Mercoledì 29 agosto, mostra del Cinema di Venezia: grandissima attesa per il film di overture della rassegna, “Atonement – Espiazione”. Aprire una manifestazione come quella di Venezia è un onore e al tempo stesso un onere, ma non è solo questo il motivo per cui la proiezione del film è stata accolta in un’ atmosfera particolarmente carica di curiosità. Erano in molti, giurati e non, ad interrogarsi su come il regista Joe Wright, già noto per la trasposizione del classico “Orgoglio e pregiudizio”, sarebbe riuscito a mettere degnamente in scena un soggetto difficile come quello di “Espiazione”. Martedì 18 settembre, premiere bolognese: il pubblico in sala conosce già i pareri della critica, i personaggi e i retroscena, ha visto già il trailer, ha sentito diffusamente parlare di “scuola britannica”, eppure rimane con il fiato sospeso, in attesa di una (cine)visione all’altezza delle aspettative. Il plot, basato sull’ omonimo romanzo di Ian McEwan, è incentrato sulla storia di un gesto, una colpa molto grave, le cui conseguenze si tramutano in un lunghissimo cammino attraverso i dolori del pentimento e dell’espiazione, appunto. Nell’estate del 1935, Briony Tallis, tredicenne particolarmente dotata nella scrittura, assiste involontariamente alla scoperta della sessualità della sorella maggiore Cecilia e di Robbie, figlio della donna di servizio. Trovandosi emotivamente impreparata al confronto con le dinamiche delle relazioni adulte, la ragazza fraintende (?) tutto e, travisando ciò che crede di vedere durante l’aggressione della cugina, indica Robbie come il responsabile di un crimine mostruoso. L’accusa mette in moto una catena di eventi che distrugge la felicità di tutte le persone coinvolte nell’accaduto. Briony decide di espiare la sua colpa e la storia si conclude con un crudele colpo di scena finale. Come nel romanzo di McEwan, il regista decide di mantenere la narrazione su due piani distinti, vale a dire la realtà oggettiva e la realtà vista da Briony, mandando avanti e indietro nel tempo le sequenze importanti con tocco disinvolto e leggero. Si tratta di una scelta assai indovinata che consente, nella prima parte del film, di dare ai personaggi lo spessore psicologico che meritano. Lo spettatore non può fare a meno di chiedersi che cosa spinge la ragazzina ad alterare mostruosamente ciò che vede. Forse la relazione tra Robbie e Cecilia, poco consona alle tradizionali convenzioni sociali, mette in pericolo l’idea di amore romantico e perfetto, dunque inesistente, di cui la ragazza parla nelle sue storie. Briony crede di saper esercitare un certo controllo sulla verità attraverso le parole, probabilmente grazie all’ acerbo esercizio della scrittura ma, giunta sul palcoscenico della vita adulta, il tentativo di esercitare lo stesso controllo sui fatti si conclude nell’incapacità di gestire qualcosa di cui, in realtà, è partecipe solo incidentalmente. Nella seconda parte il film, purtroppo, non continua a catturare pienamente lo spettatore cedendo sotto il peso di qualche sbavatura. La nuova condizione di Briony, pentita e in cerca di espiazione, viene esplorata troppo velocemente per dare, invece, una certa enfasi melò all’amore ostacolato dalle traversie della seconda guerra mondiale.
Assolutamente degne di nota la fotografia, che esalta moltissimo la bellezza di Keira Knightley nel ruolo della confusa, goffa e al tempo stesso seducente Cecilia e la (breve) performance di Vanessa Redgrave, che interpreta, in un assolo strepitoso, Briony ormai anziana e scrittrice, rivelando il mistero e la sostanza di cui sono fatti l’espiazione e l’enorme potere che deriva dalla capacità di scrivere.
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