Una mente pericolosa, capace di dividersi, di pensare una cosa e farne un’altra. La narrazione procede su un doppio binario, quello delle azioni e quello dei pensieri di Mark Whitacre. La voce della sua mente parla per aneddoti, punti di vista capovolti, insolite considerazioni, parziali verità.
Le truffe che Mark Whitacre porta avanti, di nascosto da tutti, creandosi una doppia vita da informatore del FBI, sono velate da un candore che trasforma le sue frodi in invenzione esistenziale, capacità di ridefinire se stessi e la propria vita. Whitacre cita molte volte i romanzi di Grisham e vede al cinema Il socio con Tom Cruise, quasi anche lui si sentisse il personaggio di un film o di un romanzo. In questa capacità di riscrivere la vita, di usare la bugia come spunto narrativo (i genitori morti, i milioni di dollari rubati) si manifestano tutte le meraviglie di ogni racconto, in cui lo scrittore può abbandonare la sua identità per entrare in quella (fittizia o reale) di chiunque altro. Mark Whitacre adotta le tecniche del romanziere per vivere, se questo poi sia un disturbo bipolare del suo cervello o una smodata fantasia non ci è dato di saperlo.
Intorno a lui, poi, i veri crimini Quelli portati avanti dalle multinazionali. In cui menzogna, inganno, profitto e speculazione sono parole all’ordine del giorno. Organizzazioni che costruiscono la loro gerarchia sul possesso del denaro, sull’accumulo di beni, sulla corruzione come pratica aziendale.
Soderbergh sfruttando a pieno le potenzialità narrative offerte dalla sceneggiatura e dal suo protagonista sviluppa un racconto che procede sempre per svolte imprevedibili come sono le rivelazioni di Mark Whitacre. E si dimostra ancora una volta un regista eclittico, capace di attraversare generi e storie diverse. Capace di costruire una convincente opera sul Che come una pellicola che con la sua apparente leggerezza smaschera molti dei mali della società in cui siamo costretti a vivere.
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