Dopo un concerto che non si è svolto nel migliore dei modi, Stefano (Valerio Mastrandrea) decide di lasciare per un po’ Roma per tornare nella grande casa dei suoi genitori nella provincia romagnola. Ad accoglierlo oltre al padre e alla madre ci sono anche la sorella e il fratello. Stefano con la sua personalità anarcoide e perennemente scazzata inizierà a portare un inevitabile scompiglio nella casa in cui è tornato a stare, finendo per scoprire parecchie cose nascoste su di lui e sugli altri membri della sua famiglia.
Il tono di questa commedia (che sa essere anche amara e malinconica) è spontaneo e divertente e trova nel personaggio di Stefano e nel suo rapporto con chi ha intorno (oltre ai familiari, i vecchi amici del paese) il centro di una visione del mondo e delle cose defilata, ironica, a tratti venata di tristezza, la visione comunque di uno che si è posto ai margini della vita, che non si è dimenticato del proprio ribellismo adolescenziale e che ha lasciato il mondo chiuso e dorato di una ricca famiglia borghese (il padre è un industriale) per tuffarsi nella musica e nei concerti.
Mastrandrea si trova a suo agio nei panni di questo musicista, in un ruolo che sembra appositamente costruito sulle sue qualità recitative e se ne va in giro per il paese a combinare i suoi soliti casini e cercando di aggiustare quegli degli altri.
Non pensarci mostra un modo di filmare abbastanza libero, non troppo influenzato dai modelli americani del cinema indie e che nella rappresentazione di una certa provincia trova una sua autonomia narrativa che sembra aprire una via tutta italiana a questo tipo di commedie agrodolci, mai urlate o volgari, capaci di ricostruire un mosaico umano ed emotivo in maniera sincera.
L’uso intensivo della colonna sonora porta alla luce un modo di raccontare che cerca sempre di toccare i sentimenti dello spettatore e ci sono alcune sequenze in cui immagini e musica trovano una loro perfetta alchimia (la corsa a piedi davanti all’autovelox, il momento in cui Stefano suona Chopin e fino ad un attimo prima ascoltava Ivan Graziani) e si trasformano in una forma espressiva, poetica, che trasmette vere emozioni.
Zanasi si dimostra un regista con buone capacità narrative, butta via (ed è un peccato) alcune inquadrature e movimenti di macchina e ricerca una autenticità cinematografica che trova e riesce a sfruttare al meglio. Grazie poi alla complicità di Mastrandrea e degli altri attori confeziona un film in cui l’umanità dei personaggi riesce sempre ad emergere oltre i loro difetti e i loro limiti, facendoci sorridere e a volte (a dispetto, per fortuna, del titolo) pensare.
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