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Unione Europea e Trattato Costituzionale

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La sfida del futuro

 


Dichiarazione in occasione del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma
fonte sito http://www.consilium.europa.eu

 

«Con l’unificazione europea si è realizzato un sogno delle generazioni che ci hanno preceduto.

La nostra storia ci ammonisce a difendere questo patrimonio per le generazioni future.

Dobbiamo a tal fine continuare a rinnovare tempestivamente l’impostazione politica dell’Europa»

(Dichiarazione per il 50° anniversario della firma dei trattati di Roma, Berlino 25 marzo 2007)

 

         In preparazione dell’incontro dei capi di stato e di governo dell’Unione Europea del 20-21 giugno a Bruxelles[1] al termine del semestre di presidenza tedesca del Consiglio, l’Istituto Affari Internazionali di Roma, ha elaborato un interessante documento dal titolo «Una strategia italiana per il rilancio del Trattato Costituzionale Europeo»[2]: in esso si trova una precisa analisi della situazione in cui si trovano oggi le istituzioni europee, a cinquant’anni dalla loro nascita, e si delineano le possibili strade da intraprendere per il futuro dell’UE, giungendo pure a suggerire il ruolo che dovrebbe giocare il nostro Paese in tale contesto.

         A motivo di una condivisa esigenza di chiarezza organizzativa e di sviluppo si è evidenziato da subito che, principale priorità nell’agenda dell’incontro, debba essere il futuro dell’UE e, a questo fine, già dal Consiglio di Berlino[3], si è provveduto a fissare la scadenza entro la quale dovrebbero (e devono) entrare in vigore le nuove e condivise “regole” di funzionamento del sistema: le prossime elezioni del Parlamento Europeo, nella primavera del 2009.

         Questo perché a sette anni dalla Dichiarazione di Nizza sul futuro dell’Europa, a sei anni dalla Dichiarazione di Laeken che ha ribadito l’impegno dei partners su questa linea, a cinque anni dall’inizio dei lavori della Convenzione di Bruxelles per la redazione del nuovo Trattato, a quasi tre anni dalla solenne firma di quella che è passata alle cronache come la Costituzione europea[4] da parte di tutti e 27 gli attuali membri dell’UE[5], risulta urgente uscire dallo stallo in cui ci si è venuti a trovare con il conseguente insorgere di una situazione di ambiguità ed incertezza. Senza riforme, l’Europa è destinata a implodere in sé, senza riuscire a rispondere alle attese dei cittadini europei né affrontare le sfide dello scenario globale in cui si trova. Inoltre, è ormai accettato da tutti, studiosi e tecnici, euroentusiasti o euroscettici che siano, che i risultati conseguiti in mezzo secolo di storia non possano considerarsi irreversibili ma necessitino di un ulteriore approfondimento attraverso una riforma che sia evolutiva. In caso contrario, l’Europa si trasformerebbe in un bel sogno destinato a svanire alle prime luci del giorno.

         E il nuovo Trattato[6] rappresenta la chiave per far entrare l’Europa in questo futuro o per chiudersi per sempre ogni possibilità.

         Sicuramente il cammino non sarà facile dal momento che è necessario individuare i termini di un compromesso tra gli schieramenti che si sono formati negli scorsi mesi: da una parte, i 18 Paesi che hanno ratificato il Trattato Costituzionale (chiamiamolo così pur riconoscendone la non correttezza) insieme ai due “amici” (Irlanda e Portogallo) e, dall’altra, i due Stati che hanno bocciato con referendum popolare la ratifica (Francia e Olanda) insieme ai cinque che hanno rinviato sine die le procedure necessaria. Per i primi risulta imprescindibile lasciare il testo del Trattato immutato, per i secondi sono necessarie sostanziali modifiche anche solo per riaprire il negoziato (qualcuno dice, però, che sarebbe meglio accantonare completamente ogni velleità riformista).

         Le possibilità che si aprono possono essere riassunte in quattro vie, due che risultano da subito non percorribili (Nizza plus e Trattato Costituzionale così come firmato a Roma), altre due passibili di trattativa (Trattato Costituzionale plus e Trattato Costituzionale minus).

         Un Nizza plus significherebbe tornare al testo del Trattato di Nizza[7], gettar via due anni di lavoro della Convenzione e dimenticare che, comunque, il Trattato Costituzionale è stato solennemente firmato da tutti i 27 Stati membri dell’UE, ponendosi su una linea di continuità di riforme istituzionali avviate dalle istituzioni comunitarie a partire dall’Atto Unico nel 1986. Mantenere, invece, il testo inalterato del documento firmato a Roma, significa dover trovare gli strumenti per convincere gli Stati partners che non l’hanno ancora ratificato a concludere le procedure previste dai rispettivi ordinamenti. Scelta questa che però ora si dimostra tardiva avendo il Consiglio Europeo ricevuto l’incarico formale di riaprire il negoziato e non essendo, dunque, possibile ripresentare sic et simpliciter il medesimo testo inalterato.

