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Intervista a Flavio Soriga

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Flavio Soriga è una delle voci più interessanti del panorama letterario italiano. Nato a Uta, in Sardegna, ha esordito con il volume I diavoli di Nuraiò (Premio Italo Calvino), ha dato alle stampe Neropioggia, romanzo che ha vinto il premio Grazia Deledda nel 2003 e recentemente ha dato alle stampe “Sardinia blus” pubblicato da Bompiani. Ha accettato gentilmente di rispondere ad alcune mie domande.
 
1) Flavio, cosa rappresenta per te la scrittura?
R. L´unica cosa che so fare (se la so fare). Il lavoro più bello del mondo. Un modo per cercare sempre dentro di te, una terapia faticosa ed esaltante per non guardare soltanto dentro di te, l´incontro del ricordo con l´invenzione, la festa dell´invenzione, le infinite straordinarie energie dell´invenzione.
2) I tuoi libri sono tutti ambientati in Sardegna, il nostro Messico”, come scrivi nelle prime pagine del libro. Nonostante vivi e lavori a Roma, il rapporto con l´isola è molto intenso. Non  intravedi, in futuro, la possibilità di scrivere un libro ambientato fuori dalla tua isola?
R. Ci ho provato prima di questo romanzo, in un esperimento che non è riuscito, ci sto provando di nuovo, adesso. Nella nuova edizione del mio primo libro, Diavoli di Nuraiò, che uscirà a febbraio, ci sarà un racconto ambientato a Londra, che ho scritto anni fa per il Festival di Mantova.
3) Nel tuo ultimo libro tratteggi tre amici laureati, disoccupati, che cercano una loro identità e trascorrono le giornate in giro per l´isola compiendo azioni da “pirati”, come rubare carte di identità, irrompere nell´abitazione di un Conte alla ricerca di un testamento, ma quello che cercano veramente è un senso da dare alle proprie esistenze. Consideri i giovani vittime di una società che non trova uno spazio per loro?
R. Non considero i giovani nel loro complesso, non sono un sociologo né uno psicologo, però ho trent´anni e frequento molti trentenni, e anche ventenni, e quello che vedo è che oggi in Italia se sei un manager di quarantanni tutti dicono e scrivono “un giovane manager”. Ecco, questo è assurdo, e ha molte conseguenze: oggi, in questo Paese, è come se tutti pensassero che a trent´anni non si è pronti per le responsabilità. E l´assurdo è che gli uomini e le donne che lo pensano, quando loro avevano vent´anni volevano fare la rivoluzione, cambiare il mondo completamente…
4) Uno dei tre amici, Davide Pani, abbandonato dalla fidanzata, ex cameriere a Londra, è talassemico e tu descrivi, in maniera dettagliata, la malattia, gli incontri con i medici, le trasfusioni di sangue, ma senza assumere un atteggiamento di pietà nei confronti del personaggio, solo di umana considerazione. La malattia viene considerata, come asserisce la madre del giovane, come la possibilità di condurre una vita diversa, una vita che va al di là della normalità. Davide Pani è, nel tuo libro, il tuo alter ego?
R. Davide Pani è il personaggio di un romanzo, tutto qui. Io sono talassemico come lui, e come lui credo che quello che ti può salvare da una malattia cronica è il rifiuto di fare una vita da malato. Vale anche per il diabete: se cominci a crederti malato è finita, sei malato e smetti di fare una vita normale. Credo che la responsabilità maggiore sia dei genitori: io ho avuto questa enorme fortuna di avere un padre e una madre che non mi hanno mai, mai fatto sentire diverso, svantaggiato, da proteggere o tenere distante dal mondo. Vivi, mi hanno sempre detto, senza dirmelo, Perché la vita è questa e tu ce la puoi fare come tutti gli altri. Di questo non gli sarò mai grato abbastanza.
5) ll libro è, per rifarsi al titolo, un blues perché la musica svolge un ruolo di primaria importanza. Quanto è importante la musica personalmente e per la tua attività di scrittore?
R. Moltissimo, perché quello che a me soprattutto importa, nello scrivere, è cercare un ritmo, quindi ascoltare della musica vicino a te, come leggere dei libri vicini, importanti per te, è l´esercizio principale che faccio, la preparazione alla scrittura, l´allenamento necessario.
6) A differenza di Neropioggia, questo libro presenta una scrittura dirompente, libera, musicale. Una scrittura dove non fasi uso della punteggiatura, scrivendo si ha l´impressione di un fiume
in piena che inonda il lettore. Sardinia blues ha rappresentato una sorte di catarsi liberatoria?
R. Credo che nella mia scrittura ci sia più ironia, adesso, e questo è merito di alcune persone che ho conosciuto, e che mi hanno molto influenzato, l´artista Simone Cireddu, lo scrittore Paolo Nori… poi sì, a un certo punto ho capito, mentre cercavo una voce per questo libro, che se volevo avere qualche speranza che funzinasse dovevo liberarmi da qualunque obbligo, che dovevo seguire molto l´istinto, cioè il ritmo, correre come facevano i personaggi del libro. Il che
non vuol dire che poi non ci sia stato un lunghissimo, faticosissimo lavoro di riscrittura.
7) Hai dei modelli di riferimento letterari?
R. Mh, modelli di riferimento è impegnativa, come definizione. Posso fare un elenco degli scrittori o musicisti che mi piacciono di più, e a cui sarei onorato di avvicinarmi negli esiti artistici: il Sergio Atzeni di BELLAS MARIPOSAS (un bellissimo libro Sellerio), Philip Roth, Paolo Nori, Osvaldo Soriano, Hemingway, Javier Marias, Kureishi, Capossela, i Baustelle, gli Afterhours… bastano?
8) Programmi per il futuro?
R: Spero di lavorare a un film, intanto scrivo il nuovo romanzo e incrocio le dita per Sardinia Blues.

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