Se l’uomo fallisce
nel conciliare Giustizia e libertà,
fallisce in tutto.
A. Camus
La vigente Legge Fallimentare italiana[1], non è stata mai riformata in modo sistematico e completo ma ha subito nel tempo numerosi interventi correttivi, il più rilevante dei quali si è realizzato da parte del Governo (su delega del Parlamento), tra gli anni 2006 e 2007[2]. Di conseguenza a partire dal 1° gennaio 2008, la legge riformata ha raggiunto il suo assetto definitivo andando a regolare compiutamente il fenomeno del “fallimento” di persone fisiche e giuridiche (società), fisiologico e necessario in una moderna e disciplinata economia di mercato.
Spesso, infatti, è auspicabile che un’azienda gestita in modo scorretto e antieconomico, portatrice costante di danni derivanti da mancati pagamenti a fornitori e dipendenti, possa essere esclusa forzatamente dal sistema, con la certezza che i beni e i mezzi finanziari residui ad essa appartenenti siano re immessi nel circuito di mercato, attraverso la loro attribuzione ad altre entità più capaci e competitive.
Il fallimento si definisce come una “procedura concorsuale”, con esso cioè si apre il concorso dei creditori alla “liquidazione” del patrimonio dell’imprenditore insolvente al fine di distribuire tra loro il ricavato secondo il criterio della par condicio creditorum[3]. Tutto ha inizio, appunto, con lo stato di “insolvenza” in cui si trova l’imprenditore[4], che non è più in grado di onorare regolarmente, con mezzi normali di pagamento[5], le obbligazioni assunte alle scadenze concordate[6]. In questo caso l’imprenditore stesso, il Pubblico Ministero[7] o, più frequentemente, i suoi creditori, possono rivolgersi al Tribunale, sezione speciale Fallimentare[8], con apposito “ricorso”, per far dichiarare il fallimento dell’impresa[9].
Per poter essere assoggettati a fallimento é necessaria la sussistenza oltre che del requisito “oggettivo” dell’insolvenza citato prima, anche di requisiti “soggettivi”; la precedente formulazione dell’art.1 della Legge escludeva dal fallimento i “piccoli imprenditori” in quanto tali, e aveva generato molti contrasti interpretativi nella Giurisprudenza su questa nozione[10], che, perciò, non viene più utilizzata dopo la riforma e sostituita da una serie di “requisiti dimensionali” massimi che tutti gli imprenditori commerciali, individuali o collettivi, devono possedere contemporaneamente per non essere assoggettati al fallimento e al concordato preventivo[11], e cioè:
1) aver avuto un attivo patrimoniale nei tre esercizi antecedenti la data della domanda di fallimento non superiore a 300.000 euro;
2) aver realizzato nei tre esercizi antecedenti la data della domanda di fallimento ricavi non superiore ai 200.000 Euro;
3) avere una esposizione debitoria (anche di debiti non scaduti), non superiore ai 500.000 Euro[12].
Nei confronti di questi soggetti, i creditori possono solo avviare procedure esecutive individuali, che sono invece vietate durante le procedure concorsuali[13].
In estrema sintesi la procedura che conduce alla sentenza di fallimento si sviluppa così[14]: a seguito del ricorso, atto iniziale dell’iter, “Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento[15]“; la riforma, inoltre, ha rafforzato l’attività istruttoria esercitabile dal Tribunale, in quanto non è più sufficiente che l’imprenditore depositi una “situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata” per gli accertamenti di rito[16]. Il Tribunale può ora disporre anche il deposito dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, fatta salva la possibilità di richiedere all’imprenditore ulteriori informazioni con carattere di urgenza[17]. Il Tribunale può delegare ad uno dei suoi componenti (Giudice relatore) l’audizione delle parti[18], che possono nominare consulenti tecnici di parte, per la particolare natura delle materie trattate. Con significativa innovazione, il legislatore ha, poi, disposto che, nel corso della fase prefallimentare, al fine di evitare che i tempi dell’istruttoria possano compromettere il patrimonio del debitore, con conseguente danno delle ragioni dei creditori, il Tribunale possa emettere “provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio del debitore o dell’impresa oggetto del provvedimento”. Si tratterà, per esempio, di sequestri conservativi[19], che opportunamente trascritti sui pubblici registri, renderanno inattaccabili dai singoli creditori beni immobili o mobili registrati (automezzi) del debitore o compresi nell’azienda, ovvero, di “pronunce inibitorie” al pagamento di somme o di atti di disposizione del patrimonio assunte contro il debitore, o anche la vendita immediata dei beni deteriorabili. Una particolarità, non prevista prima del 2006, consiste nel fatto che, se l’ammontare dei debiti scaduti (già esigibili) e non pagati dal debitore non supera gli euro 30.000, la domanda di fallimento non può essere proposta.