         Per quanto riguarda le soluzioni possibili, possiamo individuare un Trattato Costituzionale in forma plus che vedrebbe sicuramente d’accordo venti Stati membri (i ratificanti e gli “amici”) e che porterebbe ad aggiungere all’attuale testo una forte enfasi sugli aspetti sociali (la Carta Sociale europea) e un elenco dettagliato delle politiche percepite come irrinunciabili dall’opinione pubblica (la tutela dell’ambiente, i criteri per i futuri allargamenti, la sicurezza energetica, l’immigrazione, la governance economica). Nodale sarebbe l’accordo sulle cose da fare e sul come farle, in una ricerca virtuosa di equilibrio tra efficacia ed efficienza di sistema che risulta sempre più necessario nelle organizzazioni complesse quali l’UE oggi. Resistenze sarebbero poste, anche in questo caso, da Olanda e Francia, per questioni interne, e da tutti gli altri, per l’individuazione della natura delle politiche da inserire.

         Altra via percorribile è quella del Trattato minus, opposta e simmetrica alla precedente, per la quale si dovrebbero apportare riduzioni al testo esistente per giungere ad una sorta di mini-trattato che recepisca le più importanti riforme istituzionali e possa così rappresentare il “core treaty” per tutti i Paesi membri. Per alcuni, tale documento breve esaurirebbe il proprio desiderio di partecipazione all’Europa, per altri sarebbe solo il primo passo verso una adesione in forma più ampia. Le difficoltà, in questo caso, sono poste dagli Stati che già hanno provveduto a ratificare il Trattato e che non sono disposti ad accettare ulteriori tagli e compromessi. Inoltre, si teme l’effetto “vaso di Pandora” per le incognite derivanti dalla riapertura del negoziato per la ricerca di un equilibrio tra le diverse posizioni sulle parti rinunciabili e non del testo attuale.

         Stando così le cose, però, risulta arduo optare per una soluzione. A parer nostro, e di altri studiosi di european affairs, la via ottimale da perseguire per consentire all’UE di continuare a progredire sul cammino intrapreso dalla sua nascita sarebbe quella di modificare in toto l’architettura del sistema per salvaguardarne i contenuti. A partire dal Trattato di Nizza si era posta l’esigenza di addivenire ad una semplificazione del sistema dei trattati, sempre più lontani dai cittadini europei. In questo, il Trattato Costituzionale segna un minimo progresso superando il dualismo Comunità Europee-Unione Europea, riassorbendo la divisione delle competenze dei tre pilastri dell’UE derivanti da Maastricht, unificando i trattati e semplificando le tipologie di atti normativi adottabili.

         Non viene d’altra parte eliminata all’interno dello stesso testo la compresenza di elementi statutari (propriamente “costituzionali”) e disciplinari (o procedurali). Difatti, se pur è vero che la Parte I contiene i principi e la struttura istituzionale, la II la carta dei diritti e la III le previsioni relative alle politiche ed al funzionamento, numerosi sono i rinvii e le “contaminazioni”, oltre al fatto che tutte le norme risultano parificate sul piano formale, essendo contenute in unico atto, con la medesima denominazione e soggette alla stessa procedura di revisione. Inoltre, il testo definitivo si conferma poderoso, poco conforme ai modelli usuali di carta costituzionale e poco comprensibile ai comuni cittadini.

         Risulta allora necessario perfezionare l’opera di razionalizzazione e arrivare a distinguere due gruppi di norme da porre su livelli differenti: un primo livello, con il nucleo essenziale del sistema dell’UE, i suoi principi fondativi e costitutivi, una sorta di legge fondamentale che non ammetta deroghe e per la cui modifica sia necessario seguire la solenne procedura di revisione dei trattati; un secondo livello, con le politiche europee e le norme di funzionamento delle istituzioni, una parte, dunque, più procedurale che costituzionale, passibile di modifiche più frequenti e meno solenni (magari con l’applicazione della clausola dell’opting out). Tale secondo livello sarebbe “decostituzionalizzato”, subordinato dunque al primo ma sovraordinato all’ordinaria legislazione europea. Una simile distinzione, però, varrebbe solo per il futuro e necessiterebbe dell’unanime consenso degli Stati membri.

         Con l’adozione di questa soluzione, si garantirebbe la continuità con il passato data dai contenuti di massima del testo base e la discontinuità richiesta da alcuni per la modifica dell’architettura generale e dei rapporti tra le distinte parti. Da pensare anche l’eventualità di denominare in maniera differente le due parti: Trattato base o Legge fondamentale le norme di I livello; Accordo, Convenzione, Protocollo o Legge organica quelle di II. La dicitura “Costituzione” sarebbe sconsigliata per le perplessità, gli equivoci ed i timori che ha ingenerato in questi anni tra molti. Il centro gravitazionale del nuovo sistema, ovviamente, sarebbe rappresentato dal I livello del Trattato.

