Ho avuto la fortuna di ascoltarlo prima di leggerlo. Interpretato dalla viva voce di Francesca Mazzucato.
Il mio primo contatto con questo piccolo libro, tanto piccolo da sembrare un minuscolo astuccio di confetti, è avvenuto così. In un sotterraneo buio pieno di quadri. Una galleria d’arte moderna, dove, una sera di settembre, la scrittrice ha dato suono alle sue stesse parole.
E’ stata una lettura intensa, con la voce dell’artista che scendeva fino a farsi un sussurro appena udibile, e poi saliva, nera, potente, sconvolgente. Non lasciatevi ingannare dall’aspetto di questo minimo libretto. Non è uno scrigno portagioie. È una cassaforte di dolore.
Metaracconto dalla preziosa e complessa struttura stilistica e lessicale, “Via crucis” conferma la Mazzucato come devota raccoglitrice di frammenti. Oltre ai numerosi romanzi da lei pubblicati infatti, per i quali rimando alla bibliografia in calce all’articolo, la scrittrice colleziona quotidianamente minimi stralci di vita, piccoli rimasugli di realtà scampata alla distruzione, che ci restituisce poi sotto forma di microracconti. Chi la segue sul web conosce la sua fertilità narrativa, e sa quanti di questi piccoli frantumi di esistenza l’autrice ci regali giorno per giorno, sparpagliati come le briciole di Pollicino nei numerosi blog e siti che cura e aggiorna quotidianamente.
Metaracconto, dicevo. Perché il racconto vero e proprio è preceduto e seguito da due brevi passi, che ci introducono e ci accompagnano dentro la fucina narrativa dell’autrice.
“Il gusto, inteso in primis come lemma, ripetuto a voce alta varie volte, sillabato, detto e scritto. La parola palleggiata sulla lingua, la mente a cercare di aprire porte, abbaini, strade, raspando, grattando, per cercare di ritrovare il senso, i tanti sensi, le valenze prismatiche che hanno le parole e che il nostro tempo pare avere asciugato, disossato, reso asettiche, senza polpa…” ci dice l’autrice nella prefazione. E “Prima della motivazione, subito dopo l’ispirazione, la sua rapidità olfattiva, gustativa e limbica, c’è la fatica. Occorre specificarlo. La fatica della parola che si fa storia, che tenta di plasmare una storia. E’ un lavoro ingrato e perdente, che richiede numerosi tentativi” ci rivela poi. In mezzo, fra le tenaglie inflessibili del duro lavoro di creazione, le parole scandite, dolenti della narrazione.
Una narrazione che è già poesia. La Mazzucato infatti governa il suo racconto plasmandolo quasi in forma di versi. Interi moduli si ripetono spesso, seguendo la tecnica dell’iterazione: “Provo a virare. Malferma sul ciglio della mia anima svestita.” E più oltre: “Provo a virare. Giunta sul ciglio, pericolante”. E ancora: “Provo vanamente, indolente, a virare.”
Anche il tessuto interno di ogni frase appare ordito di rime nascoste, che si rincorrono regalando all’incedere un ritmo di danza: “Stai ancora a guardare? Sopravvivi nonostante, sbirci, deglutisci le cose indicibili e ti accontenti dell’esibizione, di quel residuo di sottoveste non ancora calata? Di quel fruscio di seta destinata a essere strappata, della cipria che andava comprata. Per quella, puoi rimediare? Se sì, prova a virare.”
La scrittrice non è nuova all’uso della prosa poetica nascosta all’interno del testo. Abbiamo visto comparire per la prima volta questa modalità nell’intenso doloroso romanzo “L’anarchiste”; tracce poi se ne trovano in “Train du reve”. Ma “Via crucis” rappresenta forse il primo racconto dell’autrice interamente giocato su questa intuizione narrativa.
Ed è una scommessa riuscita. Opera orchestrata sulle emozioni nate dalla sensazione gustativa disseppellita dall’odore di una vecchia cipria, “Via crucis” diventa mano a mano un canto alla vita, una vita arsa, dolorosa e frantumata, ma anche gustata, assaporata, mangiata con l’intensa consapevolezza che ogni momento è unico, irripetibile: “Le tue labbra hanno il sapore del frutto proibito di nessun paradiso in particolare. Terrestre, questo di sicuro, va detto. Le tue labbra come il resto possono essere solo una miserabile fantasticheria. E lo sono, ed è la mia. Eppure. Eppure è stata sofferenza e miracolo. Eppure. Sei stato somigliante all’asfalto, al ciglio, alla strada, ai luoghi di fortuna dove bere e prepararci per amputazioni e suture”.
Ed è la stessa autrice a confidarci, nella postfazione: “Il ciglio di una strada e attimi di intimità quasi svergognata e nonostante questo un debito emozionale con la vita e il suo trasportare nel flusso. Un racconto su come si possa conservare il gusto perché gusto è saper vivere il momento che ci è dato cogliendolo nella sua globalità, qualunque esso sia.”
Metaracconto, appunto.
Grazie Francesca.
Bibliografia
“La sottomissione di Ludovica” (Borelli-Pizzo Nero, 1995, 2004).
“Hot Line, storia di un’ossessione” (Einaudi, 1996).
“Villa Baruzziana. Storie di marginalità” (Fernandel, 1997).
“Relazioni scandalosamente pure” (Marsilio Editori, 1998).
“Amore a Marsiglia” (Marsilio Editori, 1999).
“Transgender Generation” (Borelli-Pizzo Nero, 2000).
“Il resto è carne” (AdnKronos, 2000).
“Web cam” (Marsilio Editori, 2002).
“Diario di una blogger” (Marsilio Editori, 2003).
“Storie illecite di perdizioni e diseredati” (LietoColle 2003).
“Enigma Veneziano” (Borelli-Pizzo Nero, 2004).
“L’anarchiste” (Aliberti, 2005).
“Confessioni di una coppia scambista” (Giraldi, 2006)
“Train du rêve” (Giraldi, 2006).
“Magnificat Marsigliese. Tre storie di donne frammenti e amori” (Edizioni Creativa, 2007).
“Confessioni di un alcolista” (Giraldi, 2007).
“Via crucis per corpo e anima spogliata” (MiniConcepts – ARPANet, 2007).
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