“…Perché una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi d’intensione che bastano a rimuovere gli uomini dai delitti; ora non vi è alcuno che, riflettendovi, sceglier possa la totale e perpetua perdita della propria libertà per quanto avvantaggioso possa essere un delitto:…” Il termine deriva dal latino “ergàstolum” (con origine a sua volta dal tema greco ERGASIA- lavoro-attività), che indicava presso i Romani quella sorta di prigione/luogo di correzione, unito alle fattorie di campagna, in cui si tenevano gli schiavi, catena al piede, costretti ai lavori forzati; più modernamente, quindi, ha indicato prima una prigione rigorosa per i condannati a vita, e poi la Pena stessa della reclusione “perpetua[2]“. L’ergastolo[3] è, nel sistema penale italiano, la più grave pena principale detentiva[4]; secondo il disposto dell’art.22 del Codice Penale “La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto”. Tuttavia tale “perpetuità” non può essere considerata assoluta: l’art.176 C.P. stabilisce che il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia effettivamente scontato almeno 26 anni di pena, qualora ne venga ritenuto attendibilmente provato il ravvedimento[5]. Questa sanzione[6] ha avuto una storia recente piuttosto travagliata. Ne è stata contestata la legittimità costituzionale in relazione al 3° comma dell’art.27 Cost.[7] La Consulta ha dal canto suo ritenuto legittimo l’ergastolo, in base alla motivazione che funzione della pena “non è soltanto il riadattamento sociale dei delinquenti, ma pure la prevenzione generale, la difesa sociale, e la neutralizzazione a tempo indeterminato di determinati delinquenti[8]“, oltre al fatto che, come detto sopra, il carattere della permanenza della pena non è assoluto. Inoltre, con una decisione del 1994[9] la stessa Corte ha dichiarato illegittimo questo articolo laddove non esclude l’applicazione dell’ergastolo al minore imputabile, avendo riguardo alle speciali esigenze educative del soggetto richiamate dall’art.31 della Carta[10]. Nel 1988 il nuovo Codice di Procedura Penale introduceva il “giudizio abbreviato[11]“, un rito che permette all’imputato che vi ricorre di godere di uno sconto di un terzo della pena. Ci volle una Sentenza della Corte Costituzionale (23/04/1991) per impedire l’applicazione del “giudizio abbreviato” ai reati punibili con l’ergastolo. La recente proposta di abolire l’ergastolo[12] avanzata dalla Commissione di giuristi che, per il Ministero della Giustizia, ha elaborato la proposta di riforma del Codice Penale, ha riacceso il dibattito. Chi scrive concorda con l’opinione di Carlo Federico Grosso[13], per il quale “…si tratta di una polemica sterile. Le conseguenze dell’abolizione dell’ergastolo sono, infatti, più che altro teoriche, dal momento che già oggi chi è condannato alla pena perpetua di regola rimane in carcere al massimo 28 anni in forza dei meccanismi di liberazione anticipata previsti per chi ha tenuto buona condotta durante la detenzione… Tanto che oggi mi sembra di potere affermare senza difficoltà che, di fronte alle preoccupazioni manifestate nei confronti della ventilata abolizione, giuste o sbagliate che siano, tanto vale mantenere, formalmente, l’ergastolo. Saranno poi le valutazioni espresse sulla personalità del singolo condannato a dirci, anni dopo la sua incarcerazione, se egli potrà tornare libero in ragione della sua acquisita condizione di persona non più pericolosa per la società[14].” I problemi dell’ordine pubblico sono oggi rilevanti e i cittadini non capirebbero una rinuncia massiccia e programmata alla previsione delle pene tradizionali, chiedendo essi proprio l’opposto cioè pene certe, rigore nella loro esecuzione, mano pesante contro i recidivi. La politica non