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Simulazioni

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Simulazioni

Il vecchio Darman afferrò il bastone ed uscì dalla sua misera capanna, inoltrandosi nel bosco. Era il suo turno e, con molta calma, si dispose a percorrere il breve cammino che lo separava dall’abitazione di Sadek. Da tempo immemorabile si incontravano immancabilmente al calar del sole, alternandosi nelle reciproche visite, per giocare a scacchi.

Con ogni probabilità la partita in corso si sarebbe conclusa quella sera stessa.

Sadek lo accolse come sempre, senza troppi convenevoli, e lo invitò a prendere posto dall’altro lato della scacchiera, accanto al fuoco.

Dopo che ciascuno di essi ebbe fatto una o due mosse, Darman ebbe un sussulto quasi impercettibile. Una incredibile svista del giorno precedente, ma che solo ora gli appariva in tutta la sua gravità, aveva probabilmente pregiudicato la partita, volgendola a favore del suo rivale: l’intero dispositivo strategico, predisposto con tanta cura, improvvisamente crollava per una piccola crepa.

Il fuoco, mantenuto vivo per difendersi dal freddo, guizzando faceva saltellare furiosamente sulla scacchiera di legno le ombre dei pezzi. Erano intagliati forse rozzamente, ma non senza un certo realismo. Sta di fatto che quella scena di battaglia, all’occhio del profano, sarebbe potuta sembrare cruenta e dinamica come la realtà che doveva simulare.

I lineamenti dei re e degli alfieri, appena abbozzati, apparivano vivi e spigolosi, quasi che quei piccoli visi potessero essere tesi per le responsabilità della guerra od ossuti per le privazioni che ne derivavano.

Darman si sorprese immerso in queste considerazioni, inconsuete per chi sia concentrato sulla disposizione dei pezzi. Gli sviluppi del gioco lo stavano convincendo che l’esito della partita fosse segnato: il suo avversario ormai procedeva spedito verso il successo finale.
Avrebbe dovuto abbandonare, ma qualcosa sembrava impedirglielo.

L’azione di Sadek si faceva incalzante. Il tempo che si concedeva per riflettere su ciascuna mossa diveniva sempre più breve. La sua regina, quella bianca, insidiava ormai il re nero senza alcun ritegno. Egli stava certamente cercando di attribuire un senso all’ostinazione con la quale Darman continuava ad impegnarsi nel gioco, sebbene la disfatta fosse inevitabile.

Fu allora che avvenne un fatto senza precedenti: nonostante la partita fosse ancora in svolgimento, Darman ruppe il silenzio:

– Non riesco a capire il motivo del furioso accanimento con cui, questa sera, la regina bianca insiste nel perseguire un fine criminoso: la morte di un re ormai sconfitto -.

Il vecchio Sadek rimase come folgorato. Una violazione così plateale, sia pure di una regola non scritta -quella del silenzio- gli pareva del tutto inspiegabile. Nulla di importante, che lui sapesse, poteva essere accaduto nella vita del suo rivale, tale da giustificare una simile enormità. Ebbe come un presentimento e strinse il bastone che giaceva sulle sue gambe conserte. Percepiva l’ira di Darman e sapeva di aver motivo di preoccuparsene.

Qualcosa di insolito si agitava nella mente di costui: non era la prima volta che gli capitava di perdere, ma in questa occasione pensava che sulla scacchiera si stesse perpetrando una grave ingiustizia. La donna bianca sembrava ghignare ferocemente: quello non era più un semplice gioco, si faceva sul serio. Questa volta la partita non sarebbe finita così, con un banale scacco. La complessità del mondo, la fitta rete delle relazioni interpersonali, che viene espulsa dal terreno dello scontro quando questo assuma la forma di una scacchiera, stavano rientrando prepotentemente in gioco perché uno dei contendenti non sembrava più disposto ad accettare una schematizzazione così rozza.

No. Quella partita sarebbe continuata ad un livello più adeguato: se simulazione doveva essere, lo sarebbe stata in tutto e per tutto.

Così il re nero ebbe un piccolo fremito e ruotò lentamente il capo verso destra. Allora Sadek non poté più trattenersi e sibilò:

– Darman! Ricordati di quanto stabilimmo la prima volta! Solo normali partite a scacchi, lo hai dimenticato? –

Ma il vecchio parve non sentirlo e continuò a guardare la scacchiera con un mezzo sorriso sulle labbra. Ormai gran parte dei pezzi neri si agitava sopra di essa, e perfino quelli catturati vi salirono nuovamente brandendo una piccola ma micidiale arma. Sadek imprecò a denti stretti e subito dopo anche i pezzi bianchi iniziarono a subire la strana trasformazione:

– Maledizione!…Darman! –

– Taci, – rispose questi – e continua a giocare! –

– Era stabilito: NIENTE MAGIA,…Darman! –

Ma ormai era tutto inutile. Il quadrato di legno era teatro di uno scontro armato in piena regola e già due pedoni dei bianchi, sfavoriti dal fatto di aver perduto l’iniziativa a quel nuovo livello di gioco, giacevano sul terreno. L’esito della partita non era più scontato come prima.

Anzi, sembrava proprio che il fattore sorpresa né avesse determinato il ribaltamento. Ma ora era Sadek a poter parlare di ingiustizia: con le regole consuete avrebbe vinto senza dubbio e adesso non era affatto disposto a subire una sconfitta in quel modo così poco ortodosso. I suoi pezzi erano ormai costretti manifestamente in difesa quando iniziarono
lentamente a dilatarsi.

L’altro, resosi conto dell’accaduto, balzò in piedi con la residua agilità del suo vecchio corpo, stringendo convulsamente il bastone dal quale fluiva ormai un livido bagliore. Le dimensioni raggiunte dai pezzi non consentivano che la partita potesse svolgersi sulla scacchiera, la quale non era più che una scheggia tra le mille in cui erano ridotte le misere suppellettili della casa.

Entrambi gli avversari erano preda di un’ira sconfinata. A quel punto nessuno dei due avrebbe mai potuto accettare la sconfitta. Quando gli alfieri ebbero raggiunto dimensioni umane, ormai la maggioranza dei pezzi era rimasto vittima dello scontro. Darman e Sadek, completamente incapaci di controllarsi, finirono per compiere la violazione suprema, concedendo ai rispettivi re l’uso dei propri poteri.

Il risultato fu che i due sovrani in guerra iniziarono ad infoltire senza posa le fila dei propri eserciti. Come cellule tumorali impazzite, pedoni, torri e cavalli si scindevano moltiplicando il proprio numero con una terrificante rapidità. Nella bolgia che seguì quella sciagurata decisione la stessa capanna finì completamente distrutta e i due vecchi maghi fuor di senno, raggiunti da una quantità soverchiante di poderosi avversari, finirono per soccombere.

La foresta circostante e la regione di cui faceva parte che, fino ad allora, erano stati luoghi pacifici e silenziosi, conobbero le atrocità di una guerra lunga e feroce: gli agguati notturni subiti da incaute retroguardie, le attese interminabili di un segno del nemico, il lamento dei feriti abbandonati nella terra di nessuno, le grida di assalti condotti senza speranza di sopravvivenza, l’ansimare angosciato delle precipitose ritirate, l’odore greve della morte.

Dopo molto tempo i due re iniziarono a sentirsi vecchi e stanchi e a condividere le sofferenze dei due eserciti in conflitto. Quasi nello stesso momento decisero di incontrarsi e quando lo fecero convennero sul fatto che quella guerra dovesse conoscere una fine.

– La cosa che più mi angoscia, – disse il bianco – e mi pesa non poco doverlo confessare, è che non riesco più a ricordare il motivo per cui ci battiamo con tanto accanimento –

– Ma questo accade anche a me! – rispose il nero – Cosa può averci spinto a tanto odio reciproco? Io vi conosco solo ora e mi accorgo di non avere nulla di personale contro di voi o contro i vostri –

– È tempo di porre fine a questa guerra insensata. Eppure è necessario risolvere in qualche modo la disputa che, pur avendone perduto memoria, ci ha reso nemici acerrimi –

– Allora non ci resta che una soluzione – disse il re nero, e direttosi verso una tenda la scostò, svelando un ambiente separato, al centro del quale si trovava un piccolo tavolo.

I due sovrani si sorrisero in cenno di assenso: sopra il tavolo c’era una scacchiera.

Giovanni Bruni

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