Claudio Imprudente è un nome noto a chi si occupa di sociale, di disabilità, anzi, con un neologismo carico di significati, di “diversabilità”: digitando il suo nome su un motore di ricerca compaiono decine di link legati al suo ricco curriculum di giornalista, divulgatore, educatore, scrittore (per le edizioni Erickson ha pubblicato: “Il principe del lago” nel 2001 e “Una vita imprudente” nel 2003). E’ infatti, nell’ordine: uno dei fondatori di Maranà-tha, una comunità di famiglie che accoglie bambini in affido, persone con disagi psichici e sociali, donne sole con bimbi; presidente del Centro Documentazione Handicap di Bologna; direttore della rivista “HP- Accaparlante”; animatore e ideatore del “Progetto Calamaio”, che propone al mondo della scuola, dell’università, del lavoro, percorsi formativi sulla diversità. In dieci anni di attività, più di tremila sono stati gli incontri con i ragazzi delle scuole italiane, realizzati in modo del tutto particolare; ma c’è ancora molto da fare, c’è ancora linfa, “inchiostro” nell’inesauribile calamaio.
Una lunga premessa, ma necessaria, perché nulla testimonia la nuova cultura dell’handicap come la personalità impetuosa, la vita davvero “imprudente” di Claudio. Che è, nella visione comune, un disabile molto grave: affetto dalla nascita da tetraparesi spastica, giace legato alla sua carrozzella a rotelle, senza poter controllare alcuni movimenti, né comunicare oralmente. Le sue parole sono affidate a una tavoletta di plexiglas con le lettere dell’alfabeto, che lui indica con lo sguardo; ha quindi bisogno di assistenza continua per le necessità quotidiane più semplici, figuriamoci per complesse attività quali la stesura di articoli, le conferenze, i progetti.
Eppure, nessuno dei sentimenti, degli impulsi involontari che si provano nei confronti dell’handicap si adatta al mondo di Imprudente: non la pietà, non la commozione, non il sottile disagio di non sapere come comportarsi, non il senso di colpa e il conseguente fastidio per il senso di colpa… non l’ipocrisia, non le attenzioni “politicamente corrette”, non la paura.
Così come negli altri, anche in questo nuovo libro (scritto con la collaborazione di Flavia Corradetti, laureata in scienze della Comunicazione e membro dello staff di “Accaparlante”) viene ribaltata completamente la prospettiva sul mondo degli “h”, dei “certificati” (come si chiamano in ambito scolastico), scardinati i consueti binomi salute- malattia, normalità- diversità, abilità-disabilità.
Attraverso le risposte a dieci lettere inviate da lettori e amici, Claudio mette in luce aspetti troppo spesso ignorati, dimenticati, ricoperti di pelosi pregiudizi: l’handicap e la seduzione, l’handicap e la visibilità mediatica, l’handicap e l’ironia, l’handicap e il divertimento, l’handicap e lo sport, l’handicap e la vita di relazione, l’handicap e l’amicizia, l’handicap e il bisogno.
Nessun accenno di “accattonaggio sentimentale” (la definizione è del regista Pupi Avati in una lettera), nessun vittimismo, nessuna commiserazione né arrabbiata rivendicazione: solo la celebrazione della gioia di vivere, della bellezza di un tiglio al tramonto, di una cena a base di trippa, la seduzione di uno sguardo a una bella donna. Anche la condizione di dipendenza dagli altri, che istintivamente ci terrorizza, assume un significato completamente nuovo: di vicinanza, di contatto con la persona, di comunione, di intimità. Non sono i “normodotati” che devono “tollerare” i disabili, ma tutti devono essere educati alla debolezza, ai limiti, a superare con creatività le proprie paure, le proprie ansie e difficoltà. E anche a chiedere aiuto, al di là degli schemi rigidi imposti dalla società, che ci pretende autonomi e vincenti- fatti con lo stampino e omologati.
Torniamo così al neologismo dell’inizio, a “diversabilità”: Imprudente è fautore di un’operazione di “taglio dei prefissi”: dis-abilità sottolinea solo una mancanza, mentre l’accento va posto sulle “abilità”, sulla presenza di capacità e non sulla loro assenza, sulla ricchezza e non sulla miseria. E sulla persona, troppo spesso identificata con il proprio handicap: non andare all’identità della persona significa non superare una barriera, restare in superficie.
Un libro sul mondo dei “diversamente abili” può spaventare, abituati come siamo alla pesantezza e alla recriminazione; ma lo stile di Imprudente è sempre giocoso, ironico, leggero, con continue metafore prese a prestito dagli ambiti più diversi, dai fumetti al calcio, dalla televisione alle canzoni, dai pirati e corsari al cinema (bellissimo il racconto dell’esperienza sul set di un film dedicato a Sant’Antonio da Padova!)
A volte, certo, le immagini sono leggermente macchinose, “tirate per i capelli”, le conclusioni azzardate, certi giochi di parole ed etimologie possono lasciare perplessi; e c’è il rischio che tutto appaia troppo “facile”, troppo rose e fiori, troppo ottimista.
Ma l’obiettivo di far riflettere, in modo accattivante, su tematiche complesse è pienamente raggiunto: basta poco per capire che niente è facile nella vita di un “diversabile”. Per citare un commento di Imprudente tratto da un convegno: “Per cambiare cultura dell’handicap, cioè passare dalla cultura della disabilità alla cultura della ‘diversabilità’, bisogna cambiare una consonante: di per sé l’handicap è una sfiga, ma se cambiamo una consonante cosa diventa? Una sfida!”
E la sfida di Claudio Imprudente è sempre quella: non dover più lavorare per l’integrazione, perché nel futuro non si parlerà più di integrazione. Non ci saranno più le “Paraolimpiadi”, ma solo le “Olimpiadi”, non più i “disabili”, ma solo le persone…