può ovviamente appiattirsi, nelle sue scelte politico-criminali, sugli umori e sulle paure della gente. Neppure può tuttavia ignorarle; costituirebbe ulteriore ragione di distacco fra società e istituzioni. Molti definiscono l’ergastolo come “la morte civile[15]” della persona, o “pena di schiavitù” come la definì Cesare Beccaria (che proprio per questo ne auspicava l’adozione in luogo della più barbara “pena di morte”, ma erano altri tempi con diversa sensibilità civile e grado di evoluzione giuridica), o anche “lavoro continuo, perpetuo e forzato” per rifarsi all’origine etimologica del termine… e a ben vedere il punto è proprio questo, di fonte all’atrocità di certi reati[16] per i quali la pubblica autorità statale ha il diritto/dovere di mantenere un effettivo “controllo[17]” sulla vita e attività dei soggetti responsabili. Più che all’abolizione radicale della pena dell’ergastolo[18] si dovrebbe puntare ad una “interpretazione” più evolutiva del concetto di “ergastolo” nella direzione di un “lavoro” sulla persona, ovvero di un “percorso” permanente cui assoggettare il responsabile di efferati atti criminosi, cammino dai contenuti più o meno afflittivi, in termini di limitazione delle libertà personali, in relazione ai risultati effettivi della rieducazione cui dovrebbe tendere ogni misura penale, e delle esigenze di tutela della incolumità sociale, principio da far prevalere sopra ogni altro. “…dunque l’intensione della pena di schiavitù perpetua sostituita alla pena di morte ha ciò che basta per rimuovere qualunque animo determinato;… Cesare Beccaria-Dei delitti e delle pene- cap.XXVIII-1764 [1] L’immagine di Roby Shirer è tratta dal sito “www.ildue.it, Net Magazine della Casa Circondariale di Milano, San Vittore. [2] Ancora oggi l’ergastolo, nel gergo carcerario, è definito con un delicato termine allegorico: “erba”; ad indicare quella sotto cui sarai steso prima che la pena sia terminata. Nell’ordinamento italiano l’ergastolo è previsto per alcuni delitti contro la personalità dello Stato, contro l’incolumità pubblica e contro la vita cui si aggiungono i reati per cui è ancora prevista la pena di morte (che sostituisce l’ergastolo ex D. lgs. lgt 10/08/44 n.224). L’ergastolo è altresì previsto quando concorrono più delitti per ciascuno dei quali è prevista la pena non inferiore a 24 anni (art. 73 co. 2 c.p.). [3] Cfr. G. Fiandaca, E.Musco “Diritto Penale-parte generale” ed. Zanichelli Bologna, 2° edizione 1989, p.544. [4] Le altre pene detentive principali sono la “reclusione” e l'”arresto”. I due istituti sostanzialmente non differiscono tra loro se non per il fatto che la prima si applica ai “delitti” (figure di reato più gravi) e consiste in una privazione di libertà personale da un minimo di 15 giorni a un massimo di 24 anni, mentre il secondo si applica alle “contravvenzioni” (si dovrebbe scontare secondo il legislatore in appositi stabilimenti a ciò destinati o in sezioni speciali degli istituti penitenziari), e si estende da un minimo di 5 giorni a 3 anni (artt.23 e 25 C.P.). L’unica reale differenza tra esecuzione dell’arresto ed esecuzione della reclusione riguarda la disciplina della “semilibertà”, modalità che attenua la privazione della libertà potendosi trascorrere parte del giorno fuori dal carcere, applicabile fin dall’inizio per gli “arrestati” e in caso di pene non superiori ai sei mesi per i “reclusi”. [5] Tale limite è ulteriormente eroso dalle riduzioni previste per la buona condotta del reo, grazie alle quali vengono eliminati 45 giorni ogni sei mesi di reclusione subiti. D’altro canto la riforma penitenziaria del 1986, attraverso le previsioni degli artt. 30 ter co. 4 lett. d) e 50 co. 5 ord. penit., ha contribuito a rimodellare i contenuti dell’ergastolo