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Questo è trendy!

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Questo è trendy!

Il suo cervello impartiva ordini piuttosto precisi ai vari organi e muscoli del corpo, ma quest’ultimo proprio non ne voleva sapere di rispondere. Alzati, svegliati, muoviti, parla, ascolta, guarda: niente di tutto ciò rientrava nei suoi piani. Sarebbe rimasto in quello stato di coma vigile per tutto il giorno se lo squillo del telefono non gli avesse trapanato i timpani, nonostante l’ormai totale estraneità raggiunta. Era, naturalmente, la Barbara, Baby per le amiche o per chi aveva già capito cosa nascondevano le sue belle cosce. Trendy, lista, house, disco, firma, cavalli, cocaina, extasy, casino, tutti, pass, coda, drink, sgradito, in, out, omaggi, mancare, esserci, inaugurazione, serata, forte, bello, digiei, pierre, grana, uichend.
Erano sempre (e solo) queste le parole con le quali la Baby componeva qualcosa di sensato, qualsiasi altro percorso grammaticale l’avrebbe sconvolta. Quando la sentiva non poteva che tradurre istantaneamente in razzismo, intolleranza, menefreghismo, avidità, superficialità, vuoto e piattezza ma quando gli spegneva la macchina e lo accarezzava non c’era niente da fare. Quella sera però rispose ancora più volentieri al solito invito preregistrato, l’energia che il trillo aveva risvegliato era dirompente, irrefrenabile e si rese conto che si sarebbe divertito, oltre ogni più rosea previsione.
“Ok, ci vediamo al solito pub e dopo esserci fatti un paio di birrette ce la battiamo al buco, prima che si formi la coda” Grande. Il suo sforzo d’essere trendy era andato a buon fine e anche la Barbara ne era rimasta sorpresa. In preda ad una possessione accomodante, le racconta una serie di frottole sulla sua infanzia, balle innocenti e divertenti sul periodo di spensieratezza cerebrale che, normalmente, termina verso i dodici anni. La Barbara riderebbe anche se le si leggesse la Bibbia, ma non era importante. Il successivo ingresso fu trionfale: abilmente superata la fila grazie alla tessera della
Barbara e conquistato subito un posto al bar, dal quale si consumava rigorosamente gratis perchè il barista era un ex della Baby, il più era fatto. Non restava che accennare con la testa a quelle fastidiose canzoni, salutare qualche vipera e attendere, rigorosamente, il segnale di chiusura che normalmente corrispondeva al segnale d’apertura dei cancelli del paradiso della Barbara. La cascata delle sue parole gli confondeva i pensieri che mai come ora dovevano invece restare nitidi. Non la smetteva di ripetere, secondo rigorosa rotazione, tutte le parole del momento. La strada, rettilinea e malinconicamente sgombra, sembrava asfaltata apposta per lo scopo. La
Barbara cominciava già a dare i primi segni di astinenza da sesso, lui non rispondeva come avrebbe fatto di solito. Il suo braccio destro cerca di afferrare la cintura di sicurezza, lei (carina, però) lo aiuta abbracciandolo e gliela allaccia pure. La sua macchina costa troppo poco e l’abiesse è un sogno; l’inchiodata è tremenda, persino le sue braccia faticano a tenerlo lontano dal parabrezza e la cintura stringe come un boa. La Barbara invece, in barba ai consigli di sicurezza stradale della mamma, si schiaccia come una mosca contro il vetro sporcando maleducatamente l’abitacolo, dignitosamente pulito dal di lui padre, modesto edicolante. L’ha fatto. Assassino, vigliacco, bastardo ma ormai l’ha fatto. Ha addirittura cercato una giustificazione per se stesso urlando “Un gatto!” prima della frenata.
Nemmeno un siamese avrebbe comunque giustificato un’inchiodata di quel genere. L’ha uccisa e con lei ha ucciso alcune pagine del vocabolario, dalle quali aveva già cancellato a biro le parole indigeste sulle quali invece fa leva la pubblicità. Era così tranquillo che le formalità burocratiche furono veramente solo formalità.

Michele Benatti

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