprio in quanto contrazione di popular, a tutta la cultura di tutti i tempi, quando è stata capace di esprimere il vissuto autentico dei popoli e delle masse, rompendo schemi e convenzioni accademiche. Per questo credo che Beethoven, ma anche Omero, Shakespeare e la Bibbia  siano popular, il che non vuol dire “di successo”, ma visceralmente connessi al vissuto collettivo o personale della gente in un dato tempo storico, anche se i contemporanei non sempre se ne accorgevano. Van Gogh era “popular” ma, ancora in vita, certamente non “di successo”. Inevitabilmente, ciò che è vitale in un momento storico diviene accademia e formalismo in quello successivo (aristotelici e petrarchisti vari insegnano…), questo accadrà anche per il “pop” nella sua accezione storica e determinata (musica, arte,ecc.), ma non per il popular come categoria metastorica, amata da Pasolini e atta a indicare il carattere vitale, autentico e non formalistico di un’opera o modalità espressiva.
 
Davide
La filosofia… ad essa è sempre stato attribuito il compito di unificare tutte le conoscenze, proponendosi come conoscenza suprema… La musica, a sua volta, è un'arte-scienza (se ne ha un sommo esempio nell'ultima fase dell'opera di Johann Sebastian Bach), e in alterne epoche della cultura è stata riconosciuta come arte-sapienza. La collocazione di musica e filosofia, sapienze parallele, nella zona più alta dell'intelligenza, sarebbe la condizione ideale perchè l'una possa fondersi con l'altra, o almeno esserle di potente ausilio per illuminare meglio la comprensione ultima e definitiva del reale. Questo dice Quirino Principe (Musica Viva, Anno XIV n.1, gennaio 1990). Qual è secondo te il rapporto tra musica e filosofia o qual è il tuo personale?
 
Claudio
Parto dal mio rapporto personale. Prima di fare musica in modo attivo, e cioè prima degli anni ’90, il mio modo di pensare era sicuramente diverso, più binario e dicotomico (bene-male, vero-falso, giusto-sbagliato, bello-brutto…), anche se non sono mai stato dogmatico e filisteo, ma aperto al dialogo e al confronto… Quando ho iniziato a studiare e interpretare i classici della canzone contemporanea, e ancor di più successivamente, nella esecuzione live davanti al pubblico, mi sono visto costretto a condensare nell’attimo del’emissione vocale sentimenti contrastanti, esitazioni e slanci, aggressività e pudore, rabbia e dolcezza, e questo mi ha orientato alla sintesi che, appunto, riesce a comporre i sentimenti e le aporie apparentemente più inconciliabili, nel nome dell’unità dell’esperienza. Il mio modo di pensare allora è cambiato, sono diventato ermeneutico, interpretativo, prospettico, e questo mi ha regalato un’intuizione filosofica fondamentale, quella che i francesi riassumono nel tout se tient, che mi fa essere aperto e olistico di fronte al reale, perché capisco che, in esso, tutto ha diritto di cittadinanza ed ogni cosa esprime un bagliore assoluto. Se poi, tradizionalmente, la  filosofia sembra parlare all’intelletto e la musica al cuore, capiamo bene quanto saldare cuore e intelletto potrebbe essere fondamentale oggi anche per superare una crisi di civiltà, che punta ad una formazione solo intellettualistica dei suoi giovani, e trascura completamente la loro sensibilità, lasciandoli aridi e poveri. La filosofia allora può diventare poesia e questa, come voleva Verlaine, “…musica sopra ogni cosa…”.
 
Davide
So che con te posso permettermi uno sfogo… La prima scuola di cantautori è stata torinese! Mi aggancio alla tua lezione-concerto sui cantautori… Da torinese lo devo dire… Si parla sempre di scuola genovese, milanese, poi bolognese ecc. Si continua a dimenticare che tutto però nasce a Torino, più o meno intorno al 1957, con i Cantacronache. Cantacronache è stato, storicamente, il primo esempio di cantautorato oltretutto "impegnato" in Italia (come sai vi fecero parte, oltre che vari cantanti autori,  anche scrittori del calibro di Calvino, Eco, Rodari, Fortini…) L'esperienza dei torinesi, oltre a quella degli chansonniers francesi, è stata assorbita, poi e di pari passo, dalla coeva generazione di cantautori come Luigi Tenco, Fabrizio De André, Francesco Guccini, come lo sarà poi da quella successiva (Francesco De Gregori)… E ti dirò di più… Il padre di De Andrè era torinese, sua madre comunque piemontese; Tenco era di origini alessandrine e visse a Torino con la famiglia, mi pare fino ai 16 anni… Giusto per restare agli esordi del fenomeno, perché non se ne parla mai?
 
