Juliette ha un passato doloroso e tragico alle spalle. Quindici anni di galera per aver ucciso il figlio. Un crimine disumano e orribile che sembra aver divorato la coscienza della donna. L’incontro con la sorella, Lea, riporta Juliette verso la superficie della vita, quella linea immaginaria che segna il luogo dove è ancora possibile respirare e quindi sentire il mondo e forse emozionarsi. Il corpo e soprattutto lo sguardo di Juliette (interpretata da una magnifica Kristin Scott-Thomas) trattengono al loro interno tutto il dolore di questa donna. In lei il passato ancora vive, intrappolato dentro occhi che sembrano sempre in bilico tra la percezione degli avvenimenti presenti e l’impossibilità di rimuovere quelli accaduti, che divengono sul suo volto segni fisici di una tristezza che non potrà mai passare.
Nel rapporto tra le due sorelle si manifesta con molto pudore il tentativo (silenzioso, fatto di sguardi, pieno di emozioni) di un riavvicinamento umano che non è solo rappacificazione ma anche una diversa forma di conoscenza, un modo per guardarsi di nuovo e riconoscere nell’altra una parte di se stesse. Juliette e Lea sono due figure speculari, che cercano delle risposte che forse solo loro possono darsi. Non è un caso che il luogo in cui dialogano o si confrontano sia una piscina, un enorme ventre amniotico in cui i processi di osmosi fra le due donne avvengono in maniera naturale e fluida. Solo in quel luogo Juliette sembra trovarsi a suo agio, al di fuori della piscina la vediamo sempre rigida, fredda, trattenuta, incapace di comunicare (come le fa notare il direttore dell’ospedale in cui sta cercando lavoro) eppure anche dove il dolore ha lasciato i suoi segni più visibili sembra ancora esserci la speranza che la vita possa tornare a scorrere e allora Juliette, a piccoli passi, cerca di ricongiungersi con se stessa e poi con le altre persone che ha intorno (le figlie adottive di Lea, un professore amico della sorella). L’uso espressivo del primo piano esplora l’attento lavoro fatto dalle due attrici sui propri volti, gli occhi della Scott-Thomas diventano interi mondi in cui si racchiudono tragedie che non hanno nome. Il rimosso di Juliette viene portato lentamente alla luce fino alla scoperta della causa che l’ha spinta ad uccidere il figlio di sei anni. Una risposta racchiusa in un foglio. Da un lato delle analisi, dall’altro una poesia d’amore. E le parole di Juliette che raccontano, alla fine, cosa sia successo. Che diventano urla e lacrime e un’esplosione liberatoria. E Lea che l’abbraccia e l’ascolta. Non una confessione, solo la tremenda consapevolezza del fatto che, nelle profondità del cuore, non è l’amore ad essere eterno ma le ferite che esso ha lasciato.