L’art.16 L.F. stabilisce che: “Il tribunale dichiara il fallimento con sentenza, con la quale:
1) nomina il giudice delegato per la procedura;
2) nomina il curatore;
3) ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori, entro tre giorni, …;
4) stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura;
5) assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza di cui al numero 4 per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione.
Gli organi attori del fallimento dichiarato sono dunque: il Tribunale, il Giudice Delegato, il curatore ed il comitato dei creditori. Come detto, il Tribunale provvede con sentenza sulle istanze di dichiarazione di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa e con decreto sulla domanda di ammissione al concordato preventivo, da esso approvato (“omologato”). Il Giudice Delegato ha funzioni di vigilanza e di controllo della regolarità della procedura. Il curatore gestisce le operazioni materiali della procedura e provvede alla liquidazione dell’attivo. Il comitato dei creditori vigila sull’operato del curatore autorizzandone gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge ovvero a richiesta del Tribunale o del Giudice Delegato.
Il curatore appone i sigilli sui beni e nella sede dell’impresa, assistito dalla forza pubblica. Il denaro contante, le cambiali e gli altri titoli di credito, le scritture contabili devono essere consegnate al curatore e depositate presso la cancelleria del Tribunale. Nel più breve tempo possibile il curatore redige l’inventario descrivendo le attività compiute. Stila un elenco dei creditori desumibili dalle scritture contabili e dagli altri documenti acquisiti. Subito dopo la dichiarazione di fallimento, il cancelliere forma un fascicolo del processo, contenente tutti gli atti, i provvedimenti ed i ricorsi[20]. Di seguito il curatore procede ad avvisare i creditori (anche via fax o e-mail). I creditori devono presentare ricorso d’insinuazione al passivo entro 30 giorni dalla notifica e spedirlo tramite posta o in altra forma anche telematica allegando eventuali documenti.
Gli eventuali documenti non presentati con il ricorso possono essere depositati almeno 15 giorni prima dell’udienza. Sulle domande di insinuazione decide con decreto motivato il giudice delegato. Il curatore, dopo aver esaminato le domande e i documenti, predispone il cosiddetto stato passivo e provvede al suo deposito in cancelleria almeno 15 giorni prima dell’udienza. Si procede alla discussione dello stato passivo in udienza e se questo è accettato viene comunicato a tutte le parti dopo il deposito in cancelleria del decreto di approvazione (esecutivo) del Tribunale[21]. Le domande tardive di crediti devono essere presentate entro un anno dal deposito del decreto esecutivo.
Entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario, il curatore predispone il programma di liquidazione. Viene presentato ai creditori e al G.D. Dopo l’approvazione, si procede alla vendita dei beni, dell’azienda o per rami d’azienda, cessione dei crediti anche di natura fiscale secondo metodologie “competitive” (come l’asta pubblica). Il G.D. può sospendere la vendita se ricorrono gravi e giustificati motivi, su istanza del fallito o del comitato dei creditori, o in caso di offerta migliorativa. Il progetto di riparto (distribuzione) dell’attivo è predisposto dal curatore e diviene esecutivo se, una volta trascorsi i 15 giorni, i creditori non propongono reclamo[22].
Per concludere farò cenno a un aspetto di particolare interesse, ovvero gli effetti personali della dichiarazione di fallimento per il fallito[23]. Nel vigore della normativa del ’42, erano previste rigide sanzioni nei confronti del debitore per sua sfortuna dichiarato fallito. Da questa ottica punitiva ed afflittiva discendeva una serie di disposizioni contenenti limitazioni alla libertà personale dell’imprenditore fallito[24].
L’art. 48 L.F. prevedeva che la corrispondenza diretta al fallito dovesse essere consegnata al curatore che aveva il diritto di trattenere quella riguardante interessi patrimoniali e il dovere di mantenere il segreto su quella con contenuto diverso. Una volta dichiarato il fallimento dell’imprenditore, l’amministrazione postale doveva esserne informata, onde provvedere a consegnare la corrispondenza direttamente al curatore[25]. Il nuovo art. 48 l. fall. prevede che sia lo stesso fallito (per le società gli amministratori o i liquidatori) a consegnare al curatore la corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento.
Al fallito rimane la disponibilità della corrispondenza (che continua ad essere recapitata al suo indirizzo) e sarà egli stesso a dover valutare la corrispondenza da consegnare al curatore. In quest’ottica il fallito, in armonia con l’intero impianto normativo, non viene più considerato un colpevole da punire, ma semplicemente una delle parti coinvolte dalla vicenda fallimentare a cui richiedere un comportamento “collaborativo” nei confronti del curatore.
L’art. 49 L.F., nella sua formulazione precedente disponeva che “il fallito non può allontanarsi dalla sua residenza senza permesso del giudice delegato e deve presentarsi personalmente a questo, al curatore o al comitato dei creditori ogni qual volta è chiamato, salvo che, per legittimo impedimento, il giudice lo autorizzi a comparire per mezzo di mandatario[26]“.
Il carattere innovatore della riforma sul tema emerge già dalla rubrica del riformulato art. 49 che passa da “obbligo di residenza del fallito” a “obblighi del fallito”. Viene ora previsto un più blando obbligo di comunicazione al curatore delle eventuali variazioni di residenza o domicilio[27]. In base alla previgente disciplina, dopo la sentenza dichiarativa di fallimento il fallito veniva iscritto presso il Pubblico registro dei falliti presso la cancelleria del Tribunale. L’iscrizione comportava per il fallito l’assoggettamento ad alcune incapacità e a determinate limitazioni della libertà personale e la pubblicità che ne conseguiva costituiva la “nota infamante che doveva connotare il fallito”.
Un secondo tipo di incapacità è direttamente collegato alla perdita dell’elettorato attivo e passivo ricollegata alla dichiarazione di fallimento[28].
Dalla perdita di questi diritti, posti come requisito indispensabile per l’iscrizione ad alcuni ordini professionali, discendeva l’impossibilità per il fallito di esercitare l’attività di: avvocato, commercialista, ragioniere, dottore in scienze agrarie, professioni sanitarie, mediatore, agente e mediatore di assicuratore, notaio, magistrato, Giudice di Pace, geometra, cancelliere, segretario ed Ufficiale Giudiziario, impiegato civile dello Stato. La riforma abroga l’art. 50 e di conseguenza il registro dei falliti.
L’art. 152 del D.Lgs. 5/2006 abroga anche il sopraccitato art. 2 del Testo Unico in materia di elettorato attivo e passivo che comminava la perdita della capacità elettorale per il fallito. Conseguentemente, a decorrere dal 16 gennaio 2006 (data di entrata in vigore della riforma), non essendo più operante la predetta previsione di legge, gli elettori già cancellati dalle liste elettorali a seguito di dichiarazioni di fallimento hanno riacquistato il diritto elettorale.
La riforma della disciplina fallimentare è in vigore da tre anni e se ne può dare una prima valutazione. Scesi già nel 2006, i fallimenti hanno toccato un minimo storico nel 2007, per poi tornare a crescere decisamente (per motivi evidentemente “congiunturali”), alla fine del 2008 e nel 2009[29].
Ma è da sottolineare il più ampio ricorso al concordato preventivo a dimostrazione che le imprese hanno apprezzato la riforma, disponendo di uno strumento in più per reagire alla crisi. Infatti, il ritorno dei fallimenti è stato accompagnato da un boom dei concordati preventivi. Profondamente riformato nel 2005 e modellato sul Chapter 11 statunitense[30], il “concordato preventivo” è pensato per favorire una precoce ristrutturazione di società in temporanea difficoltà, attraverso un accordo con i creditori e il pagamento parziale dei debiti. Ovviamente, la sua reale utilità per il mondo delle imprese italiane andrà valutata considerando, nel medio periodo, gli esiti per le aziende che ne hanno fatto uso (e per i creditori che hanno accettato i piani di ristrutturazione); se solo in pochi casi il concordato sarà la premessa di un successivo fallimento, mentre per un numero significativo di imprese sarà l’occasione per una ristrutturazione di successo, avremo allora la dimostrazione della sua efficacia.
Non c’è nulla di così umiliante come vedere
gli sciocchi riuscire nelle imprese
in cui noi siamo falliti.
Gustave Flaubert
[1] REGIO DECRETO 16 Marzo 1942, n.267 DISCIPLINA DEL FALLIMENTO, DEL CONCORDATO PREVENTIVO, DELL’AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA E DELLA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, GU n. 81 del 06-04-1942. Cfr. per ulteriori approfondimenti anche le voci relative al fallimento su Wikipedia, l’enciclopedia libera.
[2] D.Lgs. 9-1-2006 n. 5 Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della L. 14 maggio 2005, n. 80.Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 gennaio 2006, n. 12, S.O.
D.Lgs. 12-9-2007 n. 169 Disposizioni integrative e correttive al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nonchè al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della L. 14 maggio 2005, n. 80. Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 ottobre 2007, n. 241.
[3] Art.2741 Codice Civile, in base ad esso tutti i creditori hanno uguale diritto di soddisfarsi sui beni del debitore, beni che fungono da garanzia c.d. generica per il creditore, a meno che non sussistano cause legittime di prelazione (Privilegio-titolo di preferenza in considerazione della natura del credito, alimenti, tributi ecc.- Pegno-Ipoteca), in presenza delle quali il creditore, che ne è titolare, avrà diritto a soddisfarsi, con precedenza su ogni altro, sul ricavato della procedura esecutiva.
[4] In Italia viene definito imprenditore (a norma dell’articolo 2082 del Codice Civile – Libro V, Titolo II, Capo I, Sezione I): chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Il codice civile parla di “imprenditore” e non di impresa; l’impresa, sostiene la dottrina, è il frutto dell’attività dell’imprenditore.
[5] Non è insolvente l’imprenditore che, quand’anche incapace di soddisfare le proprie obbligazioni con mezzi propri, goda di credito, tramite finanziamenti, in particolare bancari, o per mezzo di dilazioni di pagamento da parte dei creditori.
[6] Art.5 Legge Fallimentare. Il termine descrive la situazione patrimoniale dell’imprenditore da un punto di vista funzionale; gli inadempimenti (o altri “fatti esteriori”) dimostrano l’incapacità dell’impresa di svolgere la sua funzione di creare ricchezza dopo aver almeno compensato le spese con i ricavi. Lo stato di insolvenza deve distinguersi dallo stato di crisi. Mentre l’insolvenza è permanente la crisi è temporanea.
[7] Il PM agisce, qualora ravvisi una situazione di insolvenza risultante da un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o latitanza dell’imprenditore, dalla diminuzione (per sottrazioni fraudolente) dell’attivo, o ancora quando l’insolvenza risulti da una segnalazione proveniente dal Giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.
[8] Il Tribunale fallimentare è l’organo principale dell’intera procedura fallimentare. Nomina, revoca e sostituisce gli organi della procedura, quando non è prevista la competenza del Giudice Delegato. Il tribunale del luogo ove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa dichiara il fallimento ed è quindi competente a conoscere tutte le azioni che ne derivano. Tutti i suoi provvedimenti sono pronunciati per decreto.
[9] Alla “liquidazione coatta amministrativa” vengono assoggettate determinate imprese, che per la loro rilevanza pubblica (ad esempio Istituti di credito, grandi società di assicurazione) sono escluse per legge dal fallimento; cfr. art.2 Legge Fallimentare.
[10] Art.2083 Codice Civile (Piccoli imprenditori). Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia.
[11] Il Concordato Preventivo (Art.160 e seguenti Legge Fallimentare), è un istituto giuridico che, nell’ordinamento italiano permette ad un imprenditore in crisi di eliminare tutti i debiti in capo alla sua impresa, tramite un piano di ristrutturazione dei debiti e di pagamento di parte di essi tramite qualsiasi mezzo. L’impresa in crisi presenta ai propri creditori un piano contenente una proposta finalizzata al risanamento dell’impresa e al soddisfacimento dei creditori. Il contenuto del piano, e quindi le concrete modalità operative di salvataggio, è lasciato alla libera determinazione dell’impresa, la quale pertanto può discrezionalmente trovare la soluzione migliore.
La competenza a ricevere la domanda (con ricorso), spetta inderogabilmente al Tribunale del luogo in cui si trova la sede principale dell’impresa.
Art.168 L.F. Effetti della presentazione del ricorso.
Dalla data della presentazione del ricorso e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore .
[12] Quanto all’onere della prova, spetta al debitore dimostrare di essere in possesso dei requisiti per l’esenzione. Dunque il ricorso di fallimento e’ circoscritto a casi con patrimoni e debiti molto consistenti.
[13] Art.51 Legge Fallimentare. Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali. (pignoramenti e sequestri n.d.A.)
Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento
[14] Art.15 L.F.
[15] “…nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento”
[16] “Con l’articolo in esame è stata espressamente e compiutamente regolamentata la fase dell’istruttoria prefallimentare, salvaguardando i principi del contraddittorio tra le parti, della paritaria difesa, del diritto alla prova e della speditezza del procedimento “, relazione illustrativa al D.Lgs n.6/2005 (altro atto normativo che ha inciso sulla legge).
[17] Il quarto comma della norma disciplina compiutamente il contenuto del decreto di convocazione prevedendo che esso contenga l’indicazione che il procedimento è volto alla dichiarazione di fallimento, al fine di richiamare l’attenzione del debitore sull’importanza del procedimento stesso. Cfr. www.fiscoetasse.com, riforma del fallimento.
[18] In tal caso, il giudice delegato provvede all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori (la prova/dimostrazione di fatti), richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.
[19] Art.671 Codice Procedura Civile: il sequestro conservativo ha la finalità di garantire il credito e di assicurarne la realizzazione, quando si ha fondato timore di perdere la garanzia del credito. In pratica il vincolo del sequestro “blocca” e rende indisponibili, contro il pericolo di alterazioni e sottrazioni, beni mobili o immobili del debitore o somme di danaro a lui dovute.
[20] Il fascicolo può essere consultato dal comitato dei creditori e dal fallito.
[21] Avverso il decreto di esecutività dello stato passivo si può proporre opposizione, impugnazione e revocazione. Su queste domande, con procedimento unificato, decide entro 30 giorni il tribunale, accertandone le motivazioni indotte dall’imprenditore fallito o da terzi.
[22] Altrimenti il programma diviene esecutivo previo accantonamento delle somme contestate sulle quali decide il Tribunale.
[23] Cfr. Documento n. 7 del 30 marzo 2007, in http://www.irdcec.it/ sito dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili.
[24] La disciplina italiana in materia di sanzioni personali per il fallito non era già da tempo in linea con gli standard previsti dalle convenzioni internazionali, con il conseguente rischio di sanzioni da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a carico del nostro Paese.
[25] Al fallito rimaneva comunque il diritto di “prendere visione” della corrispondenza. L’obiettivo di agevolare lo svolgimento della procedura concorsuale aveva indotto il legislatore a prevedere in capo al fallito una limitazione del principio di libertà e segretezza della corrispondenza sancito dall’art. 15 della Costituzione. Tale restrizione, che si giustificava esclusivamente ai fini della procedura, cessava con la chiusura del fallimento.
[26] Il fallito che non avesse ottemperato a tali obblighi poteva essere accompagnato dalla forza pubblica, su disposizione del giudice, ed era passibile di sanzioni penali (reclusione da sei a diciotto mesi) ai sensi dell’art.220, l. fall.
[27] Cade dunque l’obbligo di residenza e, di conseguenza, viene meno la legittimazione al ritiro del passaporto del fallito. Un’ulteriore modifica prevede l’eliminazione della previsione che voleva l’accompagnamento coattivo del fallito che non ottemperasse all’ordine di presentarsi innanzi al giudice. In suo luogo viene disposto che il fallito si presenti personalmente (o tramite mandatario in caso di legittimo impedimento o di giustificato motivo) al giudice, al curatore o al comitato dei creditori qualora occorrano informazioni o chiarimenti.
[28] Art. 2, n. 2, del Testo Unico in materia di elettorato, D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223.
[29] QUESTA RIFORMA NON È UN FALLIMENTO , di Magda Bianco e Guido Romano in www.lavoce.info sezione “Giustizia” del 18.06.2009.
[30] Il Chapter 11 (letteralmente ‘Capitolo 11’-Chapter 11, Title 11, United States Code) è una parte della legge fallimentare statunitense che permette alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto finanziario. Il Chapter 11 è utilizzabile sia delle imprese, in forma societaria o individuale, sia da privati cittadini (nell’ordinamento statunitense, infatti, anch’essi sono soggetti al fallimento). L’utilizzo di gran lunga prevalente è però quello da parte delle società.