Claudio
A onor del vero, proprio nella lezione-concerto che citi, mi pare di avere accennato alla provenienza piemontese e torinese di alcuni fra gli stessi adepti della “scuola genovese”, e tuttavia hai perfettamente ragione: il riferimento al Piemonte o a Torino è meno frequente del riferimento a Genova, Milano, Bologna… Provo a tentarne una duplice spiegazione, storica e sociologica. Da un lato, è chiaro che i cantautori interpellano senza filtri la cultura di massa quando entrano in Hit Parade, quando i loro pezzi vengono interpretati da Mina o dalla Vanoni, quando diventano la colonna sonora di masse studentesche, come certi brani di Guccini o De André negli anni ’70, e quindi un fenomeno forse un po’ élitario come “Cantacronache” è oggetto di un interesse più selettivo e di culto, proprio come accade per la canzone politica o il neo-folk degli anni ‘70. D’altro canto, occorre constatare che la cultura musicale nel nostro Paese è molto scarsa, soprattutto relativamente alla canzone pop, rock e d’autore, acriticamente subita dai più, e quindi, quando ci si rivolge a un pubblico generico, si preferisce optare per contesti e categorie in qualche modo da esso facilmente riconoscibili e riconducibili a qualche esperienza più o meno nota di ascolto. Comunque, divagando un po’, ti confesso che uno dei miei autori preferiti è l’astigiano Paolo Conte, di cui ricordo una bellissima intervista che gli feci nei primi anni ’90.
 
Davide
Molte canzoni straniere hanno avuto ancora più impatto sugli italiani che non le canzoni autoctone. Perché hai scelto di parlare del pop attraverso canzoni prevalentemente italiane e non pure inglesi, americane eccetera.
 
Claudio
Hai ragione, e la mia stessa formazione musicale – ti sarai accorto – attinge abbondantemente proprio alle influenze anglo-americane, così che il mio gusto e la mia proposta musicale, nell’occuparsi di cose italiane, risulta sempre molto borderline, attenta a valorizzare tutti quegli episodi di rottura che segnano l’incontro della nostra canzone col mondo anglosassone (urlatori, teen-idols, stranieri in Italia, interpreti atipiche come Pavone-Nannini-Berté-Rettore…), o comunque con un gusto innovativo per la propria epoca e ambiente, molto più che gli episodi legati alla tradizione  e alla melodia. Questo mi viene forse anche dall’aver vissuto negli anni ’70, ai tempi del liceo, un bellissimo anno di studio negli Stati Uniti, che mi ha permesso di recuperare tutto l’ascolto del rock and roll anni ’50, da Elvis Presley a Eddie Cochran, da  Bill Haley a Jerry Lee Lewis, dai Fats Domino a Brenda Lee, mentre in televisione passavano “Happy Days” ed io mi immergevo  in una specie di magico e imprevisto “Ritorno al futuro” alla Zemeckis… Perché allora, a parte qualche episodio come “Stand by me”, “Don’t play that song” o “Ebb tide”, fondo la mia analisi sui fenomeni musicali italiani? Probabilmente perché quando si indaga occorre circoscrivere, mentre Italia e America sono pianeti divergenti, e il discorso si accavallerebbe confondendosi anche per le diverse scansioni cronologiche; probabilmente poi perché al fondo di tutto c’è una dimensione archetipica, fondativa e mitologica che, per quanto mi riguarda, attinge al fatto che io da bambino guardavo sì all’America, ma dall’Italia, e questo approccio  mi è rimasto, al punto da proporre nel mio repertorio  quasi sempre ciò che sa di commistione fra le due aree… E devo anche aggiungere che proprio questa mia passione per le “cose italiane” (parlo della “cultura italiana”, non amo la sua politica e talvolta nemmeno la sua società clientelare…) è anche la mia condanna: chi vuole studiare, ricercare, esprimere, spesso trova all’estero quel che gli viene negato qui, ma se ciò vale per la fisica, le scienze, la matematica e l’economia, chi come me si nutre, fra musica e poesia, dell’immaginario italiano, non ha scampo. E’ destinato a rimanere, e quindi a soccombere senza alcun grazie di ritorno.
 
Davide
Qualche anticipazione sulla prossima ultima lezione-concerto, Immagine della donna e canzone?
 