anche al di là dei profili che attengono alla liberazione condizionale: ha permesso infatti che il condannato all’ergastolo possa essere ammesso,dopo l’espiazione di almeno 10 anni di pena ai permessi premio, nonché, dopo 20 anni, alla semilibertà. [6] Dal latino sanctus (“santo”, “inviolabile”), sta a indicare il danno che subisce chi trasgredisce una norma giuridica. Cfr. “La travagliata vita dell’ergastolo tra pena e rieducazione” di Piero Luigi Vigna, “Il Resto del Carlino” del 19/06/2007, pagg.1 e 12 [7] Art. 27 Costituzione: La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. [8] Corte Cost., Sent. n. 264, 22/11/1974. [9] Corte Cost., Sent. n. 168, 28/04/1994 [10] Art. 31 Costituzione: La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. [11] E’ uno dei riti alternativi, che permette di evitare il dibattimento (c.d. patteggiamento sul rito), e la decisione viene presa da un giudice monocratico allo stato degli atti. [12] Cfr. Ruters-Italia 20/06/2007: “La bozza di riforma del codice penale, elaborata in circa 10 mesi di lavoro da una commissione di esperti giuridici, prevede tra le varie modifiche l’abolizione dell’ergastolo, sostituito dalla pena massima di 38 anni di carcere, e il riconoscimento della legittima difesa solo per la tutela della persona, e non più del patrimonio. Lo ha detto oggi il giudice di Palermo Piergiorgio Morosini, uno dei componenti della commissione che ha iniziato i suoi lavori nel luglio scorso sotto la guida dell’ex parlamentare Giuliano Pisapia, e il risultato del cui lavoro è stato consegnato nei giorni scorsi al ministro della Giustizia Clemente Mastella, prima di approdare poi in Consiglio dei Ministri. Il progetto prevede l’abolizione della prigione a vita, sulla base del dettato costituzionale, secondo cui la pena non è punitiva, ma deve servire a rieducare. Dunque si prevede la sostituzione dell’ergastolo con la pena massima di 38 anni di carcere, anche se non è esclusa una “soluzione aperta”, ha spiegato Morosini, con trattamenti differenziati per i condannati per mafia e terrorismo. In passato l’abolizione dell’ergastolo era stata proposta da almeno un referendum, che però aveva incassato una maggioranza di “no”. Come ha riconosciuto lo stesso ministro Mastella in relazione al caso di Cesare Battisti – il militante della lotta armata condannato per alcuni omicidi e di cui l’Italia ha chiesto l’estradizione dal Brasile, dove è stato arrestato – la possibilità che un detenuto sconti effettivamente la pena a vita è quasi impossibile, per il sistema di riduzioni di cui beneficiano i detenuti per buona condotta”. Nel corso degli ultimi anni sono state istituite presso il Ministero della Giustizia diverse commissioni di studio per la riforma del vecchio Codice Penale “Rocco” (dal nome del Ministro in carica nel 1930 che lo ispirò). Commissione Ministeriale per la riforma del Codice Penale istituita con D.M. 1 ottobre 1998, Presidente: Prof. Avv. Carlo Federico Grosso (relazione finale 15 luglio 1999), Commissione per la riforma del codice penale istituita con Decreto del 23 novembre 2001, Presidente Consigliere Carlo Nordio, scadenza 30/06/2005, e da ultimo Commissione di studio per la riforma del Codice Penale istituita con Decreto del 27 luglio 2006, Presidente Avv.Giuliano Pisapia, scadenza 31 marzo 2008. Si auspica che almeno quest’ultima raggiunga lo scopo di permettere al Parlamento di esaminare e approvare un nuovo testo del Codice. [13] Cfr. “Federico Grosso*: su l’abolizione dell’ergastolo dibattito fuori tempo” da la Stampa del 25 Giugno 2007 *Ordinario di Diritto Penale Università di Torino, [14] “In realtà, i problemi ai quali si dovrebbe porre oggi attenzione in tema di politica delle pene sono altri rispetto a