         Il Consiglio di giugno, a questo punto, non dovrebbe avviare una nuova procedura di revisione dei Trattati bensì riconoscere la ripresa e continuazione di quella precedente rimasta aperta (pare una finzione giuridica ma non lo è!). In questo modo, non risulterà necessaria una nuova Convenzione né una nuova ratifica da parte dei Paesi che hanno provveduto a recepire il testo di Roma 2004. Discutibile la proposta avanzata da qualcuno di un referendum paneuropeo per l’approvazione del nuovo Trattato: si tratta di una via poco compatibile con la normativa vigente che prevede la ratifica da parte dei singoli Stati in conformità ai rispettivi ordinamenti costituzionali.

         Se si desidera rispettare la prevista scadenza delle elezioni del 2009, però, è necessario procedere a ritmi sostenuti e fare in modo che il Consiglio di giugno dia il proprio benestare alla Conferenza intergovernativa (CIG) con un mandato chiuso e un calendario preciso; entro la seconda metà del 2007 si dovranno terminare i lavori della CIG di modo da avere a disposizione il testo del nuovo Trattato per l’inizio del 2008 e consentire agli Stati membri di procedere alle ratifiche entro la primavera dell’anno successivo.

         L’Europa riuscirà in questo compito? E i Governi dei Paesi membri vorranno mettere da parte i propri egoismi per il bene comune? Quello che risulta chiaro è che non è tempo di ulteriori rinvii: occorre fare chiarezza con sollecitudine e convinzione circa ciò che si desidera per il futuro dell’Europa e ciò per cui si è disposti ad impegnarsi. In caso contrario, sarebbe necessario predisporre un “piano B”, una sorta di “opting in” nel nuovo Trattato al fine di una rifondazione dell’UE da parte di un numero limitato di Stati più euroconvinti e “intraprendenti” che dia il via ad una “Europa a più velocità” a seconda del grado di volontà nel giocare il proprio ruolo.

         In questa fase, molto delicate risultano le alleanze possibili: fondamentale sarà recuperare la Francia del dopo referendum e con essa rimarcare l’asse Parigi-Berlino, sempre molto importante nella costruzione europea; da qui, creare una nuova coalizione a maggioranza “qualificata” per premere sui Paesi tiepidi o avviare la fase di “opting in“.

         L’Italia dovrebbe, da parte sua, definire una propria precisa posizione circa il futuro dell’UE e, con questa, recuperare il proprio ruolo di grande mediatore filo-europeo da sempre giocato nelle fasi più cruciali per svolgere un lavoro di “coalition building” e di pressione al fine di raggiungere un accordo che tuteli gli aspetti più rilevanti del Trattato.

         Altra attenzione che si dovrebbe avere è quella relativa alla partecipazione dell’opinione pubblica europea che non può essere dimenticata: la definizione delle finalità dell’UE risulta essere oggi più complessa e meno immediatamente comprensibile rispetto agli anni ’50 ove le priorità erano la pacificazione del continente e l’impegno per la ricostruzione e lo sviluppo.

         Oggi, ci troviamo davanti a nuove sfide che legano gli obiettivi del passato alle necessità del presente e ai progetti per il futuro: la delicata questione democrazia/integrazione, il legame sicurezza interna ed esterna, il rapporto multilateralismo e sfide globali. È dunque necessario riavviare una iniziativa ad ampio raggio per incoraggiare il dibattito pubblico (specialmente coinvolgendo le nuove generazioni) al fine di condividere il progetto di riforma dell’UE parallelamente al negoziato politico-diplomatico tra i governi.

         Utile punto di partenza potrebbe essere rappresentato dalla Dichiarazione di Berlino sui 50 anni dei Trattati di Roma[8], approvata nello scorso mese di marzo, nonché l’iniziativa della Commissione Europea denominata della “tripla D – Democrazia, Dialogo, Dibattito[9], avviata in passato per coinvolgere la società civile nel processo decisionale delle istituzioni comunitarie.

         La sfida è impegnativa: e solo chi è convinto veramente di volersi impegnare sino in fondo per qualcosa in cui crede potrà distinguersi. Noi abbiamo fatto, facciamo e faremo la nostra parte; ai nostri Governi, di giocare la loro!

 

«Perché l’Europa è il nostro futuro comune»

(Dichiarazione per il 50° anniversario della firma dei trattati di Roma, Berlino 25 marzo 2007)

 



[1] Cfr. sito del Consiglio dell’UE, www.consilium.europa.eu.

[2] Cfr. sito dell’IAI, www.iai.it.

[3] 25 marzo 2007.

[4] Ma il cui nome ufficiale è Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.

[5] Tra i quali, 18 hanno già provveduto a ratificarla mentre 2, Olanda e Francia, ne hanno rigettato la ratifica in seguito a procedura referendaria.

[6] Cfr. Monari A., Costituzione Europea, ovvero il secondo Trattato di Roma, in KU – n.12 – 2004.

[7] Trattato di Nizza, che ammenda il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea, 26.02.2001.

[8] Cfr. www.eu2007.de/de/News/download_docs/Maerz/0324-RAA/Italian.pdf.

[9] Cfr. Commissione Europea, Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, COM(2005) 494 definitivo, del 13.10.2005.

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