Claudio
Delle cinque è la più solare e vivace. Riprende in gran parte una mia lezione inaugurale del 2004, dall’Auditorium di Piazza della Libertà a Bergamo, con la  presenza  di molti studenti, ma anche con inserti di lezioni-concerto in giro per l’Italia fra Lombardia e Toscana, Calabria e Veneto, e ben rappresenta il vissuto del mio fare musica di fronte a un pubblico eterogeneo, studenti, adulti di centri culturali, utenti di Terza Università, ecc. Il contenuto è fra i miei più replicati. Infatti, mentre la canzone d’autore rappresenta di suo un patrimonio ormai istituzionalizzato in Italia, la canzone femminile, fino a poco fa quasi sempre proposta da interpreti  più che da autrici, è stata spesso oggetto di un giudizio sommario, che la confinava all’ambito dell’intrattenimento “leggero”, dequalificandola rispetto a quella dei colleghi cantautori. Ebbene, io voglio dimostrare che si può essere rivoluzionari e geniali non solo scrivendo un testo, una melodia o un arrangiamento, ma anche interpretando, con l’emissione della voce, la gestualità scenica, la maschera teatrale, e tutto questo le donne, le interpreti della canzone italiana, lo hanno fatto in modo esmplare, soprattutto negli anni ’60, quando dive come Mina, la Pavone, Patty Pravo, Milva o la Vanoni sono diventate vere e proprie icone di stile, ologrammi in grado di affascinare e suscitare nell’immaginario collettivo, specialmente femminile, una profonda evoluzione che ha coinvolto società e costume, e fortunatamente generato in tempi più recenti cantautrici come Gianna Nannini, Carmen Consoli o Elisa. Come avrai capito, il mio tributo alla canzone femminile è anche un modo per affermare una mia intenzione di poetica, che ritiene più centrale, nell’espressione artistica, lo stile che non il contenuto materiale di un messaggio. Inoltre, il gioco di declinare al maschile un repertorio pensato prevalentemente per le donne, è troppo stimolante e mi orienta a tentare strade nuove per restituirne la magia restando rigorosamente me stesso.
 
Davide
Quali canzoni secondo te rappresenteranno al meglio l’ultimo decennio 2000/2010, magari tra 20 o 30 anni?
 
Claudio
Mi prendi alla sprovvista: su tempi che consumano così in fretta è difficile effettuare una selezione significativa. Non penso poi necessariamente al “meglio”, ma a ciò che è sufficientemente popular e, insieme, dotato di intrinseca qualità artistica, per restare nell’immaginario di massa… E cito a caso, un brano come “Baciami ancora” di Jovanotti, corale e intergenerazionale (oltre che correlato a un immaginario cinematografico), un brano di Renga, una delle più belle voci contemporanee, per esempio “Raccontami”, paragonabile all’eleganza di Bindi in “Il nostro concerto”, “Sei nell’anima” della Nannini, come sempre fra Puccini e il rock … Se poi vogliamo parlare di emergenti del decennio, potremmo pescare nel repertorio di Carmen Consoli e Tiziano Ferro (“L’ultimo bacio” e “Sere nere”), o addirittura spostarci sul territorio minato dei talent e scegliere un tormentone estivo, “Non ti scordar mai di me “ della Ferreri (equivalente de “La partita di pallone” anni ’60)… Forse ti può stupire il mio cercare anche nell’ambito di brani “commerciali”, ma il popular pesca nel ritornello o in un ritmo, in ciò che resta nella memoria, nell’immagine semplificata e sintetica che può piacere anche a un bambino…
 
Davide 
Il progetto continuerà nel 2013? Come si evolverà?
 
Claudio
Credo che il lavoro di archiviazione delle mie lezioni-concerto, e quindi la loro pubblicazione in Rete prima, in cofanetto dvd poi, continuerà, coinvolgendo, per esempio, gli spettacoli tenuti con gli studenti nel 2011 per celebrare i 150 anni dell’unificazione italiana con cinque lezioni-concerto presso l’Auditorium della Provincia di Bergamo, con il titolo ispirato alla celebre canzone di Ivano Fossati, “Una notte in Italia”, e i miei reading di poesie e canzoni tratte dalle sillogi “Giovinezza addio. Diario di fine ‘900 in versi” e “Nugae, nugellae, lampi. Quaderno di liceo”. Ritengo che tutto il lavoro fatto sul territorio per una decina d’anni meriti di essere documentato, anche per il suo carattere abbastanza pionieristico nell’ambito della “musica leggera”, che quasi mai è oggetto di insegnamento, e dove il ruolo del critico e dell’interprete tendono di solito a divergere, a differenza di quanto accade nella mia esperienza.
 
Davide
Altri progetti e lavori in corso?
 
Claudio
Sì, è da tempo che spero di poter pubblicare una raccolta delle mie interviste ai grandi personaggi storici della canzone e dello spettacolo italiano, realizzate  fra gli anni ’80 e ’90. Alcuni di loro non sono più fra noi: penso, per esempio, a una struggente Mia Martini, alla “regina della canzone” Nilla Pizzi, agli inossidabili Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, a Nino Manfredi e Alberto Lattuada, a Bruno Lauzi e Pierangelo Bertoli, a Mino Damato e Giulio Bosetti. Sono stati, in fondo, loro ed altri artisti intervistati, con la creatività e la simpatia che li contraddistingueva, a ispirarmi il desiderio di “passare dall’altra parte del vetro”,  nel corso degli anni  ’90, e da lì ho poi incominciato a guardare al mondo con altri occhi, pensandolo  in modo più creativo e… musicale.
 
Davide
Grazie e à suivre…

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti