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Anche i proletari hanno un cuore.

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Anche i proletari hanno un cuore.

"Marius e Jeannette" è un bel film ambientato in un quartiere proletario della periferia di Marsiglia. Pur assumendo i toni della commedia, "Marius e Jeannette" è un preciso spaccato di una parte ben definita della società francese, quella periferica, proletaria e meridionale che ben conosciamo anche in Italia. Non a caso, infatti, il tema conduttore del film è la canzone "O’ sole mio", quasi ad allargare l’orizzonte dell’opera a tutto il Mediterraneo così che Marius e Jeannette non siano semplicemente il guardiano di un cementificio in demolizione e la cassiera appena licenziata da un supermercato ma due lavoratori comuni come se ne possono trovare in Spagna, in Italia o in Portogallo.
Jeannette (Ariane Ascaride) ha perso due mariti in altrettante tragiche "morti bianche" (un incidente sul lavoro ed un’improvvisa sparizione) ma ciò non le ha tolto la forza di crescere con dignità due figli e protestare di fronte al titolare che non rispetta la sua schiena dolorante di cassiera. Marius, interpretato da Gérard Meylan, ha finto di essere zoppo per essere assunto come custode di un esteso cementificio in corso di smantellamento. Anche lui ha un passato difficile ed un presente che non sembra essere migliore. I due si scontrano-incontrano ma poi finiscono per formare una coppia, per la gioia del vicinato di Jeannette, una sorta di variegata famiglia allargata espressione delle diverse anime del proletariato dell’Estaque, il nome del quartiere dove tutti vivono. Jeannette è naturalmente piena di dubbi ed incertezze, Marius sembra non volere precipitare definitivamente in un rapporto che lui stesso ha instaurato ed incoraggiato ma dopo una presunta crisi l’unione è definitivamente salda. Non è la storia in sé che rende il film di valore, quanto ciò che emerge da essa ed il come è raccontata. Gli episodi che caratterizzano il film toccano tanti aspetti di quella parte della società.
Caroline, un’anziana vicina di casa di Jeannette, è stata rinchiusa in un campo di concentramento e le è rimasta una voglia di vivere veramente invidiabile. Ne sa qualcosa il coetaneo Justin che, insegnante in pensione, si sente ancora vivo parlando con i bambini e cenando a lume di candela proprio con Caroline. Dedé non riesce a far dimenticare a sua moglie che, per tentare di smuovere qualcosa, ha votato persino il Fronte Nazionale di LePen. La figlia di Jeannette decide di punto in bianco di andare a studiare a Parigi perché "là c’è qualcosa". Il figlioletto più piccolo, nato dall’unione con un uomo di colore, si sente musulmano anche se ascolta con interesse le spiegazioni dell’ateo Justin. L’ex-titolare del supermercato dove lavorava Justin si ritrova a vendere mutandine casa per casa a causa di una ristrutturazione. Tutto ciò è raccontato in modo semplice e coinvolgente, delicato e profondo.
Non ci sono situazioni grottesche o volgari per stimolare il riso facile. Il regista Robert Guédiguian, insieme con il co-sceneggiatore JeanLouis Milesi, rende l’atmosfera piacevole e simpatica senza ricorrere a questi espedienti che, effettivamente, avrebbero estraniato un po’ alcuni aspetti del film. I luoghi dove si svolge il film sono quasi esclusivamente due: il cementificio ed un piccolo cortile. Il set è volutamente semplice e lo spazio e semplicemente organizzato a cerchio, attorno al protagonista del momento.
Non ci si sbellica, non si piange ma si riflette ed è più che sufficiente. Un bel film quindi che ha anche meritato la Palma d’Oro della prestigiosa sezione "Un certain regard" all’ultima edizione del Festival di Cannes, oltre ad altrettanti importanti riconoscimenti nazionali.


Michele Benatti

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