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ACTARUS – Claudio Morici

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La vera storia di un pilota di robot
Merdiano Zero – Pag. 225 – Euro 8,00
 
Era tanto che non mi imbattevo in un romanzo italiano così originale e diverso dai soliti cliché del giallo, del noir – ma mi raccomando poco sangue siamo italiani – dell’ispettore che indaga con la pancia piena e il libro di ricette sul tavolo. Bravo Morici, che mi hai fatto tornare la voglia di leggere autori italiani dopo tanti cubani, che ti sei spinto a esplorare un genere nuovo, inventato per l’occasione, una sorta di fantascienza ironica corretta al manga e al generazionale. Actarus è un libro a dir poco geniale che strizza l’occhio agli appassionati di cartoni animati giapponesi per il rigore con cui l’autore descrive i personaggi presi a prestito dalla serie Ufo Robot. Actarus è un pilota di robot nevrotico che beve trenta Peroni al giorno e sogna di tornare sulla natia stella Fleed, dove la vita è una festa e le donne sono sempre pronte a fare l’amore. Alcor è il suo compagno di battaglia ma è pure un ex alcolizzato depresso che a tempo perso se la fa con la bella e disponibile Venusia. Il Dottore guida la base spaziale della Fattoria contro gli attacchi di Vega e Roberta è una pacifista anoressica che a un certo punto apre gli occhi ad Actarus. Non tutto è come sembra, però, e il finale a sorpresa è assicurato.
Claudio Morici è nato nel 1972, fa parte di una generazione che è cresciuta con i cartoni animati giapponesi, soprattutto Goldrake, Mazinga Z, Daitan 3, che riempivano i palinsesti televisivi serali e pomeridiani. Il romanzo è un omaggio a un genere popolare di cartoni animati, ma i personaggi sono modificati in senso umano per realizzare una feroce critica alla società contemporanea. Morici affonda la penna per analizzare una generazione che comunica soltanto per e-mail, usa smodatamente il telefonino e si conosce usando le chat. Il romanzo è una metafora sul lavoro ripetitivo che produce alienazione, anche se nella realtà non ci sentiamo inutili alla guida di un robot ma stando seduti otto ore davanti a un computer. Lo stile di Morici è perfetto, usa il dialogo come se dovesse scrivere un cartone animato, il lettore si appassiona alla storia e si affeziona ai personaggi. Vai distruggi il male vai è il leimotiv che ci accompagna per 230 pagine di un racconto surreale che l’autore è talmente bravo da rendere credibile. Ecco, questi sono gli sperimentalismi che convincono, usando gli strumenti della narrativa di genere si costruisce un romanzo generazionale, di formazione e di critica sociale. Non è poco. Con buona pace delle balene morte della lombardia, dei kamikaze, dei corpi usati e abusati, delle pancette e dei cani di pavlov targati Einaudi e Feltrinelli.

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