quello concernente l’ergastolo. Come è noto, secondo un orientamento politico-criminale diffuso, il carcere dovrebbe costituire una extrema ratio; vale a dire, dovrebbe essere utilizzato soltanto con riferimento ai reati, o ai soggetti, nei cui confronti appare assolutamente necessario. Negli altri casi occorrerebbe utilizzare, invece, sanzioni penali alternative consistenti in divieti di attività, in prestazioni, nel pagamento di somme di denaro. In questa prospettiva i progetti di riforma del codice penale si sono sbizzarriti nell’elaborare il quadro di queste possibili pene diverse dal carcere: oltre a quella pecuniaria, sospensioni, interdizioni, divieti di vario genere, prescrizioni comportamentali, lavoro di pubblica utilità, remissione in pristino dei luoghi, libertà sorvegliata.” [15] “…Che cosa debba essere la pena (al di là della sua funzione preventiva): questo dobbiamo chiederci. Ripagare con la stessa moneta chi ha provocato danno e sofferenza? Punizione esemplare, da usare a scopo pedagogico? Se la pensiamo così l’ergastolo ci appare un provvedimento legittimo ed anzi suggerito dalla clemenza: invece di condannare a morte un assassino ci limitiamo a privarlo dei diritti e della identità sociale, ne facciamo uno schiavo moderno, un oggetto di pubblica proprietà, di cui servirsi, da collocare e spostare a piacimento, su cui effettuare osservazioni ed esperimenti…” L’ergastolo è una “pena simbolica”? oppure no? (La testimonianza di un ex ergastolano), pubblicato sul sito web del “Centro Studi Due Palazzi” di Padova [16] Cfr. Corriere della Sera on-line del 22/06/2007: “PALERMO – Abolire l’ergastolo? Non sarebbe una buona idea, almeno per il Procuratore antimafia, Piero Grasso, che teme contraccolpi pesanti nel mondo della criminalità organizzata. «Se si cominciano a indebolire quelli che sono i punti fermi della legislazione antimafia e si comincia a parlare di abolizione dell’ergastolo può avvenire una guerra di mafia di proporzioni immani», ha detto il magistrato a Palermo, durante la presentazione dei dati sull’economia illegale. «Se qualcuno di quelli che abbiamo all’ergastolo dovesse tornare – ha aggiunto – cioè con alcuni corleonesi di nuovo in campo, certamente la situazione potrebbe cambiare», in peggio, teme Grasso. E rimettere in discussione gli equilibri che reggono l’organizzazione mafiosa”. Inoltre (N.d.A.) sono diversi i magistrati in servizio in luoghi “di frontiera” (ci si riferisce a quella estrema della “legalità” delle organizzazioni malavitose), che riconoscono l’impossibilità materiale di rieducare ad una vita onesta e dignitosa determinati criminali, colpevoli di gravissimi crimini, anche dopo decenni di reclusione, residuando per loro come unica soluzione una limitazione controllata della libertà permanente. [17] “Controllo” che può evidentemente consistere in forme diverse dalla rigorosa e continuata reclusione in carcere. [18] “Oggi in molti ritengono inutile il carcere come strumento di dissuasione forte dal commettere reati, nella convinzione che esso possa essere, opportunamente, sostituito da pene meno costose e, magari, addirittura utili per la collettività. L’opinione pubblica semprepiù frequentemente scopre che, si prescinde da specifiche tipologie di delitti o di delinquenti, i condannati definitivi che scontano effettivamente la pena, nel nostro Paese, per diverse ragioni, sono pochi. Non si vorrebbe infatti che sull’onda dei buonismi faciloni che già hanno recato gravi danni con l’approvazione di leggi come quella recente in materia d’indulto, si finisse per dimenticare il nodo dell’efficienza della giustizia e della difesa sociale contro la criminalità anche “minore”. Cfr.C.F.Grosso
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